· Città del Vaticano ·

La corrispondenza d’amorosi affetti nell’«Eneide» e nell’«Orlando furioso»

Come un fiore reciso dall’aratro

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01 luglio 2020

Di fronte agli orrori della guerra, rea non solo di mietere vittime ma anche di spezzare i rapporti umani tra i sopravvissuti, Virgilio nell’Eneide scioglie un inno all’amicizia, la quale assume un valore ancor più pregnante perché proiettata sullo sfondo di uno scenario segnato da violenze, tracotanza e furia omicida. E per incarnare la dimensione alta dell’amicizia si serve di due figure, Eurialo e Niso, anch’esse in verità protagoniste di gesta belliche animate dalla volontà di annientare il nemico. Sono giovani guerrieri profughi di Troia e compagni di Enea. Eurialo, di grande bellezza, è poco più di un fanciullo e guarda a Niso, appartenente a una famiglia illustre, con grande ammirazione e vuole seguirlo anche nelle imprese più rischiose, sebbene l’amico cerchi di dissuaderlo. E l’impresa più importante consiste nell’entrare nell’accampamento nemico, quello dei Rutuli.

Approfittando del fatto che i soldati sono addormentati, sopraffatti dai fumi del vino, i due compiono una strage. Riuscirebbero a farla franca se l’ingenuità del giovanissimo Eurialo non rovinasse l’esito della coraggiosa sortita: egli ruba infatti alcuni oggetti appartenenti al nemico, tra cui lo splendido elmo di Messapo (un alleato italico dei Rutuli), il cui riflesso, alla luce della luna, e il vistoso pennacchio attireranno l’attenzione di Volcente, uno dei condottieri dei Rutuli, il quale, con la sua spada, nel fitto di un bosco, trafiggerà Eurialo. Questi non era riuscito a fuggire a Volcente che lo inseguiva anche perché appesantito dal bottino di guerra che aveva accumulato: un gesto che Niso gli aveva sconsigliato. Meno giovane e più esperto, aveva esortato l’amico a non eccedere dopo aver compiuto già una strage, infierendo sul nemico. Eppure Niso, appena si accorge che Eurialo è in grave pericolo, invece di continuare la fuga che gli avrebbe salvato la vita, torna indietro, cercando disperatamente di sottrarre l’amico al suo tragico destino. Seguirà una lotta accanita: Volcente uccide Eurialo e Niso uccide, vendicandosi, Volcente. Il corpo esanime di Eurialo viene paragonato da Virgilio, in versi che rappresentano uno degli apici del poema, a un fiore purpureo reciso da un aratro o a un papavero che abbassa il capo durante una pioggia battente.

Tra Eurialo e Niso è la figura di quest’ultimo a caricarsi di un messaggio più duraturo del bronzo, perché in lui confluiscono valori fondanti: amicizia, pazienza, comprensione, nonché una saggezza, sebbene anch’egli giovane, che non si mette in cattedra per impartire, freddamente, istruzioni e consigli. Ma è una saggezza che si innerva di umiltà, e quindi pronta a capire e a perdonare le fatali imprudenze dell’amico. Virgilio non descrive i due guerrieri come dei santi: hanno anch’essi difetti e debolezze, e sono per giunta pervasi da furia bellica. Ma è proprio su questo terreno accidentato e minato che sorge e attecchisce quell’amicizia, la quale, pur tra il sinistro frastuono di spade e pugnali, riesce a imporsi e a librarsi, riscattando — attraverso il sacrificio della propria vita per cercare di salvare l’amato compagno — quella vena di odio che pur si prova per il nemico.

Chiaramente ispirato a quello di Eurialo e Niso è l’episodio dell’Orlando furioso dell’Ariosto, il quale, per celebrare il valore dell’amicizia, crea a sua volta due figure immortali, Cloridano e Medoro, due fanti saraceni nemici dei cristiani. Anch’essi compiono una strage, inoltrandosi nell’accampamento cristiano e anche Cloridano, nella fuga, è alquanto impacciato: solo che in questo caso non sono i trofei del nemico a condizionarne i movimenti, ma è il corpo dell’amato re Dardinello, che egli regge sulle spalle. Lo stesso Cloridano, dopo aver trafitto con le frecce i nemici, si getterà nella mischia, trovando la morte, quando crede che Medoro sia rimasto ucciso (in realtà il guerriero pagano è vivo e sarà poi soccorso da Angelica).

La vicenda di Cloridano e Medoro rappresenta una matura riflessione sull’amicizia e sulla fedeltà, che non vacillano, e tanto meno cedono, di fronte alle prove più difficili e insidiose. Medoro è fragile, Cloridano e più deciso: eppure il coraggio di Medoro non è inferiore a quello dell’amato compagno. E l’amicizia tra i due si sublima nella vera e propria venerazione che hanno per il loro signore, Dardinello. Ecco allora che Ariosto plasma un solido viluppo di fortissimi legami suggellati dal valore della lealtà. E in quella preghiera alla luna — recitata in in suggestive ottave — che precede l’impresa, assai rischiosa, di Cloridano e Medoro di trasportare le spoglie del loro signore in un luogo sicuro, lontano da Parigi, vibra, struggente, il sentimento di un’amicizia che proprio dalla consapevolezza di un destino tanto imminente quanto tragico trae una forza che supera ogni remora e vince ogni debolezza. Per configurarsi dunque quale fulgido esempio di un legame puro e indistruttibile, completamente ignaro di meschini voltafaccia e di vili tradimenti.

di Gabriele Nicolò