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Le missionarie scalabriniane a fianco dei migranti in ventisette Paesi

Accoglienza e integrazione

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08 luglio 2020

«È importante fare rete e coltivare nuove strategie per la migrazione. Così siamo più forti e viviamo le sfide che abbiamo davanti. L’impegno che abbiamo è per noi una grande luce»: ne è fermamente convinta suor Neusa de Fátima Mariano, superiora generale delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo (scalabriniane) che, in occasione di un recente incontro, svoltosi in webinar, ha fatto il punto della situazione sulle innumerevoli attività svolte dalle diverse comunità della congregazione sparse nel mondo. Un impegno che vede le religiose scalabriniane coinvolte in 27 Paesi e nei luoghi di frontiera più caldi, dove le emergenze si susseguono giorno dopo giorno.

Nel mondo, nel solo 2019, sono stati 80 milioni i rifugiati costretti a migrare. «Abbiamo grandi sfide — ha dichiarato la superiora generale all’agenzia Fides — che passano attraverso la creazione dei corridoi umanitari a tutela dei diritti umani, l’interruzione delle politiche di costruzione dei muri, l’impegno nella lotta alla tratta, essere una maglia attiva delle reti di accoglienza umanitaria a donne e bambini in situazione di vulnerabilità. I migranti oggi provocano un cambiamento e per noi sono un’opportunità per confermare il carisma scalabriniano».

Nel corso dell’incontro internazionale, sono state messe in luce tre esperienze simili ma allo stesso tempo diverse, portate avanti dalle scalabriniane in alcune aree di crisi. La prima è stata quella di suor Janete Aparecida Ferreira, che ha preso parte al servizio itinerante di Tijuana, al confine tra Messico e Stati Uniti. «Vogliamo rispondere agli appelli dei migranti — ha detto — e tentare di difendere i loro progetti e proteggere la loro vita. Siamo in un luogo di frontiera con gli Stati Uniti, dove milioni di persone cercano di oltrepassare la frontiera per avere un futuro migliore».

Suor Rosa Maria Zanchin, invece, con i suoi 43 anni di vita consacrata alle spalle, si trova attualmente a Messina. «Sono in una terra di emigrazione e di immigrazione. In Sicilia — ha ricordato la religiosa — oggi ci sono due difficoltà, una delle quali è quella di non sapere la lingua del migrante che arriva. La seconda, è invece la difficoltà dell’immigrato di far capire la sua storia e il suo trauma». Secondo suor Zanchin, «i migranti sono creativi, non si danno per vinti, insegnano a ravvivare la vita».

Infine, suor Eleia Scariot, cura a Roma il progetto Chaire Gynai, case di accoglienza per donne rifugiate con bimbi e in situazione di vulnerabilità. «Lavoriamo con ogni donna, dal momento in cui entra in casa, con un progetto personale che nasce a partire dal sogno che loro hanno, con progetti accompagnati e controllati». La scalabriniana ricorda al nostro giornale che le immigrate giunte nella Capitale vengono così assistite da alcuni volontari e dalle religiose. Le donne vengono poi impegnate in corsi di formazione professionale e faccende domestiche. Attività utili a recuperare la dimensione relazionale perduta. «Noi le accogliamo con entusiasmo, anche perché il Papa ripete spesso che la Chiesa è madre. Il lavoro più difficile — conclude la missionaria scalabriniana — è riconquistare la fiducia: uomo-donna, donna-donna, con la Chiesa. Puntiamo a un servizio alla persona nella sua globalità».

Ed è proprio questo il percorso dell’assistenza ai migranti promosso dalle scalabriniane: «La cura di ognuno, senza trattare le persone come numeri, ma coscienti che dietro di loro c’è una storia sempre diversa».