· Città del Vaticano ·

Il Vangelo della solennità della Santissima Trinità (Gv 3, 16-18)

Per fissare lo sguardo nel segreto di Dio che è comunione, unità, amore

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02 giugno 2020

«Chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». La prima lettura di questa festa ci ricorda che il nome di Dio è: «Misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Credere al nome del Figlio suo benedetto vuol dire credere all’amore. La condanna trova strada nel cuore umano quando l’amore viene squalificato e disprezzato; è questa la tentazione sin dalla Genesi, quando il maligno pone il Padre in una luce distorta.

Una volta che l’amore vien venduto come un inganno, il bene diviene inaffidabile e il male appare più verosimile. Allora si arriva a pensare che un atteggiamento “smaliziato” sia adeguato, opportuno, perfino onesto.

Un male può essere dannoso, ma se nessuno crede alla cura e forse neanche la cerca, allora ha veramente vinto.

Lo scetticismo come atteggiamento appropriato è una mentalità che distrugge l’umanità, la quale si regge, invece, sulla fiducia.

Come stabilire relazioni autentiche senza dar credito a chi abbiamo di fronte? Come costruire la società senza un minimo di concordia?

Anche la Chiesa diviene ricettacolo di disincanto e delusione se la misericordia che il Nome di Dio porta in sé è ridotta a disquisizione teologica di un argomento poco assecondato e non sposato profondamente.

Come annunciare il Vangelo senza credere al bene? Come compaginare la comunità cristiana facendo leva sull’organizzazione o sull’operatività ma non sull’amore di Dio?

Ecco perché la Santa Madre Chiesa ci dona una domenica per fissare lo sguardo in Dio ossia nel suo segreto che è comunione, unità, amore.

Abbiamo bisogno di sollevare lo sguardo verso la bellezza di Dio, di placarci davanti alla tenerezza del Padre, di lasciarci liberare dalla misericordia del Buon Pastore e di aprire il cuore alla consolazione dello Spirito che ci parla bene del Padre.

Abbiamo necessità di vivere scendendo dal Tabor della liturgia, che ogni volta ci permette di dire: «È bello per noi stare con te». Dio è veramente bello. Dio è veramente amore.

di Fabio Rosini