La conclusione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo
Lo Spirito soffia
E annuncia: «Non intendo pubblicare una “esortazione apostolica”»
Nel pomeriggio di sabato 26 ottobre si è tenuta nell’Aula Paolo vi la 17ª e ultima Congregazione generale della Seconda sessione della xvi Assemblea generale del Sinodo dei vescovi. Dopo l’approvazione del Documento finale, i cui punti sono stati votati singolarmente dai partecipanti all’Assemblea, i lavori sono proseguiti con il saluto del presidente delegato Sua Beatitudine Ibrahim Isaac Sedrak, patriarca di Alessandria dei copti e presidente della Assemblea dei patriarchi e dei vescovi in Egitto, e il saluto finale di Papa Francesco. La Congregazione generale si è infine conclusa con la preghiera, l’intonazione dell’inno del Te Deum e la benedizione impartita dal Santo Padre. Ecco il testo del discorso pronunciato dal Pontefice.
Cari fratelli e sorelle,
con il Documento Finale abbiamo raccolto il frutto di anni, almeno tre, in cui ci siamo messi in ascolto del Popolo di Dio per comprendere meglio come essere “Chiesa sinodale” — è l’ascolto dello Spirito Santo — in questo tempo. I riferimenti biblici che aprono ogni capitolo, dispongono il messaggio incrociandolo ai gesti e alle parole del Signore Risorto che ci richiama a essere testimoni del suo Vangelo, con la vita prima che con le parole.
Il Documento sul quale abbiamo espresso il nostro voto è un triplice dono.
Per primo a me, Vescovo di Roma. Convocando la Chiesa di Dio in Sinodo ero consapevole di aver bisogno di voi, Vescovi e testimoni del cammino sinodale. Grazie!
Anche il Vescovo di Roma, lo ricordo a me stesso, frequentemente, e a voi, ha bisogno di praticare l’ascolto, anzi vuole praticare l’ascolto, per potere rispondere alla Parola che ogni giorno gli ripete: «Conferma i tuoi fratelli e le tue sorelle ... Pasci le mie pecore».
Il mio compito, lo sapete bene, è custodire e promuovere — come ci insegna San Basilio — l’armonia che lo Spirito continua a diffondere nella Chiesa di Dio, nelle relazioni tra le Chiese, nonostante tutte le fatiche, le tensioni, le divisioni che segnano il suo cammino verso la piena manifestazione del Regno di Dio, che la visione del Profeta Isaia ci invita a immaginare come un banchetto preparato da Dio per tutti i popoli. Tutti, nella speranza che non manchi nessuno. Tutti, tutti, tutti! Nessuno fuori, tutti. E la parola chiave è questa: l’armonia. Quello che fa lo Spirito, la prima manifestazione forte, il mattino di Pentecoste, è armonizzare tutte quelle differenze, tutte quelle lingue... Armonia. È ciò che il Concilio Vaticano ii insegna quando dice che la Chiesa è “come sacramento”: essa è segno e strumento dell’attesa di Dio che ha già apparecchiato la mensa, e attende. La sua Grazia, tramite il suo Spirito, sussurra nel cuore di ciascuno parole di amore. A noi è dato di amplificare la voce di questo sussurro, senza ostacolarlo; ad aprire le porte, senza erigere muri. Quanto male fanno le donne e gli uomini di Chiesa quando erigono dei muri, quanto male! Tutti, tutti, tutti! Non dobbiamo comportarci come “dispensatori della Grazia” che si appropriano del tesoro legando le mani al Dio misericordioso. Ricordatevi che abbiamo iniziato questa Assemblea sinodale chiedendo perdono, provando vergogna, riconoscendo che siamo tutti dei misericordiati.
C’è una poesia di Madeleine Delbrêl, la mistica delle periferie che esortava: «Soprattutto non essere rigido» — la rigidità è un peccato, è un peccato che a volte entra nei chierici, nei consacrati, nelle consacrate —. Vi leggo alcuni versi di Madeleine Delbrêl, che sono una preghiera. Lei dice così:
Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza
della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero,
di conoscerti con aria da professore,
di raggiungerti con regole sportive,
di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato
Facci vivere la nostra vita,
non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato,
non come una partita dove tutto è difficile,
non come un teorema che ci rompa il capo,
ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella,
come un ballo,
come una danza,
fra le braccia della tua grazia,
nella musica che riempie l’universo di amore.
Questi versi possono diventare la musica di fondo con cui accogliere il Documento Finale. E ora, alla luce di quanto emerso dal cammino sinodale, ci sono e ci saranno decisioni da prendere.
In questo tempo di guerre dobbiamo essere testimoni di pace, anche imparando a dare forma reale alla convivialità delle differenze.
Per tale ragione non intendo pubblicare una “esortazione apostolica”, basta quello che abbiamo approvato. Nel Documento ci sono già indicazioni molto concrete che possono essere di guida per la missione delle Chiese, nei diversi continenti, nei diversi contesti: per questo lo metto subito a disposizione di tutti, per questo ho detto che sia pubblicato. Voglio, così, riconoscere il valore del cammino sinodale compiuto, che tramite questo Documento consegno al santo popolo fedele di Dio.
Su alcuni aspetti della vita della Chiesa segnalati nel Documento, come pure sui temi affidati ai dieci “Gruppi di Studio”, che devono lavorare con libertà, per offrirmi proposte, c’è bisogno di tempo, per giungere a scelte che coinvolgono la Chiesa tutta. Io, allora, continuerò ad ascoltare i Vescovi e le Chiese affidate a loro.
Questo non è il modo classico di rimandare all’infinito le decisioni. È quello che corrisponde allo stile sinodale con cui anche il ministero petrino va esercitato: ascoltare, convocare, discernere, decidere e valutare. E in questi passi sono necessari le pause, i silenzi, la preghiera. È uno stile che stiamo apprendendo insieme, un po’ alla volta. Lo Spirito Santo ci chiama e ci sostiene in un questo apprendimento, che dobbiamo comprendere come processo di conversione.
La Segreteria Generale del Sinodo e tutti i Dicasteri della Curia mi aiuteranno in questo compito.
Il Documento è un dono a tutto il Popolo fedele di Dio, nella varietà delle sue espressioni. È ovvio che non tutti si metteranno a leggerlo: sarete soprattutto voi, assieme a tanti altri, a rendere accessibile nelle Chiese locali ciò che esso contiene. Il testo, senza la testimonianza dell’esperienza compiuta, perderebbe molto del suo valore.
Cari fratelli e sorelle, ciò che abbiamo vissuto è un dono che non possiamo tenere per noi stessi. Lo slancio che viene da questa esperienza, di cui il Documento è un riflesso, ci dà il coraggio di testimoniare che è possibile camminare insieme nella diversità, senza condannarci l’un l’altro.
Veniamo da tutte le parti del mondo, segnati dalla violenza, dalla povertà, dall’indifferenza. Insieme, con la speranza che non delude, uniti nell’amore di Dio diffuso nei nostri cuori, possiamo non solo sognare la pace ma impegnarci con tutte le nostre forze perché, magari senza parlare tanto di sinodalità, la pace si realizzi attraverso processi di ascolto, dialogo e riconciliazione. La Chiesa sinodale per la missione, ora, ha bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti. E questo è il cammino.
Tutto questo è dono dello Spirito Santo: è Lui che fa armonia, Lui è l’armonia. San Basilio ha una teologia molto bella su questo; se potete leggete il trattato di San Basilio sullo Spirito Santo. Lui è l’armonia. Fratelli e sorelle, che l’armonia continui anche uscendo da quest’aula e il Soffio del Risorto ci aiuti a condividere i doni ricevuti.
E ricordate — sono ancora parole di Madeleine Delbrêl — che «ci sono luoghi in cui soffia lo Spirito, ma c’è uno Spirito che soffia in tutti i luoghi».
Vorrei ringraziare tutti voi, e ringraziamoci a vicenda. Ringrazio il Cardinale Grech e il Cardinale Hollerich per il lavoro che hanno fatto, i due Segretari, Nathalie e San Martín— avete fatto bene! —, don Batocchio e padre Costa che ci hanno aiutato tanto! Saluto tutti questi che hanno lavorato dietro le quinte e senza di loro non avremmo potuto fare tutto questo. Grazie tante! Che il Signore vi benedica. Preghiamo l’uno per l’altro. Grazie!
Madeleine Delbrêl, mistica delle periferie
«La mistica delle periferie»: Papa Francesco ha definito così la venerabile serva di Dio Madeleine Delbrêl (1904-1964) citandola nel discorso finale al Sinodo sulla sinodalità. La donna francese — che è stata assistente sociale e scrittrice e ha vissuto oltre trent’anni nella banlieu povera e operaia di Parigi — era stata anche l’ultima protagonista della serie di catechesi dello scorso anno dedicate a figure di santità distintesi per passione per l’evangelizzazione e zelo apostolico.
Di famiglia cattolica, da ragazza professa uno spavaldo ateismo. Ma quando il ragazzo di cui è innamorata si fa domenicano lei comincia a interrogarsi sull’esistenza di Dio, fino a pensare di entrare nel Carmelo. Invece decide di vivere da laica a Ivry-sur-Seine, dove abita in povertà con alcune compagne dal 1933 fino alla fine.
Soffermandosi sulla sua capacità di «diffondere la gioia della fede tra i non credenti», quel mercoledì 8 novembre 2023 il Vescovo di Roma ne aveva riproposto quella che Delbrêl chiamava “la spiritualità della bicicletta”. «Dopo un’adolescenza vissuta nell’agnosticismo — ricordò Francesco —, a circa vent’anni Madeleine incontra il Signore, colpita dalla testimonianza di alcuni amici credenti... La gioia della fede la porta a maturare una scelta di vita interamente donata a Dio, nel cuore della Chiesa e nel cuore del mondo, semplicemente condividendo in fraternità la vita della “gente delle strade”. Poeticamente si rivolgeva a Gesù così: “... Tu ci hai scelti per stare in uno strano equilibrio, un equilibrio che può stabilirsi e mantenersi solo in movimento, solo in uno slancio. Un po’ come una bicicletta, che non si regge senza girare […] Possiamo star dritti solo avanzando, muovendoci, in uno slancio di carità”».
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