· Città del Vaticano ·

«Mai più. Per non dimenticare» di R.J. Palacio

Chiamami con il mio nome

Tavola tratta da «Mai più. Per non dimenticare» edito da Giunti
22 maggio 2020

L’eredità di due ragazzi dalla Seconda guerra mondiale a oggi


È una splendida conferma Mai più. Per non dimenticare (Firenze, 2020, euro 20, traduzione di Angela Ragusa), il debutto nel mondo delle storie a fumetti di R.J. Palacio, autrice della saga di Wonder. Suoi i testi e le illustrazioni, inchiostrate da Kevin Czap, presentati al pubblico italiano da Giunti.

Il racconto si apre con Julian che videochiama sua nonna. Dovendo fare un compito di storia, l’ex bulletto — che per mesi, prima della “conversione”, aveva perseguitato il suo compagno di scuola August (affetto da una deformazione craniofacciale) — chiede a Grandmère di narrargli qualche episodio del suo passato. E lei gli racconta cosa accadde quando, durante la seconda guerra mondiale, la sua vita di bambina ebrea in un villaggio nel cuore della Francia venne travolta e spazzata via dal nazismo. La fuga, la paura, la perdita, la lotta per la sopravvivenza, ma anche l’amicizia, l’amore e il potere della gentilezza, unica luce in un mondo che si era fatto tenebra assoluta.

Chi la salva — proteggendola e nascondendola per oltre un anno — è il compagno di classe bullizzato e scansato da tutti, soprannominato Tourteau, granchio, per via della sua andatura claudicante causata dalla poliomielite contratta da piccolo. Nessuno sa il suo nome di battesimo, non lo conosce nemmeno Sara che, pur non tormentandolo attivamente come tanti altri, non gli rivolge comunque mai la parola, non lo avvicina mai. Divenendo, da spettatrice e basta, complice dei suoi compagni di classe.

Eppure sarà proprio Tourteau a diventare — con i suoi genitori — il salvatore (e il migliore amico) di Sara, in un momento storico in cui salvare i perseguitati significa rischiare la vita. Davanti alla gratitudine esterrefatta della bambina, Tourteau avrà una sola richiesta: «“Potresti chiamarmi con il mio vero nome?” “Si! Certo! Uhm… uhm…” “Mi chiamo Julien. Julien Beaumier”».

È il nome di battesimo che Sara darà a suo figlio, anni dopo; e che da lui, passerà al quel nipote con cui la donna sta ora parlando in videochiamata. «Vedi, Julian — gli spiega la nonna — ci vuole sempre coraggio per essere gentili. Ma in giorni come quelli, quando poteva costarti tutto — la libertà, la vita — la gentilezza diventa un miracolo. Diventa quella luce nell’oscurità della quale parlava papà, la vera essenza della nostra umanità. Diventa speranza».

È un passato doloroso quello che Grandmère ripercorre, un passato lastricato di omicidi e violenze, ma è un passato che insegna anche come la gentilezza e il coraggio possano cambiare il mondo, costruendo ponti, convertendo cuori e salvando vite umane. Anche e soprattutto attraverso l’esempio concreto. Come quello dell’insegnante di matematica, mademoiselle Petitjean, che sceglie volontariamente di salire sul carro con i suoi alunni ebrei quando i nazisti fanno irruzione a scuola. La sua figura — come Palacio spiega nella ricca nota finale al libro — è ispirata a Daniel Trocmè che nel giugno 1943, quando la sua scuola di Maison des Roches fu rastrellata dai nazisti, decise di accompagnare 18 studenti ebrei fino al campo di concentramento, dove tutti vennero uccisi.

Come già nei libri di Wonder — che raccontavano, da ottiche diverse, il mondo del piccolo August — anche in Mai più esiste la dimensione di un universo parallelo, quello dove vengono mandate all’aria le regole che dominano il mondo perfetto e omologato in cui viviamo. Il mondo che oggi, pretendendo di cancellare chi come August non risponde ai suoi canoni di abbagliante splendore, cancella la vita stessa, impasto di gioia e di dolore; esattamente come il mondo di ieri, arrivato a rifiutare fino alle estreme conseguenze chi veniva percepito come diverso.

E ciò che il Julian di oggi imparerà è soprattutto che qualche volta possiamo rimediare ai nostri errori. «La verità — dice l’altro Julian, quello con le gambe segnate dalla polio, a Sara, travolta dal senso di colpa per tutto ciò che non ha fatto quando sedeva in classe vicino a lui senza vederlo — è che non importa com’eri prima. Importa solo come sei ora». Questo è un messaggio — scrive Ruth Franklin nella postfazione a Mai più — «nel quale tutti possono riconoscersi: chi di noi non è, prima o poi, stato semplice spettatore della sofferenza di qualcun altro? Per noi la posta in gioco non è alta come per Sara e Julien, però non sappiamo quando le cose potrebbero cambiare. Se non possiamo cancellare il dolore che abbiamo causato, possiamo però agire diversamente in futuro». Perché, come gli spiega sua nonna, «non sono i nostri errori a definirci ma quel che facciamo dopo aver imparato da essi».

A fine telefonata, la nonna prende in mano un quotidiano. In prima pagina le notizie si accavallano: «800 bambini separati dai genitori in seguito alla politica di tolleranza 0 di Trump»; «Incremento globale di antisemitismo e islamofobia»; «Negato asilo ai rifugiati». Sembrerebbe che non abbiamo imparato niente, pensa la donna. Eppure — realizza sorridendo guardando fuori dalla finestra — finché c’è qualcuno che protesta, che marcia, finché c’è un giovane che non resta in silenzio, ripetere «Mai più. #PerNonDimenticare» ha ancora senso.

di Silvia Gusmano