Essere madre

Sedici anni dopo, Elena Stancanelli e Carola Susani tornano a scriversi. Nel 2009 avevano pubblicato un libro intimo e inaspettato, Mamma o non mamma, una raccolta di lettere che intrecciava l'esperienza della maternità con quella della sua assenza, del suo rifiuto o della sua esclusione. Un libro «così spregiudicato che a rileggerlo oggi quasi mi vergogno», dice Stancanelli. L'idea era semplice quanto coraggiosa: farsi spiegare dall'altra perché una donna decide di fare o non fare un figlio. Da una parte Elena, che aveva scelto di non diventare madre, dall'altra Carola, che aveva già una figlia e aspettava la seconda. Erano due donne, due scrittrici, due amiche, che mettevano in comune visioni divergenti senza contrapposizioni, senza che nessuna delle due pretendesse di avere ragione.
Oggi quel carteggio si riapre con due nuove lettere che Stancanelli e Susani si scambiano tornando a interrogarsi con consapevolezza coraggiosa sul tempo trascorso, sui corpi che cambiano, sui figli cresciuti, su ciò che resta di quella scelta, o non-scelta, di allora. Un cerchio che si chiude e si riapre, perché «le parabole non sono mai compiute, siamo lontane dall'epilogo», come scrive Susani.
Il libro torna in libreria per Marsilio come un'opera che ha ormai raggiunto la maggiore età, quasi come Nina, la secondogenita di Carola. Elena Stancanelli scrive: «Mi sgomenta soprattutto la scoperta di essere diventata proprio la donna che allora progettavo di diventare. È successo perché sono ostinata come un asino... ma anche perché i libri sono delle profezie auto-avveranti».
La maternità che aveva rifiutato con lucidità e convinzione oggi si ripresenta come una cima mai scalata, una montagna sempre più alta che il tempo ha reso inaccessibile: «Non sono pentita di non aver avuto figli. Ma sono pentita di non aver concesso alla mia vita di andare dove capitava», scrive con una sincerità che taglia come una lama. L'illusione di poter tutto controllare si è rivelata per quello che era: «Se non fosse per la biologia sarei ancora lì, a preparare lo zaino per iniziare la vita». «Mi sembra però che il tempo abbia trasformato tutte le mie scelte in capricci, compresa quella di non diventare mamma».
Eppure, «nel frattempo» – che immagina come titolo della sua autobiografia mai scritta – c'è stato amore, lettura, lavoro, cammino, ma anche la percezione che «mi sfuggiva la cosa più evidente, e cioè che l'esperienza grandiosa a disposizione di chiunque è semplicemente crescere un figlio, in qualsiasi modo questo figlio arrivi». Rilegge Elsa Morante e asserisce che «dentro i suoi libri la maternità è una condanna... Non c'è mai una madre divertita, leggera». Ma è la felicità stessa, più ancora della maternità, a diventare la vera questione aperta: «Abbiamo dimenticato che la felicità non passa attraverso la realizzazione di sé, ma attraverso la realizzazione di tutti. E dunque la felicità è anche una questione politica». Se la maternità può essere un salto nel buio, il suo errore è stato «non chiudere gli occhi e saltare quando avevo ancora entrambi i menischi interi». «Non saprò mai cosa c'era laggiù, dall'altra parte del fiume».
Carola Susani, dall'altra parte del fiume, racconta invece una storia piena di presente, in cui le figlie Clara che studia a Torino e Nina segnano il tempo, modificano gli equilibri, riscrivono ogni giorno il senso stesso dell'esistenza: «La parabola non è compiuta, siamo lontane dall'epilogo, ma certo ci troviamo a uno snodo importante della storia. Perché è vero, io, che ho fatto due figlie, la sensazione di avere una storia ce l'ho».
La maternità per lei non è stata né sacrificio né idealizzazione, ma esperienza vissuta nella sua densità concreta: «Perfino l'invecchiamento mi sembra giustificato da una storia così». Non è un ideale di madre perfetta quello che la guida, ma una presenza approssimativa e piena: «Se a volte ho desiderato somigliare un po' di più a questa figura di semidea e ho sofferto del burrone che mi separava da lei, alla fine giocare con le bambine in terra fra i lego, le bambole, i pupazzi lì da tre giorni... è stato bello, bellissimo, indimenticabile e se potessi lo rifarei domani». E comunque «loro a dispetto di tutto apprezzano di essere nate».
Le due scrittrici si confrontano con una realtà che non avevano previsto.
Susani confessa la sua paura per il futuro delle figlie: «il mondo assediato dalle guerre, l'affermazione senza più limiti della forza» la riempie di ansia. «Se fossi stata senza figlie, la mia premura per il mondo sarebbe stata quella di Ariele nella tempesta (lo spirito dell’aria della commedia di William Shakespeare, ndr), senza peso», riflette, «ma avendo messo al mondo loro due, ogni cosa che capita al pianeta mi fa venire voglia di nasconderle».
Stancanelli rivendica ancora che «mettere al mondo un figlio è un gesto ingeneroso rispetto al numero dei presenti sulla Terra» e che oggi «mi sembra quasi nefasto». Ma la sua riflessione finale è un atto di coraggio e di riconoscimento: «Niente andrà come deve andare se le madri non saranno felici coi loro figli, se continueranno a vivere l'inganno della competizione, se aspetteranno per farli fino a quando non sono abbastanza adulte, ricche, sistemate».
Non ci sono più certezze, semmai dubbi coltivati con rigore, eppure da entrambe emerge il desiderio di una parola che non sia giudicante, che lasci spazio alla complessità e alla contraddizione. Il vero nodo che le due scrittrici inseguono oggi, al di là dell'essere madri o no, è forse proprio questo: la possibilità di ripensare la felicità come questione condivisa, di spostare il centro dalla realizzazione personale alla relazione, dalla prestazione all'ascolto, dal controllo al caso. E se è vero che la maternità, come scrive Elena, «dovrebbe essere una sventatezza allegra», allora forse la vera sfida è imparare a lasciare accadere le cose, anche quando fanno paura.
Quello che ci rende umani, vulnerabili e, qualche volta, felici.