· Città del Vaticano ·

La testimonianza del direttore di Medici con l’Africa Cuamm

Non si può perdere tempo

Don Dante Carraro mentre visita un bambino all’ospedale centrale di Beira in Mozambico
09 luglio 2020

«L’attuale situazione non ci consente più di pensare all’effimero e al superfluo. Il virus ha dimostrato che viviamo in un unico mondo e ci ha insegnato quanto sia importante e necessario essere uniti e solidali»: parole di don Dante Carraro, medico cardiologo e direttore di Medici con l’Africa Cuamm, che ha tracciato con il nostro giornale un bilancio delle attività svolte dalla onlus nell’ultimo anno e nei primi mesi di questo 2020 così particolare.

Il 2019 ha visto gli operatori di Medici con l’Africa Cuamm impegnati in 8 paesi dell’Africa a sud del Sahara (Angola, Etiopia, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania, Uganda), in  23 ospedali e 855 strutture sanitarie.  «È stato un anno di grandi sfide e situazioni difficili e drammatiche allo stesso tempo — ricorda don Carraro — come la devastazione causata dal  ciclone Idai  che ha coinvolto la città di Beira, in  Mozambico, e che ha provocato oltre 600 morti, 146.000 sfollati e 1.850.0000 persone bisognose di cibo e acqua». Altro fronte caldo è stato il  Sud Sudan, paese fragilissimo e sempre in una situazione di instabilità, dove investire in salute diventa strumento per costruire concretamente la pace. Allo stesso tempo, tanti sono i risultati raggiunti: in  Sierra Leone, la messa in funzione del  primo servizio nazionale per le emergenze sanitarie, con  80  ambulanze  che percorrono il Paese e che in un anno hanno effettuato  33.393 trasporti. «Nel 2019 abbiamo compiuto passi da gigante — ricorda il direttore di Medici con l’Africa Cuamm — solo che adesso con la pandemia da covid-19 la situazione si complica soprattutto per quelle popolazioni costrette a stare chiuse in casa e nei villaggi per il lockdown imposto dai governi». Secondo don Carraro, l’impossibilità per molte persone di muoversi e di raggiungere gli ospedali e le strutture sanitarie provocherà a breve un’altra situazione emergenziale, dovuta alla mancanza di cibo e allo stato di salute di tantissimi bambini che in questo periodo non hanno ricevuto le cure adeguate e non hanno effettuato le vaccinazioni previste. «Tra le molteplici conseguenze sanitarie e socio economiche del covid-19 — sottolinea il sacerdote-medico — assistiamo all’aumento vertiginoso del numero di famiglie e di persone che chiedono cibo. In molti paesi dell’Africa Subsahariana, come Etiopia o Sud Sudan, milioni di persone vivono con appena 2 dollari al giorno. Si tratta di padri e madri che fino ad oggi riuscivano a sopravvivere vendendo qualche prodotto agricolo nei mercati o piccoli souvenir. Con il lockdown e il distanziamento sociale tutto ciò non è possibile». Questa situazione va ad aggravare uno status quo già di per sé difficile e compromesso. «La fame — prosegue don Dante — è dappertutto. Per questa ragione, noi di Cuamm, non abbiamo abbandonato tanti paesi africani, rimanendo con i nostri operatori in loco e assicurando aiuto e assistenza». Don Dante, insieme a tanti operatori italiani e con l’aiuto della popolazione locale, sta distribuendo in tante comunità del Sud Sudan, nelle aree rurali, farina, riso, olio e generi di prima necessità. In Angola, a Chiulo, sono sempre di più le mamme che vengono in ospedale a chiedere cibo per i loro bambini; anche in Mozambico vi è una situazione analoga. «Nei nostri centri dedicati alle mamme in gravidanza, dove ospitiamo le donne pochi giorni prima del parto, ci troviamo a sfamare decine e decine di ragazze che non sono incinte, ma che vengono da noi perché sanno di trovare qualcosa da mangiare sia per loro che per le loro famiglie».

Il direttore di Medici con l’Africa Cuamm non ha dubbi quando afferma: «È difficile racchiudere in poche parole un anno di impegno: meraviglia, riconoscenza, bellezza e fiducia, stupore e tenacia nel fare il bene. Nel 2019 abbiamo proposto il messaggio: “Lo stesso futuro”.  È quello negato a tante donne e bambini in Africa, il futuro che siamo impegnati a costruire e ricostruire ogni giorno sul campo. Un filo rosso spezzato che va riannodato a partire dal nostro impegno personale e quotidiano. Solo così costruiremo un unico futuro, lo stesso, e sarà più ricco e bello per tutti. E  oggi  più che mai vale questo proposito: in questo 2020 “ferito” sentiamo ancora più forte e vivo il desiderio di ricominciare a vivere e a impegnarci in Africa». Il sacerdote ribadisce la coraggiosa scelta di essere stati, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria, a fianco ai più bisognosi. «Non abbiamo mai abbandonato i nostri ospedali e i pazienti durante questo periodo di lockdown e ora, a brevissimo, partiranno per l’Africa 16 nuovi cooperanti, e da qui ai prossimi 2 mesi, saranno 40». Bisogna dare il cambio a chi, coraggiosamente, ha deciso di rimanere in prima linea. «La decisione di rimanere in Africa — precisa don Carraro — ha permesso di mantenere aperti e attivi i nostri ospedali e le nostre strutture, evitando il tracollo dei fragili sistemi sanitari. Insieme ai colleghi locali coltiviamo giorno per giorno la speranza». La stessa speranza di non veder vanificati gli sforzi fino ad oggi compiuti e di poter disporre di risorse adeguate per far fronte a questa pandemia, il cui picco secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, deve ancora venire. «Non nascondo la preoccupazione che le risorse potrebbero diminuire. Stiamo assistendo a un calo di donazioni, ma io voglio continuare a pensare a tutti quelli che continuano a sostenerci. Abbiamo bisogno di risorse finanziarie e umane; cerchiamo persone, uomini e donne, disponibili a partire e ad abbracciare l’Africa. Noi non perdiamo la speranza e la fiducia che il buon Dio ci dia la lucidità per andare avanti e scegliere l’essenziale. Invochiamo il suo aiuto affinché ci faccia comprendere cosa è importante e cosa, invece, non serve. Viviamo ansie e difficoltà, incertezze e preoccupazioni, specie per il futuro. L’attuale situazione — conclude — non ci consente di pensare alle cose inutili».

di Francesco Ricupero