Oggi, naturalmente, non esistono più figlie in esubero da collocare in monastero per evitare di pagare un’esosa dote matrimoniale e di conseguenza non c’è più nessuna costrizione da parte delle famiglie verso una giovane donna per farla entrare in un monastero. Anzi si può affermare che la vocazione monastica rappresenti in molte famiglie un dramma, difficile da accettare. Almeno da un secolo e mezzo il monastero è uno spazio di libertà nel quale donne, chiamate da Dio, possano scegliere di vivere un percorso spirituale autenticamente umano e volto alla crescita della persona, fino a raggiungere “la misura della pienezza di Cristo”. (Ef. 4.13). Visioni della donna e della donna religiosa come al tempo di suor. Arcangela non appartengono più nemmeno all’immaginario; i riferimenti oggi sono la costituzione apostolica di Papa Francesco Vultum Dei Quaerere (2016) e l’istruzione applicativa Cor Orans pubblicata due anni dopo. Si è approdati a una nuova rappresentazione della vita monastica femminile, definita contemplativa e non più legata ad uno dei mezzi che la favorisce, cioè la clausura. Vengono evidenziati la capacità di autonomia, di governo e di responsabilità delle monache, che non sono sottospecie di umani bisognose di tutela, di direzione e di guida per ogni singola azione ma donne responsabili delle proprie scelte, con grande senso di profezia e di creatività all’interno della vasta azione dello Spirito santo nel percorso delle sororità e di ciascuna monaca.
di Rosa Lupoli
Badessa del Monastero delle Trentatrè di Napoli