· Città del Vaticano ·

La presunta misoginia del futuro Celestino V

Pietro e le donne

Niccolò di Tommaso, Celestino V (XIV secolo)
25 agosto 2020

Alcune espressioni attribuite a Pietro del Morrone (poi Papa Celestino v) e conservate negli Atti del processo di canonizzazione, hanno persuaso molti storici del fatto che l’anziano eremita fosse in realtà un vero misogino. Fu davvero così? Le cose, in realtà, non stanno proprio come sembrerebbe a prima vista.

Le testimonianze mostrano indubbiamente un eremita deciso nel voler evitare ogni tipo di contatto con le donne; tuttavia, una lettura sincronica delle testimonianze afferenti ai singoli miracoli richiede di emettere giudizi meno netti di quanto possa essersi fatto in passato. In effetti, secondo Rainaldo di Gentile, l’eremita sarebbe stato «infastidito dalla presenza degli uomini e soprattutto delle donne, la cui vista fuggiva». A detta dell’anziano testimone, a infastidire Pietro non erano però solo le donne, ma in genere coloro che venivano a violare la sua solitudine. Stessa cosa dichiara Pandolfo di Giovanni Palombi di Sulmona.

D’altra parte è pure vero che, al pari degli uomini, anche le donne collaborano alla costruzione dei diversi insediamenti, come risulta da molteplici testimonianze, e diverse donne asserirono, a più riprese, di aver incontrato frate Pietro nei suoi eremi, senza accennare per questo ad alcuna difficoltà da parte sua. L’impressione che se ne ricava è che la prudenza che frate Pietro certamente mantenne nei rapporti con le donne venga amplificata dal filtro maschile, vale a dire che gli uomini siano stati portati piuttosto ad accentuarla.

Esemplare, in tal senso, la vicenda di Catania, moglie del notaio Giovanni di Riccardo di Sulmona, figlia di maestro Benedetto di Sulmona, medico: a raccontare la storia che la vede protagonista di una guarigione miracolosa è lei stessa insieme a suo padre, maestro Benedetto, e all’ottuagenario medico Rainaldo di Gentile di Sulmona, zio — sembra — del marito della donna, ma vi fanno riferimento anche molti altri testimoni. Il racconto di Catania è di uno straordinario realismo e consente di cogliere aspetti concreti della vita quotidiana: ella piombò infatti nel buio, restando cieca, mentre era intenta a filare con altre donne del vicinato; dolore e smarrimento furono tali che non era più capace di riconoscere nemmeno le voci di quante le erano intorno, che invece le sembravano provenire dal profondo. Al momento della deposizione, Catania non ricordava più quanti giorni restò oppressa dal dolore; disse soltanto che si trattò di «più giorni», durante i quali non trovava nessun giovamento dalle cure che suo padre e gli altri medici di Sulmona le prodigavano. Prese allora a diffidare delle terapie, riponendo invece fiducia in frate Pietro, a motivo della sua fama pubblica, per i cui meriti Dio operava miracoli, finché ebbe nel sonno una visione nella quale un vecchio che stava presso l’altare della chiesa di San Pelino, vicino Sulmona, le mostrò la «retta via» lungo la quale s’incamminò.

Proprio tale visione lascia emergere — nel racconto della donna — la distanza che la separa dal marito. Di fronte alle sue insistenze affinché la portasse da frate Pietro, l’uomo si mostrò infatti alquanto infastidito; infine, si decise a legare la moglie su un cavallo e, benché molto contrariato, a condurla dall’uomo di Dio in compagnia di altri uomini. Catania non nutrì scrupoli nel ricordare che prima dell’incontro con frate Pietro suo marito era stato «molto dissoluto nella vita sua» e il ritratto che ce ne restituisce è così realistico da far pensare che ella soffrisse ancora del comportamento avuto in precedenza dall’uomo.

Giunti dall’eremita, questi spostò l’attenzione dalla moglie al marito: non era la donna, pur sofferente, la vera malata, ma l’uomo; era lui, in realtà, a essere bisognoso di cure e a lui frate Pietro dedicò gran parte del tempo. Non sappiamo cosa Pietro abbia potuto intuire della situazione della coppia. Certo è che, con dolcezza, seppe trasformare Giovanni dall’essere un uomo dedito a crapule, miscredente, poco incline alle opere buone, in una persona diversa, votata ad astinenze e digiuni e alla preghiera.

Le testimonianze di Catania e di maestro Rainaldo non coincidono pienamente nel riferire ciò che accadde nell’eremo. Le differenze in realtà sono tali che i racconti, piuttosto che contraddirsi, finiscono per integrarsi vicendevolmente; risultano invece incompatibili riguardo alla descrizione dei movimenti di Catania: secondo maestro Rainaldo gli uomini del gruppo le avrebbero impedito di avvicinarsi al luogo, mentre dalla testimonianza della donna sembra potersi evincere che la stessa — almeno in un primo momento — sia comparsa insieme agli altri alla vista di frate Pietro. È vero inoltre che la descrizione dell’animato confronto che suo marito ebbe con l’eremita è troppo viva e realistica per poterla mettere in dubbio: bisogna dunque supporre che ella poté almeno udire, se non anche vedere, quanto accadde tra i due.

Quel che emerge dall’analisi della vicenda di Catania, come anche da quella di Trotta di Benedetto, originaria di Castel di Sangro, è che nei racconti delle donne non si fa mai riferimento alle severe parole che frate Pietro avrebbe pronunciato in merito a una presenza femminile nell’eremo, come invece risulta dalla testimonianza che di quelle stesse guarigioni dettero gli uomini. Qualcosa di simile si riscontra pure in occasione della guarigione di Elisabetta, una fanciulla di Sulmona, raccontata da Rainaldo del notaio Bonomo di Sulmona — un suo «consanguineo» — e dalla madre di lei, Bartolomea, già moglie del notaio Bonomo.

Emerge dunque una disparità di accenti nonché una sostanziale difformità riguardo ai rapporti di frate Pietro con le donne, a seconda che a rendere la deposizione fossero quest’ultime oppure degli uomini: in ogni caso, le espressioni più severe e dure contro il sesso femminile sono tutte rintracciabili in deposizioni rese da maschi. Ci si può perciò chiedere se quando riferirono che Pietro non avrebbe neanche voluto vedere delle donne, questi stessi testimoni non stessero in realtà rivelando una propria concezione del ruolo femminile e dello spazio riservato all’altro sesso, rigorosamente ristretto all’interno delle mura domestiche.

Va da sé che una tale, presunta avversione finisse per rafforzare anche l’immagine di Pietro uomo castissimo, trionfatore sul demonio, che proprio attraverso la donna avrebbe voluto farlo cadere, ma che nulla invece poté contro di lui. Tuttavia, una tale avversione non solo non sembra essere stata di Pietro, ma neppure dei suoi più diretti seguaci. Non v’è dubbio, perciò, che debba essere adeguatamente ridimensionata.

di Felice Accrocca