· Città del Vaticano ·

Memoria dei protomartiri romani

Una terra bagnata dal sangue

Particolare di una riproduzione del celebre dipinto «Le torce di Nerone», eseguito tra il 1874 e il 1876 da Henryk Siemiradzki (1843-1902) e conservato nel Museo nazionale di Cracovia
27 giugno 2020

L’apostolo Pietro venne crocifisso in Vaticano dopo il terribile incendio che devastò Roma il 19 luglio dell’anno 64. Insieme a lui subì il martirio con atroci supplizi un’ingente moltitudine di cristiani. Il santo Papa Clemente (88-97) nella prima Epistola ai Corinzi, ricorda infatti il martirio di una «moltitudo ingens» di eletti insieme agli apostoli Pietro e Paolo.

Il ricordo di quelle feroci persecuzioni sopravvive nel nome dell’attuale «piazza dei Protomartiri Romani», sulla sinistra della basilica e davanti al Camposanto Teutonico, in corrispondenza della parte centrale del circo dove si ergeva l’obelisco, ancora oggi muto testimone del martirio di Pietro e della nascente comunità cristiana di Roma.

Dopo la solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno) e nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria dei Protomartiri cristiani di Roma (30 giugno), riviviamo quei tragici eventi attraverso il racconto dello storico Tacito: «Allora Nerone, per sfatare tale diceria, presentò come colpevoli e sottopose alle più raffinate torture coloro che si erano resi odiosi per le loro nefandezze ed erano chiamati Cristiani dal volgo. (...) In un primo momento furono arrestati coloro che confessavano la loro fede, poi, su loro denuncia, moltissimi altri furono giudicati colpevoli non tanto del delitto di incendio quanto di odio verso il genere umano. E alla loro morte si accompagnò anche lo scherno: furono coperti di pelli ferine e furono fatti sbranare dai cani, oppure vennero crocifissi e arsi vivi, perché come torce servissero ad illuminare la notte dopo il tramonto del sole. Nerone aveva offerto i suoi giardini per un simile spettacolo, mentre dava giochi nel circo e, vestito da auriga, si mescolava alla plebaglia o partecipava alle corse ritto su un cocchio. Perciò essi, benché si fossero macchiati di colpe e meritassero le pene mai viste loro inflitte, suscitavano compassione perché venivano sacrificati non in vista del bene comune, ma per soddisfare la crudeltà di un solo» (Annali, 44, XV, 2-5).

Ispirato da queste parole, il pittore polacco Henryk Siemiradzki (1843-1902) dipinse a olio su tela (cm 305 x 704) il celebre quadro Le torce di Nerone, dove l’imperatore, all’imbrunire, assiste dal suo palazzo agli atroci supplizi da lui ordinati. I cristiani sono rappresentati nella parte destra del quadro, avvolti in stracci bituminosi e legati ad alti pali inghirlandati. Sotto le gambe sono appesi grandi cartelli con la scritta a caratteri capitali rubricati: «Christianus incendiator urbis generisque humani hostis» (“Cristiano, incendiario di Roma e nemico del genere umano”).

La basilica Vaticana nasce dunque sulla terra bagnata dal sangue dei martiri. La leggenda narra che fu lo stesso imperatore Costantino, al principio del iv secolo, a iniziare con le proprie mani lo scavo per le fondazioni della prima basilica e a portare sulle spalle, l’ottavo giorno dopo il battesimo, dodici ceste di terra per l’erigendo edificio, in conformità al numero dei dodici apostoli. Dopo più di mille anni, il 18 aprile 1506, Papa Giulio ii, scavando una fossa nella profondità di quella medesima terra, nel sito corrispondente all’attuale pilone di Santa Veronica, pose la prima pietra del nuovo tempio vaticano.

Per secoli sentimenti di profonda devozione, religioso rispetto e timore reverenziale preservarono quella terra sotto il pavimento dell’antica e della nuova basilica, che, per questo motivo fu definita: «Chiesa veneranda, dalla cui terra, se con le mani si premesse, quasi ne uscirebbe sangue dei martiri» (cfr. F.M. Torriggio, Le Sacre Grotte Vaticane, Roma 1639). Nella vita di san Pio v (Ghisleri, 1566-1572), si narra infatti che mentre il Pontefice transitava vicino alla basilica, gli si accostò devotamente un ambasciatore per chiedergli alcune reliquie di martiri da portare nella sua nazione. In risposta a tale richiesta il Papa si abbassò, prese una manciata di terra del Vaticano e la diede all’ambasciatore dicendo: «Questa è reliquia di martiri per il copioso sangue che hanno versato in questo luogo».

Così ancora nel 1615, durante lo scavo per l’apertura della Confessione vaticana di fronte all’altare papale, canonici e penitenzieri della basilica con grande devozione contribuirono a portare quella terra raccolta in prossimità della sepoltura dell’apostolo Pietro, stipandola in un “luogo onorevole” al termine della navata meridionale delle Grotte vaticane, in uno spazio oggi occupato dal sepolcro del Papa Pio XI e dietro il sarcofago del cardinale Raphael Merry del Val. Nello stesso sito e in altri luoghi delle Grotte — come riferisce il già ricordato Francesco Maria Torrigio — i canonici di San Pietro trasferirono nel 1626 la terra proveniente dalle fondazioni delle quattro grandiose colonne del baldacchino del Bernini.

Infine, nel secolo scorso, durante il pontificato di Pio XII (Pacelli, 1939-1958), la terra proveniente dallo scavo dal “Campo P” presso la tomba di Pietro, fu devotamente raccolta in un piccolo spazio all’esterno della basilica presso la cosiddetta “Via delle Fondamenta”, in un vano appositamente realizzato con muri di contenimento in mattoni rossi, proprio al di sotto della Cappella Sistina.

Ancora vengono devotamente richieste alla Fabbrica di San Pietro reliquie di terra raccolta in prossimità della tomba del beato apostolo Pietro. (pietro zander)