· Città del Vaticano ·

Tempore Famis

Pendolari tra eremo e città

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30 marzo 2020

Nei giorni dell’emergenza per il Coronavirus, a chi non cambia molto la vita? Per le rispettive condizioni estreme, almeno ai senzatetto e alle claustrali. A chi sta per forza sempre fuori e a chi sta per amore sempre dentro. A metà strada poi ci sono i carcerati, sospesi tra prima fuori e ora dentro. Tutti gli altri passano dalla libertà di movimento alla costrizione semi-claustrale. Questa nuova condizione ci sollecita a riflettere. Se guardiamo alla storia del cristianesimo, non è difficile accorgersi della costante oscillazione tra solitudine e compagnia, tra ambienti chiusi e spazi aperti.

Gesù invita a pregare chiusi nella propria stanza e poi si ritira da solo sul monte. Manda i discepoli in missione e poi li chiama in un luogo in disparte. Sta in mezzo alla gente e passa all’altra riva. La prima comunità cristiana, al tempo delle persecuzioni, si riunisce di nascosto nelle case, in seguito si costruiscono le basiliche. Mentre l’anacoreta si ritira nel deserto e l’eremita in solitudine, c’è il monaco che sceglie la vita comune nel cenobio, e poi chi è itinerante. Nel basso medioevo, al tempo dell’Osservanza, i francescani recuperano lo spirito originario attraverso il pendolarismo tra eremo e città: pregano in convento e predicano al popolo nei villaggi.

Oggi siamo tutti chiamati, seppur forzatamente, a riscoprire il valore dell’alternanza tra folla e focolare. In quanto esseri umani siamo fatti, da una parte, per l’attaccamento: la base sicura, i familiari, la casa. Dall’altra, per l’adattamento: al lavoro, alle relazioni, agli spostamenti. Normalmente, questo equilibrio ognuno lo trova a modo suo. Oggi siamo sollecitati dall’esterno alla creatività, proprio nel momento in cui siamo spostati necessariamente su uno dei due poli, quello della restrizione in spazi limitati. Imparare a vivere in uno stato di emergenza non è certo congeniale a nessuno. Ma finché prendiamo così le cose, non riusciremo a trasformare la crisi in opportunità.

Creatività, dal punto di vista ecclesiale, vuol dire inventare forme nuove di presenza e di prossimità, non soltanto incrementare l’uso dei social, la comunicazione con mezzi informatici, i contatti a distanza. Nuovo pendolarismo può significare frequentare di più lo spazio — spesso disabitato — dei sentimenti, dei pensieri, delle narrazioni. Se ci troviamo costretti a non poter stringere la mano ai propri cari ammalati o morenti, se non possiamo neppure piangere le loro salme, allora dobbiamo pur trovare il modo di vivere pienamente questo inedito presente. Quando Israele conobbe l’esilio, ci fu chi appese le cetre senza più voler cantare, e chi raccomandava di sposarsi, fare figli e accettare di vivere in terra straniera. Non ci farà bene rimanere come sospesi tra la nostalgia del tempo passato e la speranza che ritorni. Ora è il tempo di vivere, non di morire, di prendersi cura e di rischiare per gli altri, di ospitare nel cuore i fratelli più fragili. Nessuno ha ricette pronte, e proprio per questo dobbiamo chiedere allo Spirito di suscitare nuovi carismi per il tempo presente; che, siamo certi, il Signore non mancherà di donare alla sua Chiesa per il bene del mondo.

di Maurizio Gronchi