· Città del Vaticano ·

Ne «I Malavoglia» di Giovanni Verga

Istantanea di una realtà senza tempo

La locandina del film di Luchino Visconti e (a lato) una scena del film
30 luglio 2020

Cara Giulia, mai come quest’anno l’arrivo dell’estate è coinciso con un desiderio enorme di libertà e di spazi aperti. Mai avevo desiderato così tanto il mare e per trovare il luogo delle mie vacanze mi sono affidata ancora una volta alla letteratura. Ho cercato in biblioteca tra i miei vecchi libri, le possibilità erano infinite ma in fondo a uno scaffale, piuttosto impolverato, mi è capitato tra le mani I Malavoglia (1881). Doveva essere là dai tempi della scuola, istintivamente lo stavo per rimettere a posto, cercavo sì il mare, ma un mare di villeggiatura e una lettura leggera quasi da ombrellone. Ma poi ho deciso di rileggerlo e quelle sensazioni sono evaporate in un attimo. Quel capolavoro di modernità anche nel linguaggio, quell’istantanea di una realtà senza tempo mi ha profondamente scossa. La mia estate è incominciata tra quelle pagine. Ad Aci Trezza.

Cara Flaminia, hai scelto una lettura e un luogo consegnati alla geografia letteraria, il mare di cui parla Verga è un mare amaro, a cui va strappato un bottino spesso magro. Questo romanzo è la storia di una famiglia di pescatori poverissimi ma ricchi di dignità e valori. I Malavoglia, così chiamati ma il loro vero nome è Toscano, vivono di pesca grazie alla vecchia barca chiamata Provvidenza. Il vecchio capofamiglia è padron ‘Ntoni, depositario del sentimento di sacralità dei valori di casa, famiglia, lavoro. Il naufragio della barca con il carico di lupini comprati a prestito, e la morte in mare di Bastianazzo sono l’inizio di una serie di sciagure.

Flaminia: Verga, in linea con il suo credo nel darwinismo sociale, vuole tratteggiare un affresco di quella lotta per la vita che vede come destino inesorabile e che riguarda tutte le classi sociali. Una concezione in linea con il pensiero del Naturalismo.

Giulia: Il mare è, nei Malavoglia, anch’esso parte della concezione verghiana della vita. È fonte di sopravvivenza ma anche portatore di rischio e sciagura, è metafora del mondo ignoto che, fuori dal ristretto legale con la casa e la famiglia può travolgere con «un’onda immensa». Rappresenta l’ignoto contrapposto al sicuro, il movimento contrapposto all’attaccamento. Già nella novella Fantasticheria Verga aveva parlato del mare come metafora del vasto mondo dove i pesci grossi mangiano quelli piccoli e sopravvivono solo le ostriche che restano attaccate allo scoglio. Ogni allontanamento da un appiglio è danno, perdita, smarrimento.

Flaminia: Verga aveva un progetto molto più ampio, perché è rimasto incompiuto?

Giulia: Nel progetto iniziale I Malavoglia dovevano essere il primo di cinque romanzi il cui titolo sarebbe stato Marea. Solo i primi tre sono stati realizzati: Mastro Don Gesualdo e La Duchessa di Leyra. Verga morì e dei restanti due libri restano solo abbozzi.

Flaminia: In base alla tua esperienza di insegnante come mai, secondo te, è prassi consolidata assegnare come lettura estiva I Malavoglia nella scuola dell’obbligo?

Giulia: I Malavoglia sono una lettura densa e impegnativa e incautamente la si affida a lettori troppo giovani, troppo distanti per vissuto di mondo e di cultura. Peccato! Si potrebbero invece leggere pagine scelte e poi affidare la lettura dell’intera opera al liceo.

Flaminia: C’è un film che potrebbe legarsi alla lettura di un classico così importante?

Giulia: Visconti ne trasse un film La terra trema premiato a Venezia nel 1948. Il film è stato interpretato da anonimi abitanti di Aci Trezza, e realizzato in stretto dialetto siciliano. Direi che è adatto ad un pubblico di cinefili. Potrebbe essere presentato anche a un liceale, ma con dovute spiegazioni e commenti, soprattutto per la forza espressiva di alcune scene di mare, ricche di citazioni pittoriche.

di Giulia Alberico
e Flaminia Marinaro