In tempo di emergenza, occorre vigilare che problematiche altrettanto urgenti, in quanto fortemente impattanti sulla salute pubblica, ma “strutturali”, essendo in attesa di risposta da lungo tempo dalla comunità internazionale, non entrino nel cono d’ombra del silenzio, soprattutto se i dolori che affliggono il pianeta e l’umanità che lo abita sono strettamente legati all’eventualità, sempre meno remota, di epidemie o eventi incontrollabili. Tra le emergenze globali più pressanti, per gli effetti sulla salute di milioni di individui, rientra quella legata all’accesso all’acqua.
A tal proposito, il centro di coordinamento delle Nazioni Unite ammonisce che l’intensificarsi dei fenomeni legati ai cambiamenti climatici inciderà pesantemente, nei prossimi decenni, sulla già scarsa disponibilità di fonti di buona qualità a livello mondiale, determinando, a catena, gravi ripercussioni sullo stato di salute di milioni di individui e sulla loro possibilità di poter usufruire dei diritti primari di sopravvivenza.
È l’Organizzazione mondiale delle sanità (Oms), infatti, a denunciare che solo il 71 per cento della popolazione mondiale può contare su un servizio di fornitura di acqua potabile sicuro, costante e privo di contaminazioni, mentre ben 2,2 miliardi di persone convive con l’insufficienza di acqua, dovuta ad una rete di distribuzione inefficiente, e con la presenza di contaminanti naturali e chimici nelle sorgenti, in particolare, di batteri di origine fecale.
«Il collegamento tra scarsa qualità delle risorse idriche e salute pubblica è molto stretto — rimarca Massimiliano Montini, professore di Diritto dell’Unione europea e sviluppo sostenibile all’Università di Siena e Vice-Chair Elga (Ecological Law and Governance Association) —. L’acqua contaminata, infatti, causa la trasmissione di malattie come diarrea, colera, dissenteria, tifo e poliomielite, dalle implicazioni letali, soprattutto sulle fasce più vulnerabili della popolazione»: stime Oms parlano di 485 mila decessi ogni anno per diarrea dovute alla contaminazione di fonti potabili.
All’aspetto qualitativo si aggiunge quello quantitativo: secondo le proiezioni riportate dall’Oms, nel 2025 metà della popolazione mondiale vivrà in aree soggette a stress idrico, ossia caratterizzate da quantità insufficienti di acqua potabile. Una carenza che, molto probabilmente, sarà intensificata da una concomitanza sinergica di fattori, quali i cambiamenti climatici, l’aumento demografico e l’urbanizzazione crescente.
Fondamentale sarà lo sviluppo di tecnologie innovative legate al risparmio idrico ed al riuso dell’acqua di scarico (wastewater), principalmente per l’agricoltura, settore maggiormente responsabile del consumo idrico, a livello mondiale. I dati forniti dalla piattaforma Aqueduct del World Resources Institute (Wri) mostrano che, dal 1960 ad oggi, i prelievi idrici sono più che raddoppiati, sia per la crescita della popolazione che per l’incremento della richiesta di prodotti alimentari.
Non solo: i 17 Paesi (Qatar, Israele, Libano, Iran, Giordania, Libia, Kuwait, Arabia Saudita, Eritrea, Emirati Arabi Uniti, San Marino, Bahrein, India, Pakistan, Turkmenistan, Oman, Botswana), che ospitano un quarto della popolazione mondiale, rientrano in una condizione di massimo stress idrico. D’altra parte, il 28 luglio 2010, con la Risoluzione 64/292, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari prerogativa essenziale alla realizzazione di tutti gli altri diritti primari dell’uomo.
«Questo tema ricorre anche nell’enciclica Laudato si’, in cui la possibilità di disporre universalmente di acqua è definita indispensabile per la vita umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici (§ 28), e si sottolinea come per i più poveri la scarsa qualità dell’acqua è causa di malattie e morte, in particolare, dissenteria e colera, dovute a servizi igienici e riserve di acqua inadeguati» specifica Montini.
L’Obiettivo 6 degli Sdgs (Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite) richiama tutti gli Stati della comunità internazionale ad uno specifico impegno teso a rendere, entro il 2030, alla portata di ogni essere umano l’accesso a fonti idriche sempre disponibili e incontaminate.
Sempre le Nazioni Unite pubblicano annualmente un rapporto sui progressi dei singoli Paesi nel raggiungimento dei 17 obiettivi Sdgs: dall’ultimo emerge che, malgrado i recenti segnali positivi, ancora miliardi di individui non dispongono di acqua potabile e di idonei servizi igienici, così che — per raggiungere il 6° obiettivo entro il 2030 — occorrerebbe raddoppiare l’attuale tasso annuale di progresso. «Le implicazioni connesse alla carenza, sia quantitativa che qualitativa, di acqua sono frutto dell’intersecarsi di varie problematiche, che devono necessariamente essere trattate in modo integrato, per rispondere adeguatamente a quella grande parte della popolazione mondiale ancora in grande sofferenza» sottolinea Montini.
Acqua significa anche sviluppo sostenibile: una sostenibilità in cui si combinano le dimensioni economica, sociale ed ambientale e uno sviluppo che è diretta conseguenza del soddisfacimento del primo diritto, quello dell’accesso all’acqua, conditio sine qua non ad ogni altro diritto umano. «Come dimostra la diffusione di epidemie su scala globale, i rischi connessi alla marcata scarsità di acqua, in particolar modo quelli legati alla salute pubblica, sono irrimediabilmente incisivi per la sorte dei più poveri, pertanto, costituiscono capitoli che non possono essere considerati secondari rispetto a nessuna altra emergenza globale: per questo, auspico sia costantemente e assiduamente in cima all’agenda internazionale» conclude l’esperto.
di Silvia Camisasca