
Il lievito non è facile da trovare in questi giorni; in tanti hanno riscoperto la possibilità di fare il pane a casa e la domanda spesso è più alta dell’offerta. Le alternative ci sono (mescolare bicarbonato e succo di limone, fare a casa il lievito madre) ma perché non trasformare anche questa mancanza in un’occasione di memoria? L’idea si è propagata velocemente sul web: «In questi giorni di attesa, e soprattutto la notte della veglia pasquale preparate in casa del pane azzimo; riscopriamo il significato di simboli che non sono più in grado di parlarci! Bisogna farlo in fretta il pane, soprattutto quando si è alla vigilia di un passaggio, di una pasqua. Anche l’agnello, dice il libro dell’Esodo, deve essere mangiato in piedi, senza lasciare avanzi. Nella fretta dell’uscita dall’Egitto, gli ebrei “cuocevano la pasta che avevano portato dall’Egitto in focacce non fermentate”». Non c’era il tempo di aspettare, dovevano mangiare subito quel pane, simbolo della liberazione vicina. La libertà chiede di mettersi in cammino in fretta, e gli azzimi sono una promessa di liberazione. «Questo pane “veloce” rappresenta tutta la potenza dell’opera di Dio nella storia di ciascuno di noi». Questa strana Quaresima, questo Venerdì santo che sembra non finire mai è un momento «di molta inventiva, di creatività» ha detto Papa Francesco rispondendo ad Austen Ivereigh. Bisogna «avere cura dell’ora, ma per il domani. Tutto questo con creatività. Una creatività semplice, che ogni giorno inventa qualcosa. In famiglia non è difficile scoprirla».
Di invenzioni casalinghe ne abbiamo viste molte, in questi giorni: tra le tante ricordiamo la Domenica delle palme di una famiglia parigina con bimbi piccoli confinati a casa. Grazie a pennelli, colori, forbici le loro “palme”, l’impronta verde delle loro mani è diventata un ciuffo di carta sfrangiata, che ha festeggiato l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Papa Francesco, nell’intervista, cita un verso di Virgilio, meminisce iuvabit. «Farà bene recuperare la memoria, perché la memoria ci aiuterà. Oggi è tempo di recuperare la memoria. (…) Dobbiamo recuperare la memoria delle radici, della tradizione, che è “memoriosa”». Ogni famiglia cristiana ha i suoi riti casalinghi e i suoi simboli di risurrezione in cucina: dal grano della pastiera napoletana agli spettacolari altari di pane siciliani, dalle uova benedette ai germogli coltivati in vaso.
«Dicono che sia un’invenzione dei monaci, secoli fa, per la gente di questa terra di Calabria, evangelizzata proprio da loro. Un pane che accompagna i giorni santi del Triduo — scrivono le suore agostiniane di Rossano nella loro newsletter, spiegando la ricetta dei cudduri, pani intrecciati, con incastonate una o più uova —. La prima volta che ce ne fecero dono pensavamo si potesse mangiare come tutti gli altri tipi di pane. Invece no. Sono i pani della condivisione e dell’amicizia: a tutti ne viene data una porzione al termine della celebrazione del Giovedì santo. Sono il pane che ci accompagna fino al giorno di Pasqua; l’uovo che contengono dice già promessa di vita nuova, risorta». Condividere buon cibo nella Rete significa anche spezzare il pane della parola, regalarsi a vicenda storie buone, parole dense e cariche di significato, nello spazio di un tweet. «Ieri notte la Rai — scrive Leonardo Guzzo — mandava un servizio di costume sull’epicentro del virus. Nelle immagini di Milano ferita, del nord martoriato, di tutta l’Italia finita nella morsa c’era un grande silenzio. E poi, più sotto, come un fruscio insorgente, un battito d’ali. “Di tutte queste ali”». Che nesso ci può mai essere tra l’ebbrezza del volo e questo panorama desolato? «Ho cercato di capire — si legge nel post — da dove mi venisse questa suggestione finché non ho ritrovato questa bellissima poesia di Giorgia Meriggi: “Tu contali i cipressi accomodati / da potature a cono assecondare / il limite di questo cimitero / Veniamo qui a criticare l’edera, a divorare i nomi, a procurare / gemiti alla ghiaia, qui troppo bianca / Io me ne devo andare / Non sopporto il pianto dell’intonaco / l’odore di canfora di tutte queste ali».
Bisogna allenarsi a trasformare ogni situazione di limite in un’occasione, ci dice il Papa, e ci mostra la Chiesa che in questi giorni ha mostrato una fantasia commovente: messe celebrate sui tetti, canti quaresimali diffusi per strada col megafono, processioni di vescovi che camminano da soli nelle strade deserte — come è successo a Salerno — gruppi che raccolgono su Facebook riti e suoni di una Settimana santa fuori dall’ordinario, confessioni via cellulare, con contatto visivo ma a distanza protetta, con il sacerdote che parcheggia la sua macchina accanto a quella del penitente. Sguardi che si parlano attraverso un finestrino chiuso o una visiera trasparente nella corsia di un ospedale. La sfida è trasformare il limite in un alleato, sempre. Qualsiasi sia il limite. E in questo, paradossalmente, siamo aiutati anche dal limite degli altri. La serie di video «Suonate le campane», molto diffusa sul web è nata così: da un gruppo di amici che andava “in caritativa” dai detenuti di San Vittore e per loro registrava video di canzoni o musica da camera (nel senso di fatta in casa). Adesso quelle manciate di minuti di bellezza condivisa stanno diventando patrimonio di tutti noi, improvvisamente agli arresti domiciliari. Video brevi, a volte brevissimi, come quello (postato da migliaia di persone) di quattro ragazzi su un balcone, a Madrid, che cantano una struggente laude alla Madonna, Cuando de mi patrona. O come il sorriso radioso di Cristiana di Bologna, che ha ricevuto dal suo vescovo l’incarico di portare l’eucaristia ai malati, e ha imparato a consolare i pazienti anziani e spaventati con meno parole possibili: «Sono solo un’infermiera, e sono pure vestita da marziana ma questo è l’abbraccio di Gesù».
di Silvia Guidi