· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

La religiosa che da 19 anni entra ogni giorno in carcere

Suor Livia
giustizia e grazia

 Suor Livia  giustizia e grazia  DCM-008
06 settembre 2025

Suor Livia Ciaramella da diciannove anni dedica la sua vita a chi vive dietro le sbarre. In tempi in cui la giustizia a volte smarrisce una parte fondamentale di sé, la capacità di farsi anche misericordia, ogni mattina, dal lunedì al sabato, questa religiosa dall’abito color panna e voce gentile, arriva nel carcere San Donato di Pescara alle 8 e vi rimane fino alle 17.30, spesso fino alle 18, con solo una breve pausa pranzo. Trascorre intere giornate nelle celle, nei corridoi, nella cappella sopra al teatro dell'istituto penitenziario abruzzese, in mezzo a quelli che chiama "fratelli oltre le sbarre", offrendo sostegno spirituale, conforto, un contatto umano che spesso è l’unico possibile.

Suor Livia, suora dal 1977, nata a Pescara, 71 anni, appartiene alla Congregazione delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e porta nel suo ministero carcerario un background utilissimo: anni da missionaria in Africa e in Albania, e un passato da maestra dell'infanzia.

In un luogo di ferro e cemento, dove 400 persone patiscono quotidianamente la lontananza da una madre anziana e malata, da un figlio problematico, da una famiglia che non sa più dove sbattere la testa, suor Livia si è guadagnata il titolo di "la mano di Dio". Non per retorica, ma per l’integrità con cui, giorno dopo giorno, tende la propria.

La sua presenza non trasforma la dura realtà della detenzione, ma per molti la migliora portando dignità umana e compassione, ricordando che la giustizia non deve essere ridotta a gestione della pena, che punire non è l’unico compito che le spetta.

Il lavoro di suor Livia è una testimonianza di ciò che la giustizia è quando è unita alla grazia: non mera punizione, ma possibilità di redenzione, perdono e connessione umana anche nei luoghi più bui. Come ricordava Papa Francesco, e prima di lui Giovanni Paolo II nella Giornata mondiale della pace del 2002: «Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono».

Suor Livia, dove è Dio in carcere?

Dio è ovunque, dunque anche in carcere. Dio è dove c’è qualcuno che ti aiuta, quando trovi una persona che ascolta, comprende e conforta nel momento del dolore e della disperazione. Lì e in quell’attimo, in quella mano tesa e in quell’abbraccio, c’è la mano di Dio. Io ascolto, ed è la cosa fondamentale che faccio, e poi cerco di rimediare come posso. Ascolto le preoccupazioni di chi è qui dentro impotente mentre, ad esempio, fuori gli stanno togliendo la casa perché la famiglia non ha i soldi per pagare l’affitto, o perché la moglie ha perso il lavoro, o per i figli che non vanno a scuola. L’altro giorno non funzionavano i telefoni: gran parte dei detenuti ha solo 10 minuti di telefonata a settimana, se gli togli anche quel momento… Le tragedie possono scoppiare anche per un niente, ma è un niente solo per noi che siamo fuori, loro è tutto quello che hanno.

E allora lei ascolta e aiuta.

Perché sono persone. Hanno sbagliato, ma restano persone e vanno aiutate. Qui dentro e poi fuori, senza pregiudizi, senza frapporre barriere. Chiunque può sbagliare, anche io. Ricordiamo il messaggio di Papa Francesco ripetuto: non cancelliamo la speranza. Quando escono li aiuto come posso, nella ricerca di un alloggio, nella ricerca di un lavoro.

E converte anche? E sono vere conversioni?

La mano va data a tutti. Poi si vede. Due-tre conversioni all’anno avvengono. Quando uno esce dal carcere mi scrive e mi manda i messaggi per telefono. Ho tenuto i contatti con tantissimi. Ricordo uno di loro, un giovane albanese, qui ha preso Battesimo, Cresima e Comunione e quando è uscito mi ha chiesto di battezzare anche i suoi tre figli. Il più grande ha undici anni, e il padre un po’ si vergognava di battezzare i figli nella sua parrocchia e allora abbiamo organizzato la cerimonia nella cappella della Cittadella della Caritas qui vicino al carcere.

Come è la sua giornata con loro in carcere?

Vi sono i colloqui, il lunedì nella sezione penale, il venerdì al giudiziario. Poi c’è il catechismo, mi aiutano anche due seminaristi, e i lavoretti nel laboratorio che ho al piano terra vicino alla cappella al quale partecipano 10-15 detenuti perché la stanza è piccola e di più non ci entrano. E ancora la recita del rosario, le novene, il coro, la preparazione alla messa che purtroppo si tiene al sabato.

Perché purtroppo?

Gli agenti di polizia sono meno del previsto e visto che almeno due devono essere presenti alla messa, la direzione ha deciso di farla il sabato. Ma il sabato ci sono anche i colloqui con i famigliari e gli incontri con gli avvocati e perciò molti non possono venire.

Giornate piene?

Senza sosta e senza dimenticare le iniziative con i detenuti che riesco a portare fuori. Da sette anni tra giugno e luglio porto una decina di detenuti al Santuario di Loreto con l’Unitalsi, l'associazione cattolica dedicata al servizio degli ammalati ed in particolare al loro trasporto in pellegrinaggio presso i santuari italiani. La loro gioia è enorme e aiutano i volontari con le carrozzine. Un giorno d’amore, quello che manca. E che apre nuove strade. Quest’anno, l’8 maggio, festa della Madonna del Rosario di Pompei, ho fatto portare in carcere una corona da rosario lunga 86 metri, arrivava dal primo cancello fino alla chiesa. Abbiamo pregato per i Popoli e per la Pace. Quel giorno è stato eletto Papa Leone. Mi auguro che sia un segnale che il Papa un giorno verrà nel carcere “S. Donato.

Poi la sera se ne torna a casa.

“Sì, con una auto, una piccola Hyundai che mi ha regalato un detenuto. Usata. E quando si è guastata, me l’ha riparata un altro detenuto. Come io cerco di riparare le loro vite”.

di Francesco Lo Piccolo
Direttore di «Voci di dentro»»