· Città del Vaticano ·

Nasce in Italia il progetto ResQ per salvare i migranti

Essere soccorsi è un diritto

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29 luglio 2020

Il Mediterraneo non è più il mare della vita, culla della civiltà occidentale. È divenuto, purtroppo, un luogo di tragedia e di morte. Un luogo nel quale ogni giorno migliaia di disperati cercano di raggiungere l’Europa su mezzi di fortuna, senza alcuna sicurezza — anzi, nel completo disprezzo dei diritti umani più elementari. I governi sono stati finora incapaci di dare risposte adeguate e coordinate.

Con l’obiettivo di dare un segnale nuovo e lanciare un progetto concreto è nata ResQ-People Saving People, una nuova associazione che, con una nave, andrà a salvare vite nel Mediterraneo. L’iniziativa punta a dire basta allo stillicidio di vite umane, sia di coloro che muoiono affogati, sia di coloro che vengono riportati nei lager libici. Il progetto è stato presentato oggi, mercoledì, in una videoconferenza organizzata dai promotori.

«È un’ottima e cruciale iniziativa nel panorama italiano e non solo. I salvataggi in mare non sono solo responsabilità italiana, ma soprattutto europea» ha spiegato Filippo Grandi, commissario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), intervenuto alla videoconferenza. Uno degli obiettivi cruciali di ResQ è la comunicazione e l’informazione, cioè dare una visione realistica dell’immigrazione nel mondo. «Quasi il 90 per cento di coloro che sono costretti a fuggire dalle loro case non sta in Europa; la percentuale di coloro che arrivano in Europa è bassissima. Ad esempio, l’Uganda, un Paese povero, ha di recente aperto le frontiere a centinaia di migliaia di rifugiati dal Congo» ha sottolineato Grandi, mettendo in rilievo l’importanza di capire le dimensioni del fenomeno. «È immorale il fatto che ancora discutiamo se salvare oppure no. È un obbligo salvare i migranti, e questo da ogni punto di vista. Per realizzarlo abbiamo bisogno della società civile; gli Stati non sono all’altezza delle loro responsabilità. Senza i salvataggi molte persone perdono la vita» ha aggiunto il commissario.

«L’obiettivo di ResQ è salvare persone, senza nessun altro fine. Un impegno previsto dalla nostra stessa Costituzione» ha detto il presidente onorario dell’associazione, l’ex magistrato Gherardo Colombo. «L’articolo 10 della Costituzione italiana dice che le persone che nel loro Paese non possono valersi delle libertà democratiche garantite dalla nostra costituzione hanno il diritto di essere accolte. Non è una facoltà o un privilegio. È un diritto» ha aggiunto. «Avremo una nave, non saranno mai abbastanza, e andremo a salvare tutte le persone che sono in difficoltà in mezzo al mare, la logica è questa: se c’è una persona che sta annegando in mezzo al mare la si salva. Lo faremmo per chiunque, di qualsiasi tendenza e qualsiasi opinione avesse». L’ex magistrato non entra e non vuole entrare nella discussione politica: «Certo non tutti diranno che facciamo bene, tanti diranno che facciamo male; a me non viene da apostrofare come disgraziati quelli che la pensano in modo diverso. Piuttosto — ha sottolineato — con questa iniziativa si può stimolare il pensiero a riconoscere che tutte le persone sono persone».

L’organizzazione di un progetto di questa portata ovviamente è molto complessa e implica tutta una rete di collaborazioni istituzionali e non, così come campagne di fundraising. Tutto nasce “dal basso”, dal personale desiderio di partecipazione e di solidarietà: «Nessuna sigla. Nell’associazione ci sono anche persone che non lavorano nell’ambito ma che hanno scelto di sostenere il nostro progetto. Ci sono un missionario, uno studente, molti giornalisti, psicologi, architetti, medici, bibliotecari e molto altro» ha spiegato Sara Zambotta, co-fondatrice di ResQ. «La motivazione? Una sola: senso di impotenza, l’impossibilità di continuare a sentirsi così impotenti di fronte alle stragi nel Mediterraneo. Il nostro movimento vuole fare rete e collaborare con chi già salva vite nel Mediterraneo».

La nascita di ResQ arriva in un momento delicatissimo: gli sbarchi sulle coste italiane sono ripresi, così come il dibattito politico in Europa. Ma, come accennato, l’Europa e il Mediterraneo sono solo una faccia della medaglia.

Ogni giorno migliaia di rifugiati e migranti muoiono e patiscono gravi violazioni di diritti umani durante i viaggi irregolari dall’Africa occidentale e orientale alle coste nordafricane. L’ultimo rapporto dell’Unhcr — presentato ieri — descrive le molteplici modalità in cui la maggior parte dei migranti risultano vittime di «episodi di inenarrabili brutalità e disumanità» per mano di trafficanti, miliziani e, in alcuni casi, perfino di funzionari pubblici. «Per troppo tempo, gli atroci abusi subiti da rifugiati e migranti lungo queste rotte, via terra, sono rimasti largamente invisibili» commenta l’Unhcr.

I dati che emergono dal rapporto sono agghiaccianti: almeno 1.750 persone hanno perso la vita nel corso dei viaggi nel 2018 e nel 2019. Si tratta di un tasso di almeno 72 decessi al mese lungo le rotte dell’immigrazione in Africa. Queste morti si sommano a quelle delle migliaia di persone che negli ultimi anni hanno perso la vita o sono risultate disperse tentando viaggi disperati attraverso il Mediterraneo per approdare in Europa dopo aver raggiunto la coste nordafricane. Circa il 28 per cento delle morti registrate nel 2018 e nel 2019 si è verificato nel corso dei tentativi di traversata del deserto del Sahara. Altre località potenzialmente mortali comprendono: Sebha, Cufra, e Qatrun nella Libia meridionale, l’hub del traffico di esseri umani Bani Walid, a sudest di Tripoli; e numerose località lungo la parte di rotta che attraversa l’Africa occidentale, tra cui Bamako e Agadez.

I trafficanti sono i primi responsabili di violenza sessuale in Africa settentrionale e orientale, come registrato nel 90 per cento delle testimonianze. Un altro dato è ancor più preoccupante: in Africa occidentale i principali responsabili di aggressioni sono stati funzionari delle forze di sicurezza, militari o di polizia, avendo commesso un quarto degli abusi denunciati.

di Luca M. Possati