
Essere un “uomo di Dio” significa essere pronto al dialogo e all’ascolto, provare rispetto ed empatia, promuovere pace, riconciliazione e armonia nelle relazioni umane, tra persone di culture e religioni differenti. È questa l’eredità di padre Francis Nadeem, frate cappuccino morto ieri, 3 luglio, in Pakistan, all’età di 65 anni, dopo il lungo calvario della dialisi e un attacco cardiaco. Nadeem, che viveva a Lahore, capoluogo del Punjab, era provinciale dei cappuccini nella “terra dei puri” e, dato il suo prezioso impegno nel campo dei rapporti con leader e comunità di altre fedi, era stato chiamato dai vescovi a coordinare la Commissione episcopale per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo. Nelle moschee e nelle madrase era di casa e numerosi responsabili religiosi islamici ne hanno apprezzato la mitezza, la pazienza, la disponibilità, la fede pura e genuina, lo spirito francescano di «speranza certa e carità perfecta». La sua opera e presenza sono state oltremodo utili per la società pakistana, contagiata dal virus del fanatismo e scossa dalle subdole correnti dell’odio e della violenza religiosa.
Francis Nadeem faceva parte della pattuglia di circa seicento francescani, tra uomini e donne, religiosi, suore e laici, che in Pakistan vivono “lo spirito di Assisi”, sinonimo di accoglienza verso ogni uomo. La loro presenza — eredità delle missioni avviate nel subcontinente dai frati cappuccini verso la fine del XIX secolo — si caratterizza con l’impegno per la giustizia e la pace. Il che significa offrire, spesso nel silenzio, costante supporto a quanti soffrono per discriminazioni, ingiustizie, persecuzioni, povertà. I francescani, amava dire il sacerdote, «mettono in pratica il Vangelo e vivono la cultura e lo spirito della misericordia che è un valore comune per islam e cristianesimo». Questo annuncio non era solo verbale ma era la vita stessa del frate: lo testimonia l’esperienza di autentica amicizia che Nadeem coltivava con Shafaat Rasool, leader di una comunità sufi in Pakistan. Era una relazione solida e intensa che travalicava i confini della diversa fede per andare alle radici della comune umanità. Oggi Rasool spiega a «L’Osservatore Romano», ricordando padre Francis con commozione: «La nostra amicizia era fondata sulla convinzione che l’esperienza mistica, sia essa di segno cristiano, musulmano o di un altro credo, unisce nel desiderare e promuovere la pace, valore supremo universale, perché “pace” è il nome di Dio».
Per entrambi, racconta, esiste un evento che, nella storia, costituisce un riferimento principe e che, mutatis mutandis, rappresentava plasticamente la loro relazione: l’incontro tra Francesco di Assisi e il sultano Malik al-Kamil, avvenuto a Damietta, in Egitto, nel 1219, mentre era in corso la quinta crociata: «I protagonisti di allora respinsero ogni logica di sopraffazione, scegliendo l’esperienza dell’incontro, riconoscendo nell’altro non un nemico da eliminare, ma una persona da ascoltare e accogliere». L’amicizia tra il frate e l’imam, in una terra ferita dall’estremismo e dall’odio religioso, è stato un seme gettato in un terreno a volte fertile, a volte spinoso: «Il nostro comune impegno nel dialogo tra fedi, inteso come relazione tra uomini di preghiera e come potente strumento di pace, prova che in Pakistan una società armonica, rispettosa e tollerante è una realtà possibile», rileva Rasool. Francis «è sempre stato molto umile e paziente con me. Il nostro rapporto si è gradualmente consolidato con il dialogo e la reciproca frequentazione. Grazie alla sua umiltà e pazienza è diventato un’autentica amicizia, basata sulla spiritualità. Così abbiamo iniziato a lavorare insieme per il dialogo interreligioso. Per anni siamo stati fianco a fianco in quest’opera, per costruire il bene comune del paese», sottolinea commosso.
Da vent’anni anni Nadeem aveva avviato a Lahore un Comitato per il dialogo interreligioso che ha riunito rappresentanti cristiani di altre confessioni, organizzando meeting, eventi culturali, incontri di preghiera, gesti concreti di vicinanza tra credenti e leader religiosi di diverse fedi. Nel 2006 il frate cappuccino ha ricevuto, per quest’opera meritoria, il Pakistan Civil Award ed è poi stato chiamato dai vescovi a continuare in questo impegno. Negli anni ha creato una rete virtuosa di persone, istituti cristiani e scuole coraniche (le cosiddette madrase), centri culturali e associazioni che si riconoscono in un messaggio di pace e di armonia. Il fine di questo network è disinnescare l’odio, la violenza e i pregiudizi circolanti nella società pakistana, promuovendo dialogo, rispetto e accoglienza tra i musulmani (che in Pakistan sono il 90 per cento dei duecento milioni di abitanti) e le minoranze religiose cristiane e indù.
Era divenuto frate francescano già a vent’anni Francis Nadeem, ascoltando la chiamata di Dio a seguire le orme del Poverello di Assisi. I confratelli lo hanno ben presto apprezzato e scelto come vice-provinciale per due mandati triennali, poi come provinciale per altri due (l’ultimo era iniziato nel 2017), fidandosi del suo “buon governo”, della sua umiltà, della sua capacità di ascolto e mediazione, del suo spirito evangelico di vero francescano, di un cuore pacificato e ricolmo della grazia di Dio.
di Paolo Affatato