· Città del Vaticano ·

Il 31 luglio la Chiesa celebra la memoria liturgica di sant’Ignazio di Loyola

Tra verità su Dio e su noi stessi

Il monogramma IHS raffigurato nelle Camerette di sant’Ignazio accanto alla Chiesa del Gesù a Roma (XVI secolo)
30 luglio 2020

Gli «Esercizi spirituali» in alcune meditazioni scritte da Bergoglio negli anni Ottanta


Il 31 luglio la Chiesa celebra la memoria liturgica di sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù e autore dei celebri Esercizi spirituali. In alcune riflessioni scritte da Jorge Mario Bergoglio tra il 1980 e il 1986 e pubblicate nel 1987 — tradotte, per la prima volta integralmente in italiano, e contenute nel volume edito da Solferino con il titolo Cambiamo! (Milano, 2020) — si ritrovano elementi e riflessioni per comprendere alcuni elementi della spiritualità ignaziana mutuata dall’esperienza personale, comunitaria e pastorale di Papa Bergoglio. Questi brani permettono di «entrare nello sguardo del Pontefice» e «comprendere meglio il modo di giudicare e di agire», come scrive padre Antonio Spadaro, direttore de «La Civiltà Cattolica» nella prefazione alla nuova edizione. Dalla parte iniziale che ha come titolo «Veracità e conversione», contenente «meditazioni sulla prima settimana di Esercizi», pubblichiamo alcuni passi tratti dai capitoli “Principio e fondamento”, “Peccato” ed “Esame”.

All’inizio degli Esercizi spirituali sant’Ignazio ci mette di fronte a questo Dio vero, Dio nostro Signore, Gesù Cristo, testimone di verità. E ci fa considerare alcune verità sulla nostra vita, quelle verità basilari alle quali ci farà ricorrere nei momenti più decisivi della scelta (cfr. ES 170, 184-185).

La prima è la nostra verità creaturale. «L’uomo è creato» (ES 23). Viene da Dio, è stato fatto da Lui. Ma creato come persona, come se fosse l’unico, «plasmato» dalle mani di Dio, che in lui ha riposto le proprie aspettative. Io non lascio Dio indifferente. Egli mi ha in mente, mi ama, mi cura, fa di me il signore della creazione, che — con la mia libertà — devo orientare a Lui, Signore assoluto. E per farlo devo servire, da servo inutile (cfr. Lc 17, 10), per essere riconosciuto definitivamente come un servo fedele (cfr. Mt 25, 21-23). Sono chiamato a lodare, a riverire, a sforzarmi di affermare con tutto il mio essere, la mia mente, la mia parola, il mio corpo, la mia modestia, che c’è un solo Signore degno di ogni lode: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» (Ap 5, 12). La verità sui casi della vita: salute e malattia, vita lunga e vita breve, ricchezza e povertà, onore e disonore. Il mio effettivo comportamento davanti a essi. La verità su questi eventi che non dipendono da me, ma mi riguardano nel mio accettarli; e la verità su quelli che dipendono da me, sulla scelta e sul rifiuto.

La verità sulla mia libertà: il modo in cui li scelgo, il modo in cui li respingo. La mia famiglia religiosa, la mia comunità, il mio atteggiamento di «massima abnegazione e continua mortificazione» al servizio del più a cui sono chiamato.

La verità sui nostri desideri affinché siano fecondi: «Desiderando e scegliendo soltanto quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati».

Questa è la verità che ci rende liberi, di una libertà del cuore inedita per le nostre possibilità meramente umane, perché questa libertà è una grazia, un dono. Un dono, tuttavia, del quale non possiamo disinteressarci: un dono da meritare con il nostro lavoro e con il nostro operato. Questa verità significa indifferenza a tutto ciò che non è Dio.

Due cose attirano l’attenzione quando s’inizia la meditazione sui peccati. La prima è la preghiera preparatoria (cfr. ES 46). Chiediamo a Dio nostro Signore, cioè Gesù Cristo, il Signore del «Principio e fondamento», che «tutte le mie intenzioni, azioni e attività siano puramente ordinate a servizio e lode di sua divina maestà» (ES 46). Qui ripetiamo il «Principio e fondamento», ma c’è qualcosa di più: appare esplicitamente l’idea di ordine, «essere ordinato a», che contrasterà con il disordine della tragedia del peccato. Sant’Ignazio vuole che consideriamo questo disordine del peccato a partire da un cuore che desidera essere ordinato; e qui già sono scintille, perché si scontrano due realtà.

La seconda cosa che colpisce in entrambi gli esercizi sul peccato (cfr. ES 45 e 55) è la composizione di luogo: «Consisterà nel vedere con la vista immaginativa e nel considerare la mia anima imprigionata in questo corpo corruttibile, e tutto il composto in questa valle, come esiliato, tra bruti animali. Per composto si intende anima e corpo» (ES 47). Due realtà della nostra esistenza: l’assenza di libertà (essere imprigionati) e l’esilio: entrambe conseguenze del peccato originale ed entrambe ricorrenti nella storia di salvezza del popolo d’Israele.

Il popolo fu fatto schiavo (Egitto, Babilonia, Roma). Gesù stesso, il Signore del «Principio e fondamento», ha conosciuto l’esilio (in Egitto e nei brevi espatri in Galilea) e la schiavitù (nella notte del giovedì santo).

Quando considero la mia persona, incatenata e deportata, sottoposta alla corruzione e agli assalti di bruti animali, mi identificherò con il Signore glorioso del «Principio e fondamento» che ha voluto portarsi in cielo le sue piaghe come ricordo della schiavitù e dell’esilio che ha patito. Farò la meditazione sul peccato con questa disposizione, e concluderò contemplando questo Signore «davanti a me e posto in croce», considerando che «da Creatore è venuto a farsi uomo, e da vita eterna a morte temporale, e così a morire per i miei peccati» (ES 53), che equivale a considerare Cristo deportato e fatto schiavo da me, quel Cristo che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2, 6-8). Di fronte al disordine della prima disobbedienza s’innalza, maestosa nella sua umiliazione, l’impresa d’instaurare l’ordine con l’obbedienza.

Faremo il primo esercizio sui tre peccati che ci propone sant’Ignazio: in primo luogo, il peccato degli angeli. Presenteremo alla memoria il peccato degli angeli, «come essi, essendo stati creati in grazia, non volendosi usare con la loro libertà per riverire e obbedire al loro Creatore e Signore, divennero superbi, passarono dallo stato di grazia a quello di malizia e furono cacciati dal cielo nell’inferno» (ES 50). Quindi il peccato di Adamo ed Eva e infine il terzo peccato, «il peccato particolare di uno che per un peccato mortale sia andato all’inferno» (ES 52).

Immediatamente dopo il «Principio e fondamento», sant’Ignazio dedica ampie pagine all’esame di coscienza (cfr. ES 24-43).

La lettura mostra la cura scrupolosa che egli pone affinché appaia la verità su noi stessi e, in questo modo, veniamo liberati da qualsiasi inganno. L’esame di coscienza ignaziano è il percorso della ricerca della nostra verità al cospetto di Dio. Ma è anche il percorso nel quale cerchiamo la verità di Dio su di noi e la verità del cattivo spirito su di noi, in modo che, esaminando le mozioni, comprendiamo a che punto siamo e impariamo a discernere la verità dalla menzogna.

Perciò l’esame si prolunga, in modo strumentale, nelle «Regole per sentire e conoscere in qualche modo le varie mozioni che si producono nell’anima: le buone per accoglierle e le cattive per respingerle» (ES 313-336). Infine, tutto questo processo di conoscenza della verità viene sostenuto dall’intelaiatura delle annotazioni (cfr. ES 1-20) e delle varie note complementari (cfr. ES 73-90; 127-133; 157; 199; 204-207; 226-229).

Sant’Ignazio è consapevole del fatto che non è facile conoscere la verità su noi stessi e su Dio nostro Signore, e la verità di Dio nostro Signore su di noi. Il buon seme seminato nel buon campo cresce insieme alla zizzania, seminata di notte dal nemico (cfr. Mt 13, 25). Imparare a riconoscerla è parte della nostra vita spirituale. Domandiamoci con san Paolo: «Chi vi ha tagliato la strada, voi che non obbedite più alla verità?» (Gal 5, 7). «Non accogliemmo l’amore della verità» (cfr. 2Ts 2, 10) per varie ragioni. Bisogna scoprirle. Gesù stesso ce lo fa notare: «La preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola» (Mt 13, 22; cfr. Mc 4, 19). E l’inganno ci indebolisce, ci rende simili a certe donnette «che non rie-scono mai a giungere alla conoscenza della verità» (2Tim 3, 7-8). Per mantenersi sulla via della verità servono lealtà e fortezza, perché «la via della verità sarà coperta di disprezzo» (2Pt 2, 2) e bisogna combattere di continuo per non restare ingannati. Ora comprendiamo perché sant’Ignazio abbia dato tanta importanza all’esame di coscienza (dal quale non dispensava mai) e sia giunto a esaminare se stesso al tocco di ogni ora.

Infine, per non perdere mai di vista la concreta possibilità di allontanarsi dalla verità, di vivere nella menzogna, conviene essere aperti ai moniti dei fratelli: «Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati» (Gc 5, 19-20).

Correggere e lasciarsi correggere. Avere il coraggio di dire a un fratello (cercando il modo di rendere accettabile quel che dico) che sta allontanandosi dalla verità. E avere l’apertura di cuore di lasciare che lo dicano a me quand’è il caso. Sant’Ignazio nelle Costituzioni insiste su questa apertura di cuore e sulla disponibilità a essere avvertiti delle proprie mancanze e a ricevere bene queste avvertenze.