· Città del Vaticano ·

8 agosto memoria liturgica di san Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine dei predicatori

La sfida del dialogo tra le divisioni del mondo

Sandro Botticelli, «San Domenico benedicente»
07 agosto 2020

Quando venni per la prima volta in monastero, erano ospiti della comunità anche un frate domenicano e una suora domenicana di vita attiva. Rimasi profondamente colpita dalla fraternità, dalla gioia che traspariva dal loro stare insieme. In quei giorni avevo “toccato”, senza saperlo, il “cuore” stesso di Domenico: il dono che egli aveva ricevuto dallo Spirito e trasmesso a tutti i suoi figli. Questo carisma che continua a irradiare i suoi raggi benefici, caldi e luminosi, sul mondo intero, si rivelava a me nella bellezza della gioia fraterna: in quell’aspirare a essere «un cuore solo e un’anima sola in Dio» che è il motivo stesso della nostra vita domenicana.

Per parlare di Domenico di Guzmán (1170-1221), fondatore dell’ordine dei predicatori, prendo in prestito l’esperienza di una delle più grandi donne che siano mai esistite: la domenicana santa Caterina da Siena (1347-1380), dottore della Chiesa, patrona d’Italia e d’Europa. Ciò che dirò, lo traggo dall’insegnamento di lei che è non solo la più insigne e autorevole discepola di Domenico, ma anche il “canale” femminile più efficace e autentico del carisma.

A lei Dio Padre rivelò che Domenico «fu uno lume che Io porsi al mondo col mezzo di Maria» (Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, clVIII, 478-479). È straordinario come Caterina descriva il carisma dell’ordine quale dono dello Spirito alla Chiesa e al mondo col mezzo di Maria. Dietro questa piccola frase, si nasconde  il ruolo centrale che Domenico diede alla donna  in un tempo in cui la parte femminile dell’umanità era confinata ai margini di ogni vicenda umana, culturale, politica e sociale. Ciò sta a significare non solo una profonda devozione mariana, da sempre attestata nell’Ordine, e un riconoscimento del carisma quale dono specifico di Maria, ma anche che la predicazione domenicana si compie passando per il tramite della donna e che la stessa predicazione (cui i frati, primariamente, si dedicano) si attua solo col mezzo della contemplazione (nell’ordine questo compito, che è di tutti, è però affidato in maniera speciale alla donna).

Colui che ebbe a confessare, al termine della propria vita, di avere avuto la “debolezza” di preferire sempre la conversazione delle donne giovani a quella delle donne anziane (intendendo, così, manifestare la propria piena fiducia di poter trovare la freschezza del carisma proprio nelle donne giovani), iniziò la propria avventura carismatica non tanto con i frati, ma con un gruppo di donne adulte, ex eretiche che, tornate a Cristo attraverso la sua parola infuocata, desideravano donarsi tutte a Dio e sostenere la predicazione del vangelo attraverso una vita di preghiera e penitenza. Sembra che il fondatore dell’ordine dei predicatori — che il padre  Henri-Dominique Lacordaire definì «tenero come una madre e forte come un diamante — avesse compreso che solo “insieme”, uno di fronte all’altra, in una complementarità di doni e reciprocità di sostegno, l’uomo e la donna potevano essere canali di grazia, strumento di misericordia, predicatori efficaci della Parola di vita.

Domenico era un vero contemplativo. Amava restare un po’ indietro quando, insieme ai compagni, percorreva lunghi tratti di strada, e immergersi nel silenzio, tutto raccolto in Dio. Da quel silenzio scaturivano parole e gesti di vita, oltre che l’insolita capacità di captare nell’ordinarietà della vita e delle situazioni la voce di Colui che gli parlava proprio attraverso le persone e gli avvenimenti. Tutto ciò che gli accadeva era, per lui, occasione per ascoltare la sete delle persone e la voce di Dio. E nell’esperienza del silenzio e del deserto del cuore, a Fanjeaux, egli comprese che c’era bisogno di “spazio”: spazio per il “diverso”, spazio per il dialogo. Spazio perché la Parola potesse essere predicata dentro uno stile di vita fino ad allora impensato: la vita comune, la contemplazione, lo studio, la povertà volontaria. Il cuore di Domenico è un cuore ferito dal buio del mondo; la sua sete è la sete ardente di chi sente su di sé le ferite degli altri e desidera rispondere alla voce di Colui che invita: «Chi ha sete, venga a me e beva» (Gv 7, 37).

Al centro della spiritualità domenicana sta la sfida del dialogo profondo tra le vite, le esperienze e le persone, attraverso la comunione di vita. Che è una forma di “obiezione di coscienza” alle devastazioni del cuore dell’uomo, alle sue fratture interiori, alle divisioni, alle violenze e alle guerre: cerchiamo di vivere tra noi ciò che desideriamo per il mondo. Questo sforzo continuo è la nostra preghiera e la nostra preghiera è efficace solo se accompagnata da questo sforzo continuo.

L’altro, allora, è colui che mi apre la strada verso Dio. Di più: è la mia via a Dio. Perché, secondo la Santa senese, solo così è possibile ricambiare l’amore gratuito e infinito di Dio: partorendo nel prossimo le virtù concepite nella preghiera. Lo studio della verità nasce da questa profonda esperienza di unità che rende presente, vivo tra noi, il Risorto. Lui stesso è la Via che ci porta dentro la Verità del Padre attraverso la Vita nello Spirito. Quando viviamo nella comunione, Gesù, che è il ponte che congiunge il cielo e la terra, ci porta dentro la Trinità, ma solo “insieme”. Così, conosciamo le Persone divine “dal di dentro”, per esperienza e non più per sentito dire. La particolarità della via domenicana verso la santità è proprio questa: ogni passo di questo cammino io non lo faccio da sola, ma insieme all’altro. Non potrò mai essere a immagine e somiglianza di Dio e vicina a Lui né potrò conoscerlo “da sola”: l’altro è colui che mi aiuta a entrare nell’esperienza trinitaria ed è colui senza il quale io non potrò mai avere un’autentica conoscenza di Dio. Cristo è la via ed è la porta, ma l’altro è colui con il quale, soltanto, io posso “entrare” in Dio attraverso questa porta. Il domenicano inizia il suo cammino di santità insieme all’altro e insieme all’altro lo porta a compimento.

Quando chiesero a Domenico su quale libro avesse studiato egli rispose: «Sul libro della carità». Non possiamo illuderci di raggiungere le periferie del cuore di ogni persona del nostro tempo e di essere predicatori della grazia, senza “studiare” giorno e notte Cristo, scritto in Maria (cfr. Dialogo  cxlv, 1223; cliv, 107; Orazione xi). E la fecondità della predicazione non viene, secondo Caterina, dalla bellezza delle parole, ma da una vita di unione con Dio. Quanto più si ama, tanto più le parole diventano essenziali ed efficaci.

Seguire Domenico, allora, significa entrare insieme in questa “Via delle virtù”, e portare tutti gli uomini dentro l’abbraccio trinitario. Significa divenire noi stessi il “luogo” dell’abbraccio di Dio al mondo, vivendo la carità della verità e la verità dell’unità. Attraverso la meravigliosa sfida della comunione di vita.

di Suor Mirella Caterina Soro
Monastero domenicano Santa Maria della Neve e San Domenico - Pratovecchio (Arezzo)