· Città del Vaticano ·

Nella Meseta castigliana l’incontro con una comunità di suore agostiniane

E tutto diviene facile

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24 luglio 2020

Il “Cammino francese”, la via più celebre e frequentata tra le tante che portano alla tomba dell’apostolo Giacomo, prende nome dal suo essere stata nei secoli il percorso privilegiato dai pellegrini che partivano dalla Francia e attraversavano i Pirenei a ridosso del Paese Basco, non lontano da Lourdes, per scendere in territorio iberico proprio in quella gola di Roncisvalle in cui nacque la leggenda di Orlando.

Da lì, il cammino scorre quasi sempre placido e silenzioso da est a ovest: un lungo fiume umano che attraversa lo spazio e il tempo. Da mille anni, ottocento chilometri di paesaggi sempre diversi, dalla Navarra alla Galizia, passando per la Meseta castigliana, questo immenso palcoscenico del cielo che guarda la terra e si rispecchia nel giallo dei campi di grano in solitudini quasi perfette. E nella Meseta, letteralmente la “Terra di mezzo” del cammino, il paesino di Carrión de los Condes si trova proprio a metà del percorso. La basilica di Nostra Signora del Cammino vi si staglia con le sue possenti mura romaniche erette sul finire del XII secolo. Se è vera la tradizione che vuole che Francesco d’Assisi abbia percorso quei sentieri, i suoi occhi si sono posati su quest’edificio solenne e maestoso.

A fianco della basilica, una giovane comunità di monache agostiniane esercita da quindici anni l’accoglienza ai pellegrini nel nome di Gesù. «Cor unum in Deum», il loro motto. È qui che da qualche anno molti studenti di un liceo di Roma hanno trovato l’opportunità di condividere questo gesto in un progetto della “famigerata” alternanza scuola-lavoro.

Dall’alba al tramonto, negli ambienti disegnati dalla facoltà di architettura di Palencia, dalle lodi al raccoglimento serale, gruppi di ragazzi credenti o non credenti, curiosi del mondo o talora chiusi in se stessi, sono “costretti” a confrontarsi con gente di ogni età e paese che bussa quotidianamente alla porta dell’albergue. Tutto in comunione con le suore, tutto nel massimo rispetto reciproco.

Ma dire rispetto è solo un punto di partenza che può parer banale. La parola latina da cui deriva questo abusato termine contiene una radice profonda, che ha a che fare con il guardare due volte, con l’attenzione a ciò o a chi si guarda. E così, dalle pulizie delle camerate al momento in cui si prepara il tè freddo prima di aprire la porta dell’ostello, dai pasti in comune con le suore all’ora del canto, ogni gesto finisce per raddoppiarsi e moltiplicarsi in un’esperienza umana nella quale “tutto diviene facile”: l’espressione di Péguy, che molte volte percorse a piedi i chilometri che separano Parigi dalla cattedrale di Chartres per pregare davanti all’immagine di Nostra Signora che là si venera, indica il fiorire semplice e inatteso della Grazia, l’esperienza che tanti fanno sul Cammino e spesso incontrano, proprio in questo albergue, pellegrini e volontari.

Quando alla sera le monache riuniscono gli ospiti dell’albergue e chiedono loro di suonare una canzone del loro paese o di raccontare perché stanno compiendo questa dura fatica, a volte accade di ascoltare storie di sofferenza o di ricerca di sé, domande di salvezza e improvvise commozioni per i doni ricevuti nella vita che accomunano molti dei pellegrini diretti a Santiago.

I ragazzi del liceo ne restano così colpiti che a volte, dopo l’esperienza del servizio scelta per ottemperare a un “obbligo formativo”, decidono di tornare da soli l’anno seguente, per un’attrattiva che non svanisce nel tempo. Tornano perché giova l’esperienza di un lavoro manuale, la condivisione di vite lontane eppure così somiglianti alla loro, la semplice testimonianza cristiana di ragazze che hanno pochi anni più di loro e hanno scelto inaspettatamente la vita religiosa per appartenere a Cristo e a tutti quelli che, spesso inconsapevolmente, attendono proprio quello sguardo che Pasolini gridava nella sua desolazione “in forma di rosa”: «Non una parola, o un accenno, o uno sguardo, / ah, uno sguardo, sono cristiani, per chi / ha l’abitudine, poco civile, certo, e un po’ angosciosa, / di richiedere questo a uno che parla, a uno che guarda».

Ci si accorge che non è vero che chi fa il cammino lo intraprende perché va di moda o per una sfida con se stesso. C’è forse anche questo, ma al fondo s’intravede una domanda di verità e di autenticità che in questo albergue e in altri luoghi di accoglienza può trovare una luce breve ma chiara. La pastorale delle suore altro non è che una presenza sorridente che dura lo spazio di un giorno, e realizza paradossalmente la frase di Teresa di Lisieux: «Per amarti, mio Dio, non ho che l’oggi».

Questa testimonianza passeggera ha talvolta l’efficacia che non avrebbero mille discorsi. In poche ore si gioca un incontro che è destinato a dissolversi con l’alba che richiama i pellegrini a non fermarsi, a riprendere la strada. Ma qualcuno a volte ritorna, perché l’accadere della Grazia è sempre in agguato.

di Giovanni Ricciardi