· Città del Vaticano ·

Intervista al presidente dell’Associazione Santi Pietro e Paolo

In prima linea nell’accoglienza ai pellegrini

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08 agosto 2020

«Dalla riapertura delle basiliche papali a Roma, l’accesso dei pellegrini da un’iniziale media di 70 al giorno è cresciuto costantemente, salendo a circa 3.000 pro die. Ciò comporta una mole di lavoro che impegna circa 360 soci al mese». Lo sottolinea Stefano Milli, presidente dell'Associazione Santi Pietro e Paolo, che in questa intervista a «L’Osservatore Romano» traccia un bilancio delle attività svolte durante il lockdown e il successivo, lento, ritorno alla normalità, evidenziando come sia cambiato il servizio svolto dal sodalizio vaticano in questo tempo di pandemia.

Come riassumerebbe l’identità dell’Associazione?

Direi che si può esprimere nella «fedeltà di Palazzo». Essa ha sempre contraddistinto in maniera tangibile la nostra storia, giunta ormai all’alba del cinquantesimo anniversario di fondazione, che si celebrerà nel 2021. Una fedeltà incondizionata al Romano Pontefice, che affonda le radici ancor più nel passato, essendo noi eredi della Guardia Palatina d’Onore.

Come state vivendo l’emergenza provocata dal coronavirus?

Vorrei fare una premessa: mai ci si era trovati a dover fronteggiare tempi di disagio totale come quelli vissuti negli ultimi mesi, nemmeno durante i due conflitti mondiali che hanno marcato tristemente la storia del Novecento. Questa “nuova guerra” del covid-19, infatti, ha tolto ai soci quanto di più essenziale per l’espletamento dei loro servizi, quello cioè che ha sempre rappresentato un elemento imprescindibile, il quotidiano contatto: tra noi, nella sede del sodalizio al Cortile di San Damaso, coi pellegrini nella basilica di San Pietro, con i poveri e gli emarginati, attraverso le iniziative caritative a sostegno di tre realtà vaticane gestite da altrettante famiglie religiose femminili: le missionarie della Carità di santa Teresa di Calcutta, nella Casa Dono di Maria; le suore vincenziane, nel Dispensario pediatrico Santa Marta; e le francescane dell’Addolorata, presso la Casa Santo Spirito.

Una privazione particolarmente pesante durante il lockdown?

Esatto. In pratica l’isolamento e il distanziamento sociale, imposti dalle norme di contenimento adottate anche in Italia e in Vaticano, hanno di fatto svuotato l’azione operativa dell’Associazione, creando una situazione di stallo senza precedenti: si è andati dal fermo totale delle attività in sede, alla sospensione delle messe domenicali e della formazione di aspiranti e allievi; fino all’annullamento completo anche dei servizi di vigilanza e di ordine svolti dalla sezione liturgica, a causa della chiusura della basilica vaticana ai pellegrini.

Non avete pensato a sfruttare le nuove forme di comunicazione attraverso i social media?

Come no! Monsignor Joseph Murphy, capo del Protocollo della Segreteria di Stato, nella sua qualità di nostro assistente spirituale ha cercato subito di farsi presente in ogni modo ai tanti soci, cercando di lenire la loro sofferenza. Fin dal mese di marzo, con la collaborazione della segreteria dell’Associazione, ha fatto pervenire tramite mail tutte le settimane le omelie preparate per la messa domenicale in cappella. Questi testi, molto apprezzati, si sono rivelati delle vere meditazioni anche sul momento di disagio che si stava vivendo, cercando di infondere coraggio attraverso la linfa della Parola di Dio. È stata una presenza costante, che ha accompagnato e confortato tutti. Inoltre monsignor Murphy ha potuto contare su un nuovo vice assistente, monsignor Ivan Santus, della seconda sezione della Segreteria di Stato, nominato a febbraio. Il sacerdote bergamasco ha avuto anche la delega per la formazione del Gruppo allievi, che proprio in questo 2020 festeggia il decimo anniversario.

E qual è stato il ruolo della Sezione caritativa?

Se è mancata l’azione operativa in questo tempo difficile, mai però è venuta meno l’anima del sodalizio: che, nella preghiera e nella carità, ha saputo dare continuità al proprio carisma originario. Diretta da Sergio D’Alessandro, la Sezione caritativa ha sempre risposto agli impegni presi, mai sospendendo — pur nel rispetto delle norme anticontagio — l’azione verso i più deboli ed emarginati. Sono infatti stati regolarmente onorati i sussidi economici mensili per tutti gli assistiti: basti ricordare che attraverso l’interna Conferenza San Vincenzo de’ Paoli alcune famiglie bisognose ricevono ogni mese buoni in denaro; e che attraverso le Figlie della carità ben 50 nuclei ottengono, con cadenza mensile, pacchi viveri. Inoltre durante il lockdown, in via straordinaria, si è anche provveduto a consegnare vestiario di vario genere e scarpe per gli ospiti delle Missionarie della carità. Un piccolo gesto concreto che ha risposto in parte alla impossibilità di spesa per la sussistenza di base che, purtroppo, a causa della crisi economica derivante dalla pandemia, ha investito molte famiglie anche a Roma. Non è infine mancato il contributo alla carità del Santo Padre: si è pensato di provare a far vivere dignitosamente la Pasqua anche durante il covid-19 ai tanti emarginati e disagiati che frequentano le zone intorno al Vaticano. Per questo è stato consegnato al cardinale elemosiniere Konrad Krajewski, un carico di colombe, uova di cioccolata e strenne varie, da lui destinate ai poveri.

Come già accaduto nella storia della Guardia Palatina prima e, dell’Associazione poi, è dunque la carità a far sempre da collante?

Proprio così: quando venne sciolta la Guardia, con lettera di Paolo VI datata 14 settembre 1970, fu grazie all’interna Conferenza San Vincenzo de’ Paoli che gli ex militi continuarono a frequentare il quartiere della Guardia Palatina nel Palazzo apostolico, fino a quando, il successivo 24 aprile 1971, Papa Montini approvò il nuovo statuto facendo nascere l’Associazione Santi Pietro e Paolo. La conferenza «San Pietro» — già creata in seno alla Guardia Palatina — rimase dunque l’unica attività operante, dando continuità tra il disciolto corpo militare e il sodalizio che ne ha raccolto l’eredità. Con la costituzione dell’Associazione, essa ha rappresentato anche la struttura spirituale della nascente Sezione caritativa. La San Vincenzo infatti ha mantenuto e tramandato lo spirito delle origini nelle già menzionate opere di sostegno che l’Associazione ha proseguito fino a oggi.

C’è allora un legame a doppio filo con la San Vincenzo?

Si tratta di una storia illustre che è tornata a imporsi anche durante gli ultimi mesi di disagio, consentendo all’Associazione di continuare il proprio servizio. Per tale motivo abbiamo avuto l’onore quest’anno di ricevere la gradita visita di Renato Lima de Oliveira, 16° presidente internazionale della Società vincenziana, l’organismo che raccoglie tutte le Conferenze del mondo. Nella circostanza ci ha lasciato in dono una copia della lettera di aggregazione della Conferenza vaticana alla Società, datata Parigi 26 novembre 1951; una reliquia del beato Federico Ozanam, consistente in un pezzo di stoffa del sudario, in occasione dell’esumazione del corpo avvenuta all’inizio del processo di canonizzazione; una bandiera, una medaglia commemorativa, una copia dello statuto e alcuni libri. Infine ci ha comunicato di aver elevato il gruppo vincenziano in seno all’Associazione, da aggregazione locale a Conferenza nazionale, in rappresentanza della Città del Vaticano nell’assise internazionale.

E oggi, passata almeno per il momento la fase più acuta, come state vivendo il post-lockdown?

Anche in Vaticano l’emergenza resta, ma si cerca di convivere col virus, e mantenendo alta l’attenzione si tenta di ripartire e di tornare gradualmente alla normalità. Perciò dopo tre mesi di chiusura, a fine maggio scorso la basilica vaticana è stata riaperta ai fedeli insieme alle altre basiliche papali di Roma. Da quel momento anche i soci sono tornati in prima linea nel servizio ai pellegrini, con nuove modalità richieste dai superiori e dai competenti organismi vaticani. Oggi l’Associazione è chiamata a svolgere nuovi servizi, in aggiunta a quelli istituzionali in Vaticano. Su richiesta del Corpo della Gendarmeria vaticana, infatti, dalla riapertura siamo impegnati quotidianamente a San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura, per la rilevazione della temperatura ai pellegrini che accedono, mediante l’ausilio dei termoscanner, nonché nella continua e necessaria vigilanza affinché siano rispettate le norme di contenimento e di distanziamento sociale.

di Eugenio Cecchini