Variazioni su Dostoevskij

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22 giugno 2021

Essere samaritano


– Il Vangelo non consente di cercare ragioni all’aiuto. Prendi semplicemente, il samaritano.

– E se una volta si ammette la ragione all’aiuto.

–  ... Allora subito si attivano la mente e il ragionamento. Non c’è un motivo sufficiente, nessun aiuto per lui, egli non ama la libertà - che è il primo bene della gente.

Un’unica fede. Essere samaritano, questo è ciò che insegna il Vangelo, senza guardare al tipo fede. Invece di credere in te stesso...

Quaderni 1876-1877, PSS 24,266

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Questo appunto è ricavato da un quaderno di materiali preparatori al Diario di uno scrittore  del 1876-1877. È una nota dai tratti nervosi nella quale però spicca la figura del samaritano. Dostoevskij entra subito in medias res  con la forza di una massima: «Il Vangelo non consente di cercare ragioni all’aiuto». Cioè non si può spiegare perché si decide di aiutare qualcuno, perché si rinuncia alla sicurezza della propria strada, della propria vita, per fermarsi e dare aiuto a chi soffre ai margini della via: «Prendi semplicemente, il samaritano». Egli stava percorrendo il suo cammino ma a un certo punto “inciampa”, se così si può dire, in quello sventurato e, a differenza di chi era passato prima di lui, non fa finta di niente, non lo evita ma si ferma. È inutile cercare la ragione del perché lo fa. Anzi se si cerca il motivo, «allora subito si attivano la mente e il ragionamento» e non se ne viene fuori, perché — scrive lo scrittore russo — «non c’è un motivo sufficiente», non c’è nessuno che può venire in suo soccorso e spiegare perché lo ha fatto.

Anzi qualcuno potrebbe obiettare che agendo così egli ha dimostrato di non amare la libertà, «che è il primo bene della gente». Poteva infatti continuare, fare la sua strada e giungere a casa dove forse c’era qualcuno che lo aspettava ed era in ansia non vedendolo arrivare. Invece ha preferito fermarsi. La carità obbliga sempre a una sosta, un gesto d’amore costringe sempre a fermarsi e a cedere una parte di quell’assoluta libertà di cui crediamo di godere. D’altro canto senza questa sosta, senza questa fermata è facile accorgersi che tale libertà non rende. Se essa infatti non si trasforma nella possibilità di fare un gesto d’amore, questa si dimostra inutile. Il samaritano, dice Dostoevskij, intuisce tutto ciò, anche se non se lo sa spiegare. Non a caso l’appunto si intitola «Un’unica fede». E qual è questa fede? La risposta che dà lo scrittore è folgorante: «Essere samaritano», con tutto ciò che implica una tale scelta in termini di rinuncia a se stessi, di limitazione della propria autonomia. E anche la chiusa è categorica e non lascia margini di interpretazione: «Questo è ciò che insegna il Vangelo, senza guardare al tipo fede. Invece di credere in te stesso...».

a cura di Lucio Coco

(continua)

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