Variazioni su Dostoevskij

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18 giugno 2021

I semi di Dio

 

Dio prese i semi da altri mondi e li seminò su questa terra; il suo giardino crebbe e tutto quello che  poteva germogliare germogliò, ma quello che è cresciuto vive ed è vivo esclusivamente per quel sentimento di contatto con altri mondi misteriosi. Se questo senso si indebolisce o viene meno in te, morirà anche ciò che è cresciuto in te. Allora diventerai indifferente alla vita e finirai anche per odiarla. Io la penso così. 

«I fratelli Karamazov», PSS, 14,290-291

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Il grande capitolo della morte dello starec Zosima chiude la seconda parte de I fratelli Karamazov. Per l’ultima volta, davanti ai confratelli che si erano riuniti per ascoltarlo, il monaco ha modo di approfondire i temi cruciali della vita e del destino dell’uomo. A un certo punto della narrazione viene riportato, come riferito da lui, anche questo breve racconto: «Dio prese i semi da altri mondi e li seminò su questa terra». 

Il suo intento è quello di invitare i suoi ascoltatori a cercare la verità delle cose non nella realtà, non nell’analisi, si potrebbe dire, ma in un altrove ultraterreno del quale esse sono il riflesso. Con questo apologo lo starec invita a una elevazione spirituale, non tanto nel senso mistico ma filosofico, attraverso la quale è possibile spingere lo sguardo oltre il reale, verso un mondo superiore da cui dipendono persino le radici «dei nostri pensieri» e dei nostri sentimenti.  

«Ecco perché anche i filosofi affermano che non è possibile concepire l’essenza delle cose sulla terra», aveva detto poco prima il monaco. Volendo significare che occorre esercitarsi a trascendere continuamente il visibile per cogliere quell’invisibile che ne costituisce il modello e l’archetipo. Si tratta di attivare uno spazio di contemplazione che supera il reale e ne trova la ragione in quel mistero dal quale esso dipende. L’apologo dei semi che Dio seminò sulla terra da altri mondi dice quindi proprio questo: che bisogna tenere sempre desta la coscienza di questa arcana corrispondenza che c’è tra sensibile e soprasensibile, del ponte che corre tra visibile e invisibile. Diversamente, avverte Zosima, senza la consapevolezza di questa dimensione simbolica, anche la vita perde di profondità e rischia di inaridirsi perché ha perso «quel senso di contatto» con le sue ragioni più autentiche e alte che hanno il loro fondamento proprio nel mistero di Dio. 

a cura di Lucia Coco

(continua)

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