· Città del Vaticano ·

È morto il frate cappuccino Francis Nadeem punto di riferimento del dialogo interreligioso in Pakistan

Un uomo di Dio

Padre Nadeem (a sinistra) con il suo amico Shafaat Rasoolleader di una comunità sufi
04 luglio 2020

Essere un “uomo di Dio” significa essere pronto al dialogo e all’ascolto, provare rispetto ed empatia, promuovere pace, riconciliazione e armonia nelle relazioni umane, tra persone di culture e religioni differenti. È questa l’eredità di padre Francis Nadeem, frate cappuccino morto ieri, 3 luglio, in Pakistan, all’età di 65 anni, dopo il lungo calvario della dialisi e un attacco cardiaco. Nadeem, che viveva a Lahore, capoluogo del Punjab, era provinciale dei cappuccini nella “terra dei puri” e, dato il suo prezioso impegno nel campo dei rapporti con leader e comunità di altre fedi, era stato chiamato dai vescovi a coordinare la Commissione episcopale per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo. Nelle moschee e nelle madrase era di casa e numerosi responsabili religiosi islamici ne hanno apprezzato la mitezza, la pazienza, la disponibilità, la fede pura e genuina, lo spirito francescano di «speranza certa e carità perfecta». La sua opera e presenza sono state oltremodo utili per la società pakistana, contagiata dal virus del fanatismo e scossa dalle subdole correnti dell’odio e della violenza religiosa.

Francis Nadeem faceva parte della pattuglia di circa seicento francescani, tra uomini e donne, religiosi, suore e laici, che in Pakistan vivono “lo spirito di Assisi”, sinonimo di accoglienza verso ogni uomo. La loro presenza — eredità delle missioni avviate nel subcontinente dai frati cappuccini verso la fine del XIX secolo — si caratterizza con l’impegno per la giustizia e la pace. Il che significa offrire, spesso nel silenzio, costante supporto a quanti soffrono per discriminazioni, ingiustizie, persecuzioni, povertà. I francescani, amava dire il sacerdote, «mettono in pratica il Vangelo e vivono la cultura e lo spirito della misericordia che è un valore comune per islam e cristianesimo». Questo annuncio non era solo verbale ma era la vita stessa del frate: lo testimonia l’esperienza di autentica amicizia che Nadeem coltivava con Shafaat Rasool, leader di una comunità sufi in Pakistan. Era una relazione solida e intensa che travalicava i confini della diversa fede per andare alle radici della comune umanità. Oggi Rasool spiega a «L’Osservatore Romano», ricordando padre Francis con commozione: «La nostra amicizia era fondata sulla convinzione che l’esperienza mistica, sia essa di segno cristiano, musulmano o di un altro credo, unisce nel desiderare e promuovere la pace, valore supremo universale, perché “pace” è il nome di Dio».

Per entrambi, racconta, esiste un evento che, nella storia, costituisce un riferimento principe e che, mutatis mutandis, rappresentava plasticamente la loro relazione: l’incontro tra Francesco di Assisi e il sultano Malik al-Kamil, avvenuto a Damietta, in Egitto, nel 1219, mentre era in corso la quinta crociata: «I protagonisti di allora respinsero ogni logica di sopraffazione, scegliendo l’esperienza dell’incontro, riconoscendo nell’altro non un nemico da eliminare, ma una persona da ascoltare e accogliere». L’amicizia tra il frate e l’imam, in una terra ferita dall’estremismo e dall’odio religioso, è stato un seme gettato in un terreno a volte fertile, a volte spinoso: «Il nostro comune impegno nel dialogo tra fedi, inteso come relazione tra uomini di preghiera e come potente strumento di pace, prova che in Pakistan una società armonica, rispettosa e tollerante è una realtà possibile», rileva Rasool. Francis «è sempre stato molto umile e paziente con me. Il nostro rapporto si è gradualmente consolidato con il dialogo e la reciproca frequentazione. Grazie alla sua umiltà e pazienza è diventato un’autentica amicizia, basata sulla spiritualità. Così abbiamo iniziato a lavorare insieme per il dialogo interreligioso. Per anni siamo stati fianco a fianco in quest’opera, per costruire il bene comune del paese», sottolinea commosso.

Da vent’anni anni Nadeem aveva avviato a Lahore un Comitato per il dialogo interreligioso che ha riunito rappresentanti cristiani di altre confessioni, organizzando meeting, eventi culturali, incontri di preghiera, gesti concreti di vicinanza tra credenti e leader religiosi di diverse fedi. Nel 2006 il frate cappuccino ha ricevuto, per quest’opera meritoria, il Pakistan Civil Award ed è poi stato chiamato dai vescovi a continuare in questo impegno. Negli anni ha creato una rete virtuosa di persone, istituti cristiani e scuole coraniche (le cosiddette madrase), centri culturali e associazioni che si riconoscono in un messaggio di pace e di armonia. Il fine di questo network è disinnescare l’odio, la violenza e i pregiudizi circolanti nella società pakistana, promuovendo dialogo, rispetto e accoglienza tra i musulmani (che in Pakistan sono il 90 per cento dei duecento milioni di abitanti) e le minoranze religiose cristiane e indù.

Era divenuto frate francescano già a vent’anni Francis Nadeem, ascoltando la chiamata di Dio a seguire le orme del Poverello di Assisi. I confratelli lo hanno ben presto apprezzato e scelto come vice-provinciale per due mandati triennali, poi come provinciale per altri due (l’ultimo era iniziato nel 2017), fidandosi del suo “buon governo”, della sua umiltà, della sua capacità di ascolto e mediazione, del suo spirito evangelico di vero francescano, di un cuore pacificato e ricolmo della grazia di Dio.

di Paolo Affatato