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Alla ricerca della vocazione perduta

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27 luglio 2020

Le carenze della scuola nell’orientamento degli studenti verso il lavoro


C’è un buco nel sistema scolastico, che pur essendo macroscopico viene spesso sottaciuto nella sua gravità. Si tratta della capacità della scuola di saper contribuire alla formazione di un orientamento alle scelte universitarie e lavorative successive al percorso scolastico. Se la scuola è — o dovrebbe essere — soprattutto scuola alla vita, la mancanza di un supporto allo svelamento della propria vocazione, è evidentemente una mancanza grave.

In realtà in tutte le scuole superiori è prevista negli organigrammi una «funzione strumentale all’orientamento», ma quasi sempre si tratta di un ruolo burocratico il cui compito essenziale è di organizzare le presentazioni di marketing dei vari istituti accademici in concorrenza. Su ciò ulteriormente si innesta, occorre dirlo, un rigetto dei docenti al compito («non spetta a noi») e anche una diffusa impreparazione sull’argomento.

D’altronde, sempre più frequentemente la scelta della professione insegnante non è essa stessa tanto frutto di vocazione quanto di convenienza; e allora la domanda sorge provocatoria e spontanea: può efficacemente orientare chi è di per sé abbastanza disorientato?

Il problema è molto più serio di quanto possa a prima vista apparire; i risultati si vedono: un tasso di abbandono delle università tra i più alti in Europa, una percentuale di laureati sull’intera popolazione da fanalino di coda. E sopra ogni cosa il dilagare di una diffusa insoddisfazione esistenziale tra i giovani adulti. Non è un problema “tecnico”, ovviamente. Non si tratta semplicemente di comparare vantaggi e svantaggi di questa o quella facoltà e università.

Nel lavoro che ognuno di noi sceglie si rivela e concretizza l’identità dell’individuo. Ne abbiamo avuto conferma recentemente con le tante reazioni di disagio registrate in queste settimane alla pratica forzata dell’impersonale smart-working. Non avere il lavoro, o svolgerlo senza relazioni vis a vis, per molti ha significato smarrire d’identità. Nel lavoro, attraverso il fare si costituisce l’essere.

La ricerca di una vocazione non è un processo facile. Non è un processo che si svolge in solitudine, ma necessita di una buona capacità di relazione, e soprattutto di ascolto: gli altri ci “leggono” meglio di quanto supponiamo di saper fare da soli. La vocazione non è necessariamente quello che mi piace. Può grandemente piacermi l’arte, ma magari non so tenere un pennello in mano o suonare i timpani. La vocazione va poi depurata dalle influenze esterne, i desideri malcelati dei genitori, i “consigli” della fidanzata, le mode del momento (l’informatica negli anni Ottanta, le scienze delle comunicazioni nei Novanta, ecc.), la stretta relazione con le opportunità di lavoro («con giurisprudenza alla fine hai più sbocchi»). Tutti trabocchetti che rendono ancor più periglioso il percorso di un giovane che già vive in un mondo sempre più complicato e confuso.

Non di rado questo lavoro di supporto e consulenza cade sulle spalle del professore di religione. Se è uno bravo. Perché solo ai professori di religione è rimasta l’intenzione di orientare i giovani a una buona vita e non essere solo dei meri trasmettitori di competenze. Perché in fondo “vocazione” è proprio e semplicemente questo: vivere una vita buona, scoprendo e valorizzando i talenti che ciascuno può vantare. Perché proprio gli insegnanti di religione? Potremmo dire che in fondo è quello che la Chiesa essenzialmente fa da duemila anni: orientare la gente a una buona vita.

E non a caso proprio a un insegnante di religione di lungo corso è venuta l’idea di creare un cruscotto, un sistema pratico di riconoscimento della propria vocazione, da mettere a disposizione dei giovani, e degli educatori che li seguono.

Discernere da giovani (Sophia editrice, 2019, 15 euro) di Alessandro Di Medio è il primo di tre volumi con cui questo giovane prete, parroco e insegnante di Roma ha cercato di riassumere e sistematizzare il lavoro sull’orientamento che da anni svolge con un equipe collaudata di formatori e insegnanti sui suoi ragazzi.

Il metodo è sempre lo stesso, che nella Chiesa è prassi consolidata: quello del discernimento. Si tratta di indurre i giovani a usarlo alla ricerca di proposte di vita che non si limitino agli aspetti apparentemente remunerativi e in fondo grigi e banali, ma siano effettivamente tese alla ricerca di una felicità esistenziale. Questo primo dei tre libri proposti da don Alessandro tratta appunto degli ostacoli che si frappongono a un’autentica scelta vocazionale. Gli altri due sono già in preparazione e costituiranno il master plan di iniziative di formazione all’orientamento per gli educatori. «Abbiamo già presentato nei giorni scorsi — spiega Fazio Frosali che partecipa all’equipe guidata da don Alessandro — un percorso di formazione all’orientamento che speriamo possa divenire un vero e proprio corso accademico per gli studenti delle facoltà di Scienze Religiose, e non solo».

di Roberto Cetera