Lampedusa 10 anni dopo
Il 3 ottobre 2013 al largo dell’isola di Lampedusa si consumava la peggiore tragedia delle migrazioni nel Mediterraneo: i morti furono 368. Dieci anni dopo che cosa è cambiato? Nulla. Nel Mare Nostrum si continua a morire. I dati sono incerti, difficili da quantificare con precisione, ma dal 2014 si stima che vi abbiano perso la vita tra le 22.000 e le 28.000 persone. Una strage infinita che si consuma sostanzialmente nel disinteresse generale. La politica continua ad affrontare il fenomeno migratorio come fosse una emergenza e non come un fatto ormai strutturale di questo nostro tempo, offrendo come unica risposta la chiusura. L’opinione pubblica si sta assuefacendo alla realtà che sia normale che migliaia di uomini, donne e bambini possano morire in mare, più o meno consapevole di ciò che accade sull’altra sponda, prima dei viaggi sui barconi, nelle prigioni dei trafficanti e prima ancora nel deserto. Come accadde 10 anni fa, come accade ancora.
Vorremmo che questo 3 ottobre non fosse solo un momento per fare memoria di quanti hanno perso la vita da allora e prima di allora nel Mediterraneo, ma soprattutto un’occasione per riflettere sulle responsabilità di questo dramma epocale e per cercare di porvi fine con risposte condivise da tutti; risposte di solidarietà e di accoglienza nel riconoscimento di una comune umanità.
Leggi anche:
Il naufragio che ha segnato la memoria collettiva europea
di Enrico Casale
Intervista con Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia
di Isabella Piro
Un impegno concreto per cambiare le cose
di Alessandra Zaffiro
La denuncia di Oim, Unhcr e Unicef: in dieci anni oltre 22.ooo morti nel Mediterraneo centrale