È appena uscito in Italia il libro «Cambiamo!» che raccoglie scritti degli anni Ottanta di Jorge Mario Bergoglio. Pubblichiamo stralci tratti dalla seconda parte, intitolata «Uomini di desideri» e dalla sesta, dedicata al tema «I gesuiti».
Quando, nelle Costituzioni della Compagnia, sant’Ignazio parla delle residenze e si dedica a descrivere «in quali modi si possano in questi luoghi aiutare le anime», indica i desideri: «Così pure, si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore». Questo riferimento al valore del desiderio non è casuale nella consuetudine spirituale di sant’Ignazio. Nella nostra spiritualità il desiderio ha un luogo specifico, e alcune riflessioni su questo punto possono aiutare il progresso interiore nel contesto delle nostre preoccupazioni apostoliche. Sant’Ignazio dice che si può aiutare il prossimo desiderando davanti a Dio nostro Signore. Infatti i desideri, oltre che aspirazioni verso ciò che non abbiamo, sono pre-sentimenti di ciò che avremo. I nostri desideri possono risultare illusioni, ma anche rivelazioni. Rivelazioni su quanto Dio vuole che gli chiediamo perché ce l’ha già concesso. Allora il contenuto dei nostri desideri si trasforma in simboli. I nostri desideri forgiano simboli, perché i simboli, così come i desideri, celano realtà mentre al tempo stesso le promettono.
Alcune opere apostoliche hanno la caratteristica di farci avvertire in un modo particolare l’insondabile vastità e profondità entro cui il piano di Dio ci colloca, e l’insufficienza di tutti i nostri orientamenti e sforzi per esserne all’altezza. La possibilità di desiderare nasce proprio là dove sentiamo di non farcela e di essere ai limiti delle nostre forze. È come se, mentre percepiamo i limiti della nostra azione, tentassimo di andare un poco oltre, proprio fin dove non siamo riusciti ad arrivare, con la buona volontà dei nostri desideri. Sant’Ignazio spiega questa possibilità agli studenti di Coimbra, ma applicandola al caso dei limiti che la vita degli studi impone all’apostolato: «Il quarto modo di aiutare i prossimi, e il cui campo è immenso, consiste nei santi desideri e nella preghiera. E sebbene lo studio non vi lasci tempo per fare lunghe orazioni, pure si può compensare con i desideri».
Tuttavia i buoni desideri non sono soltanto un modo per spingerci oltre i nostri limiti, dove «non ce la facciamo»: essi possono anche precedere il nostro sforzo e, in questo senso, ne costituiscono uno dei fondamenti: «Sarà compito del rettore, dopo quello di sostenere tutto il collegio con le orazioni e i santi desideri [...]».
Desiderare e, a tal fine, sapere che cosa si debba desiderare, costituisce il punto di partenza della nostra collaborazione con il regno di Dio. In questo modo il desiderio si pone all’origine della nostra preghiera, del nostro aiuto al prossimo e della nostra stessa vita di gesuiti. Della nostra preghiera, rispetto alla quale nostro Padre insiste sul fatto di andare a chiedere quello che voglio, sicché consiglia determinati cambiamenti «quando la persona che si esercita non trova ancora quello che desidera» (ES 89); delle nostre attività apostoliche, circa le quali il primo modo di manifestarsi consiste, come abbiamo detto, nella preghiera e nei santi desideri o, secondo una sintetica formula ignaziana, «in desiderose preghiere»; infine, il desiderio affonda le sue radici nell’origine stessa della nostra vita gesuitica: è bene ricordare quella domanda che Ignazio introduce nell’Esame affinché s’interroghi il candidato riguardo alla sua decisione a vestire la stessa veste e divisa di Cristo, subire ingiurie, false testimonianze, affronti, essere ritenuto pazzo: «Pertanto si dovrà domandare a ciascuno se prova simili desideri così salutari e fecondi per la perfezione della sua anima». Si può ben dire che la nostra vocazione alla Compagnia sia nata nel preciso momento in cui questo desiderio ci è sorto in cuore. Tant’è vero che sant’Ignazio riprende e continua quanto appena detto senza concedere tregua: «Chi, a causa della nostra debolezza umana e della propria miseria, non possedesse tali desideri così infiammati nel Signor nostro, deve essere interrogato se desidera in qualche modo di possederli». E siamo giunti ai «desideri di desideri».
Il desiderio appare dunque definitivamente radicato nell’origine più intima del nostro essere e operare. Se si è compreso il desiderio di «totalità verso il fine» che caratterizza sant’Ignazio — e una versione di essa è la sua devozione per il magis —, ciò non stupirà. La direzione dei nostri desideri esprime l’orientamento profondo del nostro essere. Chi riesce ad addentrarsi nell’intimità dei desideri di un uomo potrà sviscerare ciò che quell’uomo vuole ed è nella vita, cioè la chiave segreta del suo destino. Il desiderio umano, soprattutto quanto più è intimo e profondo, racchiude la chiave segreta di ogni esistenza. E dunque in esso risiede il tesoro del cuore. Perciò Ignazio, in definitiva, mira a trasformare «fino ai nostri più intimi desideri», poiché nella misura in cui essi arriveranno ad ambire soltanto ciò che è di Dio, allora l’uomo sarà, con certezza, anch’egli di Dio. Solo in quel momento sarà possibile sperimentare come l’amore che ci muove e ci induce a scegliere discenda dall’alto, dall’amore di Dio (cfr. ES 184). Per lo stesso motivo sant’Ignazio, per ricavare da un uomo un autentico gesuita, un compagno di Gesù, non si accontenta della promessa che questi accetterà le umiliazioni che l’assimilano a Gesù quando esse verranno, bensì pretende da lui che le desideri, o, almeno, che «desideri desiderarle», come misura preventiva per collocarlo nel punto iniziale di quel movimento profondo del cuore che conosce una sola direzione e su cui non è possibile tergiversare.
Sebbene sia vero che il desiderio caratterizza e contrassegna l’intimità dell’uomo, non è soltanto questa la ragione per cui sant’Ignazio lo colloca al fondamento e all’origine stessa della nostra vita. Lo fa perché è Dio stesso a concedere i desideri originali e fecondi: «Dalla sua divina maestà, da cui procede ciò che desidera». Ciò significa che nello stesso desiderio che ci caratterizza in quanto uomini già è contenuto il segno indelebile dell’amore divino e della sua chiamata. Chi è capace di desiderare umiliazioni per assomigliare a Gesù, così come chi è capace di desiderare qualsiasi bene per il suo prossimo, è stato toccato dal Signore, perché è stato il Signore stesso a concedergli quel desiderio. Ecco che cosa dice sant’Ignazio a suor Teresa Rejadell nel suo tipico stile scarno: «Se riflette, potrà capir bene che quel desiderio di servire Cristo nostro Signore non proviene da lei, ma è donato dal Signore. Dicendo quindi: “Il Signore mi dà crescente desiderio di servirlo”, lei lo loda, perché proclama il suo dono, gloriandosi in lui, non in se stessa, perché non attribuisce a se stessa quella grazia».
* * *
Sant’Ignazio è un uomo che, entrando in contatto con il divino, riscrive la propria vita e quella dei suoi compagni secondo norme che egli credeva volute da Dio. Nei trentacinque anni che fanno seguito alla sua conversione c’è una coerenza interna che si mantiene sempre: è la coerenza del suo progetto. Il suo progetto non è una pianificazione di funzioni, non è un assortimento di possibilità. Il suo progetto consiste nel rendere esplicito e concreto ciò che egli aveva vissuto nella sua esperienza interiore.
Per questo è notevole leggere, nelle Costituzioni e nelle lettere che egli scrive, il continuo riferimento a «tempi, luoghi e persone». Ciò significa, da una parte, che la sua visione interiore è nitida, ha lineamenti definiti e ha raggiunto la densità di una configurazione capace di esplicitarsi. E, d’altra parte, significa che quella visione interiore non si imporrà sulle circostanze storiche cercando di riordinare la storia sulla base delle proprie coordinate. Se così fosse stato, essa si sarebbe cristallizzata in un «situazionismo» riduzionista, riconducendo tutto alle forme di quella situazione. La visione interiore di sant’Ignazio non si impone alla storia; dialoga con la storia degli uomini, che è storia di grazia e di peccato; cerca di riscattare la volontà di Dio dall’ambiguità della vita: realizzare la volontà di Dio è, per Ignazio, cercare la maggior gloria di quel Dio che si è fatto uomo e si inserisce nella storia degli uomini.
La storia di sant’Ignazio e dei gesuiti è una storia tragica nel senso etimologico della parola. Lo sanno tutti: gesuita nel dizionario è sinonimo di ipocrita. Problemi ce ne sono stati, e gravi; ci sono stati successi, e notevoli; ci sono stati persecuzioni e fallimenti. E non sono mancate leggende che hanno creato attorno a sant’Ignazio e alla Compagnia di Gesù un’aura carica di tutte le sfumature immaginabili. Addentrarci nella storia della Compagnia ci porterebbe a riflessioni che trascendono il contesto di queste pagine. Pertanto ho preferito concentrarmi fondamentalmente sul dialogo che sant’Ignazio e la primitiva Compagnia ebbero con la cultura e con i problemi del loro tempo: sono le loro origini e, inoltre, è un dialogo che risulta esemplare, tipologico, per tempi successivi.
Il Papa Paolo VI, rivolgendosi nel 1974 ai gesuiti, in uno dei discorsi più belli che un Pontefice abbia rivolto alla Compagnia, diceva: «Il pensiero va a quel complesso secolo XVI, nel quale si ponevano le fondazioni della civiltà e della cultura moderna, e la Chiesa, minacciata dalla scissione, dava inizio a una nuova era di rinnovamento religioso e sociale, fondato sulla preghiera e sull’amore di Dio e dei fratelli, cioè sulla ricerca della più genuina santità. Era un momento affascinato da una nuova concezione dell’uomo e del mondo, che spesso — anche se non è stato questo l’umanesimo più genuino — stava per relegare Dio al di fuori dell’orizzonte della vita e della storia; era un mondo che prendeva dimensioni nuove dalle recenti scoperte geografiche; e perciò, per tanti aspetti — sconvolgimenti, riflessioni, analisi, ricostruzioni, slanci, aspirazioni ecc. — non poco simile al nostro». Nella cornice di quell’epoca così ricca, la Chiesa affrontava il fenomeno della Riforma. Molte volte sant’Ignazio è stato definito il bastione della Controriforma. In questo c’è qualcosa di vero, ma l’affermazione non è così pacifica come potrebbe sembrare a prima vista. D’altra parte, quel fenomeno culturale religioso (la Riforma) incentivò la fedeltà del servizio di sant’Ignazio e lo condusse a lottare per l’unità cattolica.