· Città del Vaticano ·

Le «tessiture di parole» nel «Wilhelm Meister», il romanzo di formazione di Goethe

Il viaggio dell’eroe (e di chi legge le sue imprese)

Una scena dello spettacolo teatrale «Vocazione. Teatro del diventare grandi secondo Wilhelm Meister» diretto da Gabriele Vacis
23 maggio 2020

«Non tessiamo solo abiti, ma anche racconti: infatti, la capacità umana di “tessere” conduce sia ai tessuti, sia ai testi. Le storie di ogni tempo hanno un “telaio” comune». Il passaggio più importante, quello in qualche modo rivoluzionario, nel Messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali non lo avreste potuto trovare in un testo didattico sul giornalismo né ascoltare nell’aula di un’università dove si insegna comunicazione.

Francesco, con la sua abituale grazia spiazzante di far emergere concetti partendo dalla radice delle cose, risale all’atto primordiale del rapporto tra uomini attraverso la parola e quindi alla narrazione, il racconto di un’esperienza, la condivisione di un vissuto. A un incrocio casuale di tempo e spazio, l’evento di un singolo o di un gruppo diventa parte di una comunità, lascito di una cultura, oggetto d’interpretazione o di ispirazione artistica. Un patrimonio da custodire e quindi tramandare. Funziona così da Omero, ma ancora da prima, quando ignoti artisti preistorici istoriarono una caverna con delle immagini di caccia. Non si accontentavano di vivere le loro storie, dovevano comunicarle. (...) Le storie di ogni tempo «hanno un “telaio” comune: la struttura prevede degli “eroi”, anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita». Eccolo il nodo del Messaggio. Il tessuto che riveste il nostro Io, l’anima, la percezione del mondo, la nostra forma mentis è testo, è parola che si organizza in una trama di norme, lessico e sintassi fino a divenire racconto di un’esperienza, narrazione di un fatto che “segna” la vita, perché la materia di cui è fatto l’uomo non è inerte ma signata come direbbe Tommaso. Chiarito questo, è enorme la responsabilità di chi un racconto non soltanto lo formula, ma lo rende pubblico perché sia condiviso. (...) Immergersi in una storia significa sentirla come propria, sviluppare empatia con i suoi protagonisti, arrivare a sentire quelle stesse sensazioni che ci vengono evocate. Esserne il tramite è un compito delicatissimo. Nel libro Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, uno dei suoi capolavori meno poetici ma più istruttivi per la vita quotidiana, Goethe oltre duecento anni prima dell’avvento della comunicazione in tempo reale, che ci porta in casa come fosse parte della nostra esperienza un caleidoscopio di mondi remotissimi e altrimenti sconosciuti, evidenziava la difficoltà di presentare all’essere umano «fatti, racconti e immagini che non siano alla portata del suo vissuto», del perimetro della propria vita. «È sempre una disgrazia — scriveva sempre Goethe — quando l’uomo è indotto ad ambire a qualcosa con cui non sa raccordarsi per una regolare e personale frequentazione». Quando il Papa allora parla della necessità di immergersi in storie buone ci sta dicendo che il comunicatore deve avvicinare il fruitore a quella «regolare e personale frequentazione» con quanto viene narrato. Ma questo accade solo attraverso una limpidezza di sguardo, una chiarezza di esposizione, un rifiuto di scorciatoie emozionali e sensazionalismi (...) Perché narrare e ascoltare storie non è una fuga dalla realtà, ma letteralmente un accumulo di energia creativa, umana, generatrice di empatia da riversare poi nel mondo del quotidiano.

di Saverio Simonelli