· Città del Vaticano ·

Netta vittoria del sì nel referendum promosso da Putin

Modificata la Costituzione della Russia

TOPSHOT - Russian President Vladimir Putin shows his passport to a member of a local electoral ...
02 luglio 2020

La Russia volta pagina e dopo quasi trent’anni si avvia ad archiviare la Costituzione post-sovietica, simbolo dell’era targata Boris Eltsin. Il referendum costituzionale — voluto dal presidente, Vladimir Putin, per legittimare le modifiche alla Carta fondamentale e consolidare per sempre la sua eredità politica — è arrivato alla sua fase conclusiva, dopo una settimana di voto diffuso nel Paese.

I dati vanno nella direzione indicata dal Cremlino: affluenza alta (oltre il 64 per cento) e vittoria netta dei sì con il 77,9 per cento. Lo riferisce l’agenzia di stampa russa Interfax, che cita fonti dell’autorità federale elettorale di Mosca.

I cambiamenti costituzionali aprono la strada all’estensione del Governo del presidente Putin fino al 2036, ma non solo. Alcuni emendamenti ridisegnano in parte le competenze dei vari organi statali aumentando di fatto i poteri del capo dello Stato. Altri danno invece valore costituzionale al patriottismo e ai principi conservatori promossi da Putin.

Nella legge fondamentale dello Stato, inoltre, si vieta di sminuire il contributo sovietico nella lotta al nazismo e di cedere ad altri Paesi parti del territorio russo: un modo quest’ultimo, indicano gli analisti, per ribadire che Mosca non intende restituire all’Ucraina la Crimea, annessa di fatto dalla Russia nel 2014.

Infine, si afferma che la Russia è l’erede dell’Urss e si legittimano così le mire del Cremlino sullo scacchiere internazionale. C’è poi una terza categoria di emendamenti che riguardano il benessere socio-economico: introducono nella Costituzione l’indicizzazione delle pensioni e vietano che gli stipendi siano inferiori al minimo di sussistenza, per ora fissato a 135 euro al mese.

Riguardo l’assetto istituzionale, il capo dello Stato potrà adesso imporre il proprio candidato primo ministro anche senza sciogliere la Duma (il Parlamento) nel caso in cui questa respinga tre volte la persona scelta dal presidente per guidare l’Esecutivo.