· Città del Vaticano ·

Intervista alla superiora generale delle Suore armene dell’Immacolata Concezione

Come una mamma

Suor Jeannette Arousiag Sajonian con due bambine dell’orfanotrofio di Gyumri
12 agosto 2020

Una vita intera dedicata all’assistenza ai più svantaggiati, ai poveri e agli esclusi dalla società, ai bambini abbandonati. Orfanotrofio, centro assistenza anziani, scuola professionale per ragazzi poveri sono le principali iniziative portate avanti dalla religiosa. Un’incisiva opera pastorale quella di Jeannette Arousiag Sajonian, superiora generale delle Suore armene dell’Immacolata Concezione che con i suoi 75 anni continua giorno dopo giorno, con grande determinazione, ad aiutare i tanti fratelli armeni che hanno bisogno dell’opera incessante della Chiesa. «Devo la mia vocazione religiosa a mia madre e a santa Teresa del Piccolo Fiore. All’inizio — racconta la religiosa a L’Osservatore Romano — volevo farmi suora carmelitana, ma i miei amici mi convinsero che, come armena, dovevo servire il mio popolo. Anche mia madre avrebbe voluto abbracciare la vita religiosa, ma i genitori l’avevano fatta sposare quando aveva 15 anni e andava ancora a scuola. Sono grata del fatto che abbia sposato mio padre, altrimenti io non ci sarei. Rispondere alla chiamata del Signore non è stato semplicissimo perché da adolescente mi sono innamorata; ma non sono mai riuscita a far tacere la voce interiore che mi chiamava a dedicare la vita al Signore. Il mio ragazzo in seguito è diventato sacerdote e poi vescovo; immagino che il mio ingresso in convento sia stato un modo per fargli trovare la sua vocazione. Ogni giorno della mia vita lo dedico al Signore e a tutti quelli che chiedono aiuto, grandi e piccoli: tutti sono figli di Dio».

Quanti bambini ospitate nel vostro orfanotrofio. Sono tutti cattolici ?

A Gyumri, capoluogo della regione di Shirak, ospitiamo trentatré bambini, ma in passato ne accoglievamo il doppio, sessantasei. All’inizio erano orfani che avevano perso i genitori in seguito al terremoto o che non avevano una famiglia. Oggi, purtroppo, abbiamo soprattutto ragazzi abbandonati dai loro papà e talvolta anche dalle mamme. Degli attuali ospiti, più della metà ha i genitori ancora in vita, ma molti non sanno chi sono. Quasi tutti i nostri piccoli ospiti vivono con noi, fatta eccezione per due o tre che la sera tornano a casa. Nel nostro orfanotrofio non chiediamo mai la denominazione religiosa, accogliamo tutti senza discriminazioni. Il principale obiettivo è quello di offrire a ogni bambino affidato alle nostre cure un posto in cui sentirsi a casa, dedicandoci con impegno e amore alla crescita mentale, spirituale, fisica, emotiva e psicologica. Non lavoriamo solo con i bambini, ma anche con le loro famiglie, cercando di aiutarle il più possibile fornendo cibo, indumenti, materiale scolastico. Grazie ai benefattori e alle singole persone che sostengono i nostri ospiti riusciamo a provvedere a tutti i bisogni dei bambini a Gyumri e delle giovani universitarie nel nostro centro di Erevan, l’Annie Bezikian Youth Center, dove ospitiamo diciotto ragazze. Alcune di esse sono orfane, altre provengono da famiglie povere i cui genitori non hanno la possibilità di pagare vitto, alloggio e tasse universitarie. Grazie ai benefattori, offriamo un sostegno finanziario completo a undici famiglie, aiuti occasionali a un’ottantina di nuclei familiari, nonché vestiti a chiunque bussi alla nostra porta. Tra i benefattori italiani vorrei ricordare l’associazione Famiglia Insieme», che da anni sostiene economicamente gli orfani, e l’associazione di volontariato Manalive» che ci aiuta da qualche mese e vuole donare agli orfani una biblioteca in lingua inglese.

Quanto è difficile per un ragazzo che è stato ospite del vostro orfanotrofio riuscire a inserirsi nella società?

Con grande sorpresa del ministero per gli Affari sociali armeno, i nostri ragazzi dell’orfanotrofio sono stati i primi a frequentare l’Università di medicina a Erevan. Oggi abbiamo tre chirurghi dentisti, un farmacista e due cantanti lirici, più alcuni laureati all’Università americana in Armenia, a quella francese e alla statale di Erevan nelle facoltà di lingue ed educazione dell’infanzia. Di solito la gente guarda con favore i ragazzi che escono dal nostro orfanotrofio perché credono nel nostro operato, tuttavia, nonostante le loro doti, gli orfani in Armenia vengono ancora guardati dall’alto in basso perché bambini abbandonati dai loro genitori. Abbiamo fatto sposare più di diciotto delle nostre ragazze. Alcune hanno costruito una bella famiglia solida, altre si sono separate e si sono affidate alle nostre cure insieme ai loro figli. Dobbiamo constatare che alcune di queste giovani, che sono state private da piccolissime dell’affetto materno, hanno difficoltà a dare la necessaria attenzione ai propri figli.

Nonostante i suoi molteplici impegni lei trova il tempo anche per prestare servizio nei campi estivi che la sua congregazione organizza a Tsaghkadzor, la “valle dei fiori” sulla strada verso Sevan.

Tranne che per questa estate, contrassegnata dalla crisi sanitaria da coronavirus, ogni anno circa ottocentocinquanta ragazzi dagli 8 ai 15 anni, scelti fra i più poveri del paese (ragazzi a rischio, provenienti da orfanotrofi o da famiglie particolarmente disagiate) trascorrono una quindicina di giorni di vacanza nel nostro centro estivo, grazie al lavoro di volontari provenienti da tutto il mondo. Ma non ci occupiamo solo dei giovani. Noi suore armene dell’Immacolata Concezione forniamo assistenza diurna agli anziani soli e abbandonati dai loro cari. Li preleviamo a domicilio e li portiamo nella nostra casa di accoglienza, dove mangiano, pregano e giocano insieme.

Cosa è cambiato dal giugno 2016, cioè da quando Papa Francesco ha visitato l’Armenia?

Qui da noi c’è tanto rispetto per il Santo Padre. Una cosa importante che il Papa ha portato in Armenia è stata la consapevolezza della presenza dei cattolici nel nostro paese. Qualcuno indicherebbe un numero ridotto, ma durante la messa a Gyumri è apparso evidente che in Armenia ci sono tanti cattolici. E, naturalmente, la visita e le diverse ore di permanenza di Francesco nel nostro centro, che comprende il convento, l’orfanotrofio, il centro anziani e la scuola di formazione professionale, hanno sottolineato l’importanza delle nostre attività. La stanza in cui Sua Santità ha riposato per due ore è diventata un museo, e un giorno diventerà un santuario, ne sono certa. Tutti i nostri ospiti chiedono di vedere “la stanza del Papa”. Comunque, è cambiata la mentalità della società nei confronti degli orfani e dei ragazzi abbandonati. Noi siamo arrivate in Armenia dopo il terremoto del 1988 e ci siamo rese conto che la società emarginava i ragazzi abbandonati. Abbiamo dato loro un’istruzione. Quando la prima delle nostre orfane è andata all’università, in tanti si chiedevano come fosse stato possibile. Ho detto loro: se aiutate questi ragazzi nel modo in cui hanno bisogno, loro possono raggiungere qualunque risultato. Alla luce di questo, per far sentire ai giovani che anch’essi sono importanti, nel 2005 è nato un coro femminile che oggi nel suo repertorio canta brani di famosi compositori armeni e internazionali. Non tutti i nostri orfani possono frequentare l’università perché riceviamo ragazzi e ragazze che fino a 12-13 anni non sono mai andati a scuola. Per loro, però, abbiamo pensato di costruire una scuola di formazione professionale affinché imparino un mestiere: da noi possono apprendere l’arte culinaria, il servizio ai tavoli, come diventare barman e manager negli hotel, possono studiare e poi lavorare come tecnici informatici, elettricisti oppure idraulici.

Di cosa ha bisogno l’Armenia?

Ci sono tante cose da cambiare qui. È una nazione che soffre, non solamente per l’eredità lasciata da settant’anni di comunismo, ma anche per la povertà. Specialmente nella nostra provincia di Gyumri non c’è lavoro e per questa ragione la gente, tanti giovani, lasciano l’Armenia per trovare un’occupazione in Russia o in Europa occidentale.

di Francesco Ricupero