· Città del Vaticano ·

Quando Georg Ratzinger raccontava la sua vita e il suo legame con il fratello Joseph

Nella famiglia le radici di una fede comune

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02 luglio 2020

Se c’è una parola per descrivere il legame che per un’intera vita ha tenuto uniti i fratelli Ratzinger, quella parola è famiglia. L’immagine del Papa emerito, provato dagli anni, che nei giorni scorsi ha voluto con tutte le sue forze raggiungere il capezzale del fratello per stargli accanto nell’ultimo tratto del suo percorso terreno, è stata solo il sigillo, l’espressione visibile a tutti di un filo d’amore che anche nelle circostanze meno note ha sempre intrecciato le loro esistenze. E quel filo, che anche oggi — dopo la morte di monsignor Georg, avvenuta mercoledì 1° luglio — continua nella fede a unire strettamente i due fratelli, si chiama appunto famiglia.

Una vicinanza intima e discreta che si comprende riandando alle radici della loro storia comune e delle loro scelte di fede.

Georg, nato nel 1924, era più grande di tre anni, non tanti da impedire di condividere il proprio cammino con Joseph sin dalla fanciullezza. Gli anni della loro prima infanzia a Tittmoning, in Baviera, e poi ad Aschau sono densi di ricordi, di tanti momenti di condivisione familiare, di piccoli “rituali” che scandivano i giorni e le ricorrenze. Come quando papà Joseph li portava, insieme alla sorella Maria, al santuario della Madonna Nera di Altötting: «Quelle visite — raccontava Georg nel 2011 nel libro intervista Mio fratello Papa, scritto con Michael Hesemann — fanno parte dei ricordi più belli della nostra infanzia. L’atmosfera così pregna della presenza divina grazie alle preghiere incessanti dei fedeli ha sempre affascinato molto mio fratello e me: essere cresciuti respirando quel clima ha avuto un ruolo importante nella nostra vita e nella nostra formazione. Potevamo sempre confidare a Maria le nostre paure e i nostri bisogni e sebbene questi fossero di poco conto durante l’infanzia, ci sentivamo sempre protetti da lei».

O come quando, a Natale, i fratelli uscivano con lo slittino sulla neve, mentre la mamma Maria addobbava l’albero. Dopo la recita del rosario in cucina, il suono di una campanella li chiamava in soggiorno e lì c’era un piccolo abete rosso e sul tavolo i regali: «Questa scena — diceva — ci colpiva sempre molto, anche grazie alla luce creata dalle candele che diffondevano un profumo meraviglioso (...) Poi papà leggeva il vangelo che raccontava della natività secondo Luca e intonavamo alcuni canti di Natale (...) Una volta, nel 1936, quando ero già al liceo, scrissi io stesso una piccola composizione. La eseguimmo in tre, mia sorella all’armonium, mio fratello al pianoforte e io con il violino. La mamma si commosse fino alle lacrime e anche papà rimase colpito da quell’esibizione, sebbene in modo più sobrio».

Le radici della loro fede erano proprio in questa quotidianità semplice, sostenuta da un forte senso di comunità domestica. In famiglia si pregava insieme tutti i giorni prima e dopo ogni pasto, ma soprattutto dopo pranzo, quando ognuno poteva esprimere le proprie richieste particolari. E si invocava anche san Disma, il “buon ladrone” che si pentì sulla croce e chiese perdono: si rivolgevamo a lui come patrono dei malfattori pentiti, perché proteggesse papà Joseph durante lo svolgimento del suo lavoro di gendarme.

Più grandicelli, i due fratelli servivano insieme all’altare come chierichetti. Furono anni — quelli che precedettero lo scoppio della guerra mondiale — ricchi di spensieratezza, di passatempi semplici e di passione per la musica. Una passione che li ha accompagnati fino alla vecchiaia, con quel talento speciale di cui Georg godeva e che segnò la strada della sua vita nella quale brilla la direzione, per trent’anni, dal 1964 al 1994, del coro della cattedrale di Ratisbona, i Regensburger Domspatzen. Georg ricordava con limpidezza l’emozione di quando, nel 1941, insieme al fratello raggiunse in bicicletta Salisburgo per ascoltare i Regensburger Domspatzen che eseguivano alcuni brani del Requiem di Mozart: «Eravamo entusiasti, la musica era stupenda. In quel momento non potevo certo immaginare che ventitré anni dopo sarei stato io il responsabile di quel gruppo, ma fu proprio quello che accadde».

E anche la vocazione sacerdotale dei due fratelli ha visto intrecciarsi strettamente i loro percorsi. «Non so — ricordava Georg — se in qualche modo io sia stato di esempio per mio fratello. Sicuramente egli vedeva nella mia esperienza quella che sarebbe stata la sua, quando decise, di sua volontà, di seguirmi su questa via». Una vocazione comune che rinsaldò, ancora di più, nella solidarietà l’intera famiglia, costretta a non pochi sacrifici per garantire ai due gli studi in seminario.

L’esperienza della guerra interruppe il percorso di formazione in seminario. E i due fratelli dovettero rispondere in modi diversi agli eventi che precipitavano. Nel 1942 Georg venne arruolato nelle Reichsarbeitsdienst, e in seguito nella Wehrmacht, con la quale combattè anche in Italia. Catturato dagli Alleati nel marzo 1945, resta prigioniero a Napoli per alcuni mesi prima di essere rilasciato e di poter far ritorno in famiglia.

Un’esperienza che incise sui due fratelli, non solo per la lontananza fisica cui furono costretti, ma che li segnò anche in quello che potremmo definire il loro “cammino condiviso”. Georg ne parlava così: «L’aver superato senza conseguenze le brutte esperienze della guerra rafforzò in me e in mio fratello la convinzione che Dio avesse dei progetti per noi. Le disavventure di quegli anni ci avevano fatto confrontare con la paura, un sentimento che fino ad allora non avevamo ancora provato. Eravamo stati costretti a vivere in un mondo che prima ci era completamente ignoto e che non avremmo mai immaginato così brutale. Avevamo letteralmente visto la morte in faccia. Tutto questo ci aveva cambiati profondamente, facendoci comprendere l’importanza di molte cose che prima consideravamo ovvie e confermandoci sempre più nella nostra intenzione di diventare sacerdoti».

Ripresero tutti e due gli studi filosofici a Frisinga, dove i compagni, li chiamavano significativamente l’uno Bucher-Ratz (“il Ratz dei libri”) e l’altro Orgel-Ratz (“il Ratz dell’organo”). Poi, completati i corsi di teologia (per questi Joseph si trasferì a Monaco), arrivò il giorno più importante della loro vita, vissuto uno accanto all’altro. Il 29 giugno 1951 i due fratelli vennero ordinati sacerdoti nella cattedrale di Frisinga dal cardinale Michael von Faulhaber. Una festa alla quale partecipò tutta la città. «Non appena entrammo nel duomo, l’organo iniziò a suonare, mentre il coro cantava. La nostra liturgia ci regala davvero momenti meravigliosi! (…) In noi si rinforzò la certezza che con l’imposizione delle mani cominciava un nuovo capitolo della nostra esistenza, che sarebbe stata colma della presenza di Dio e ricca di benedizioni».

Dopo l’ordinazione, i percorsi dei due fratelli imboccarono direzioni decisamente differenti, con Joseph, addirittura, portato nel tempo a lasciare definitivamente la Germania, destinazione Roma.

Ma sempre quel filo tenace che li univa, quel sentirsi “famiglia” anche a centinaia di chilometri di distanza, li ha richiamati spesso per trascorrere del tempo insieme. Erano i momenti in cui si rivedevano per qualche giorno di vacanza: lunghe passeggiate e chiacchierate nella natura. Erano le feste, come il Natale, da passare tutti insieme, rivivendo in famiglia gesti e devozioni depositati nei ricordi bambini. Erano anche i momenti tristi, della condivisione del dolore, quando nel 1959 morì papà Joseph, quando, dopo le sofferenze della malattia, nel 1963 fu la mamma a essere chiamata dal Signore e quando scomparve l’amata sorella nel 1991.

E quando poi, il fratello divenne Benedetto XVI, fu Georg a raggiungerlo più volte in Vaticano o a Castel Gandolfo. Come sempre, cuore a cuore, condividendo la gioia e la ricchezza di essere famiglia. E pregando insieme. Raccontava Georg sempre nel 2011: «Guida lui la preghiera: dopo la messa del mattino, di pomeriggio i vespri e la sera la compieta, perché io non riesco più da solo. Prima di coricarci, a volte mi chiede di eseguirgli qualche brano al pianoforte. Scelgo canti religiosi o popolari, come Im schönnsten Wiesengrund, ma anche brani come Der Mond is aufgegangen oppure Adieu zur guten Nacht, molto semplici. Invece nel periodo dell’Avvento, com’è normale, prediligo inni natalizi».

Come tanti anni prima ad Aschau, quando fuori c’era la neve, loro recitavano il rosario e mamma Maria addobbava l’albero.

di Maurizio Fontana