· Città del Vaticano ·

Il Black Day per i dalit in India con la speranza del riconoscimento giuridico dei loro diritti

Sul cammino dell’uguaglianza

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08 agosto 2020

La questione è in mano alla magistratura. E se l’India confermerà di essere un paese realmente democratico, basato sullo stato di diritto, i dalit (ovvero “gli intoccabili”) di religione cristiana e musulmana vedranno finalmente riconosciuti i loro legittimi diritti. Nel 2020 il Black Day, la tradizionale “Giornata nera” di protesta e sensibilizzazione che ogni anno si celebra il 10 agosto sostenuta dalla Chiesa cattolica, dalle comunità cristiane di altre confessioni e da numerose organizzazioni della società civile, si vive in un clima di attesa. E lo si vive, notano i leader cristiani, con massima fiducia nella magistratura che dovrà pronunciarsi su un ricorso, ammesso dal tribunale all’inizio dell’anno, che rappresenta uno snodo cruciale per porre fine alle discriminazioni sociali esistenti. La speciale Giornata ricorda il 10 agosto del 1950, quando il presidente dell’India approvò l’articolo 3 della Costituzione sulle cosiddette “caste riconosciute” (scheduled castes). La legge riconosce a questi gruppi sociali — nei quali rientrano i dalit, le categorie più svantaggiate ed emarginate, ultimo gradino dell’antico sistema di stratificazione sociale induista — diritti e benefici per migliorare la loro condizione; ma il terzo paragrafo della norma specifica che non può essere membro di questi gruppi «chi professa una religione diversa dall’induismo».

Nel 1956 e nel 1990 sono stati introdotti emendamenti per estendere i benefici riconosciuti anche a buddisti e a sikh, mentre ne sono tuttora esclusi i cristiani e i musulmani. Proprio per ricordare all’intera nazione l’ingiustizia di questa disposizione si celebra il Black Day che pone l’accento sul vulnus esistente nel sistema di quella che si definisce orgogliosamente “la democrazia più grande del mondo”, con oltre 1,2 miliardi di abitanti.

Nel gennaio scorso, la svolta legislativa, che confida nel carattere secolare ed egalitario dell’ordinamento indiano: la Corte suprema dell’India ha dichiarato ammissibile e sta dunque esaminando il ricorso che chiede pari trattamento e pari opportunità per i dalit cristiani e musulmani, vittime di una legislazione ritenuta discriminatoria rispetto alla religione. Il ricorso contesta ciò che li taglia fuori, solo a causa della loro fede professata, da misure che ne promuovono l’istruzione e lo sviluppo economico, sociale e culturale. Presentato ufficialmente dal Consiglio nazionale dei cristiani dalit, chiede che le quote ad essi riservate siano rese «neutrali rispetto alla religione». Altri quattordici tra gruppi e associazioni, come la Conferenza episcopale cattolica dell’India, hanno appoggiato il ricorso presentando alla Corte una petizione che sostiene le medesime posizioni, specialmente nel campo dell’accesso all’istruzione e all’occupazione nell’amministrazione pubblica. Secondo il testo, «il terzo paragrafo dell’Ordine costituzionale del 1950 viola il diritto fondamentale all’uguaglianza e alla libertà religiosa e alla pari opportunità». Si afferma inoltre che «la conversione religiosa non muta il fattore di esclusione sociale. La gerarchia delle caste resta forte anche verso i dalit cristiani». Si chiede pertanto di estendere lo status di “caste riconosciute” ai dalit cristiani, offrendo loro borse di studio, opportunità di lavoro, misure di welfare, possibilità di essere eletti nei panchayat (i consigli dei villaggi), nelle assemblee legislative a livello statale, fino al Parlamento. Sono misure che andrebbero a toccare venti milioni di dalit cristiani, che rappresentano il 75 per cento del totale dei cristiani indiani, mentre circa il 25 per cento dell’intera popolazione indiana appartiene a gruppi dalit delle diverse fedi religiose.

L’associazione indiana Alliance Defending Freedom (Adf), tra i gruppi che hanno sposato il ricorso, afferma in una nota: «Quando l’India è diventata una repubblica, ha deciso di garantire giustizia, uguaglianza, libertà e dignità a tutti i cittadini. Ai membri delle caste più colpite da secoli di oppressione sociale, le “scheduled castes”, sono stati assicurati costituzionalmente protezioni e benefici speciali, necessari per aiutarli a superare l’effetto di secoli di discriminazione e oppressione. Tuttavia questi benefici sono stati garantiti solo a quanti professavano l’induismo». Per questo nel marzo 1996, il Consiglio dei ministri dell’Unione aveva presentato in Parlamento la proposta di modificare l’Ordine del 1950. Quel disegno di legge, però, non riuscì a essere esaminato prima dello scioglimento delle Camere, dovuto in vista delle elezioni generali. E il progetto rimase lettera morta. «Non esiste una base convincente per giustificare l’inclusione di dalit di una certa fede religiosa e l’esclusione di quanti ne professano un’altra. Il collegamento stesso dello status alla religione è illogico», ribadisce l’Adf ricordando la grave arretratezza socio-economica che continua a tormentare tutti i dalit, indipendentemente dalla loro fede religiosa. «La Corte suprema ha ora un’opportunità enorme per rendere giustizia a milioni di cristiani e musulmani dalit che continuano a soffrire per lo stigma sociale e gli orrori dell’intoccabilità», riferisce a «L’Osservatore Romano» A. C. Michael, attivista cattolico e tra i leader di Adf in India.

Il fatto è che questo approccio viene tuttora contestato da una cultura politica che appare diffusa, se non maggioritaria nel paese. Alcuni esponenti del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito al governo nella Federazione, si sono pubblicamente opposti ad estendere lo status e i benefici a dalit musulmani e cristiani, affermando che «il concetto stesso di dalit è specifico della comunità indù». Secondo Ravi Shankar Prasad, portavoce del Bjp, quando i dalit hanno rinunciato all’induismo, scegliendo il cristianesimo o l’islam, hanno rigettato il sistema basato sull’ordinamento castale, «dunque non possono pretendere benefici dalla stessa società a cui hanno rinunciato».

A riprova della volontà di continuare sulla stessa strada, il governo indiano ha progettato nei mesi scorsi di istituire una catena di scuole residenziali esclusive per i bambini dalit: una mossa che gli attivisti hanno definito «autentica politica di segregazione razziale». La proposta, sollevata dal ministero per la giustizia e l’emancipazione sociale, intendeva creare istituti d’istruzione specifici per bambini di famiglie che vivono in distretti con altissima percentuale di popolazione dalit, ma Ashok Bharati, presidente della All India Ambedkar Mahasabha, associazione in difesa dei diritti dei fuori casta, ha respinto l’idea, affermando che essa perpetuerebbe la disuguaglianza, la separazione e la discriminazione castale.

Il punto è, rimarca al nostro giornale Theodore Mascarenhas, vescovo ausiliare di Ranchi, nel nordest della nazione, «che il sistema delle caste è formalmente abolito nella democrazia indiana, ma incide ancora molto nella prassi sociale. I dalit sono vittime di abusi e violenze che restano impunite e vivono in condizioni svantaggiate dalle quali non possono affrancarsi». La battaglia legale, allora, che la Chiesa cattolica indiana ha sposato, tocca un livello più alto e sta a rappresentare la fiducia in un sistema politico realmente basato su legalità, giustizia, uguaglianza, libertà, valori che la Costituzione indiana tutela e garantisce. Un segnale positivo, che ha incoraggiato le associazioni cristiane è stata una recente sentenza della Corte suprema che ha convalidato una legge progettata per proteggere gli indigeni, i dalit e i settori più vulnerabili della società. Il tribunale, infatti, ha revocato alcune direttive emesse due anni fa da organi esecutivi che ammorbidivano le pene o garantivano de facto l’impunità a quanti commettevano violenze sui dalit.

L'impegno della Chiesa, in tutta la nazione, per la promozione sociale e culturale dei dalit prosegue soprattutto nel campo dell’istruzione. I vescovi cattolici nel Tamil Nadu, stato nel sud dell’India, hanno avviato programmi per fornire orientamento professionale agli studenti dalit. Come ha rimarcato il presidente della Commissione per la pastorale per i dalit, il vescovo di Dindigul Thomas Paulsamy, 150 studenti delle 18 diocesi cattoliche dello stato hanno partecipato al programma di formazione che mira a fornire «la migliore istruzione possibile a tutti i bambini poveri e svantaggiati. Desideriamo promuovere nuove idee e pensieri negli studenti dalit, creare nuovi obiettivi e realizzare i loro sogni. Nessuno studente deve essere privato dell’istruzione superiore a causa della povertà, intoccabilità o scarsi mezzi e conoscenze», ha rimarcato. «Vogliamo consentire agli studenti e ai giovani dalit di identificare le loro abilità, capacità e talenti, uscire dalla paura e dalla debolezza, sviluppare la propria personalità, aiutandoli a fiorire nella vita con fiducia in se stessi», ha aggiunto Jessy Sagai, coordinatrice della Commissione. È un impegno tanto più significativo in uno stato come il Tamil Nadu dove i cristiani costituiscono il 6 per cento della popolazione, e sono per il 60 per cento dalit. In alcune aree dello stato la loro presenza tocca l’85 per cento, con un tasso di alfabetizzazione inferiore al 30 per cento. Il focus sulle pari opportunità, sull’accesso all’istruzione e al mondo del lavoro sono centrali nel Black Day, che vuol essere anche una sana provocazione per saldare forze sociali, organizzazioni della società civile, settori del mondo della politica, dell’accademia e della cultura nel contrastare ed eliminare le ingiustizie del sistema.

di Paolo Affatato