Triduo pasquale - Sabato santo

All’alba di Pasqua
con Maria di Magdala

 All’alba di Pasqua con Maria di Magdala  QUO-083
08 aprile 2023

Nell’arco temporale che intercorre tra la morte in croce e la sepoltura di Gesù e il mattino del successivo giorno pasquale della risurrezione entra in scena una figura speciale, Maria di Magdala. Nel 1989 lo scrittore Giovanni Testori mi chiese di premettere a un suo volume dedicato a Maria Maddalena nella storia dell’arte (soggetto in cui sacro ed eros s’intrecciavano secondo una tipologia cara allo scrittore) un profilo biblico. Scelsi come titolo: Una santa calunniata e glorificata. Il titolo è ancor più pertinente ai nostri giorni in seguito alle improbabili fantasie del Codice da Vinci di Dan Brown, anche perché ha alla base una sorta di luogo comune, scambiato per storiografico, inchiodato nella mente di molti lettori.

Cerchiamo, allora, di ricostruire le ragioni della deformazione del volto di questa donna proveniente da Magdala (dall’ebraico migdol, «torre»), un villaggio di pescatori posto sulla costa occidentale del lago di Tiberiade, allora centro commerciale ittico tant’è vero che in greco si chiamava Tarichea, cioè “pesce salato”. Ebbene, da questa località, Maria emerge all’improvviso nel Vangelo di Luca (8,1-3), in un elenco di discepole di Cristo, come Giovanna, moglie del ministro delle finanze di Erode Antipa, o una certa Susanna e «molte altre». Il ritratto è abbozzato con una sola pennellata: «Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni». Il «demonio» nel linguaggio evangelico non è solo radice di un male morale ma anche fisico che può pervadere una persona. Il «sette», poi, è il numero simbolico della pienezza. Non possiamo, dunque, sapere molto sul male grave, morale o psichico o fisico, che colpiva Maria e che Gesù le aveva eliminato. La tradizione popolare, però, nei secoli successivi non ha avuto esitazioni e ha fatto diventare Maria Maddalena una prostituta.

Ma perché? La risposta è semplice: nella pagina precedente, il capitolo 7 del Vangelo di Luca, si narra la storia di un’anonima «peccatrice nota in quella (innominata) città». L’applicazione era facile ma infondata: questa «peccatrice» pubblica dovrebbe essere Maria di Magdala, presentata poche righe dopo! A lei venne, allora, attribuita tutta la vicenda raccontata dall’evangelista. Saputo della presenza di Gesù a un banchetto in casa di un notabile fariseo, un tale Simone, essa aveva compiuto un gesto di venerazione e di amore particolarmente apprezzato dal Cristo: aveva cosparso di olio profumato i piedi del rabbì di Nazaret, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli, ricevendo alla fine una parola di perdono dei suoi peccati.

Con questa prima ingiustificata identificazione tra la Maddalena e l’anonima peccatrice se ne preparava già la seconda in una specie di gioco delle sovrimpressioni. È noto, infatti, che nel capitolo 12 di Giovanni, Maria, sorella di Marta e di Lazzaro, amici di Gesù, aveva compiuto lo stesso gesto — che, tra l’altro, era segno di ospitalità e di esaltazione dell’ospite — della citata peccatrice di Luca. Durante il pranzo, essa «cosparge i piedi di Gesù con una libbra di olio profumato di vero nardo assai prezioso e li asciuga coi suoi capelli». È per libera deduzione che nella tradizione cristiana Maria di Magdala viene trasformata in Maria di Betania, sobborgo di Gerusalemme!

Per due volte la tradizione popolare fa, così, perdere i connotati personali a Maria di Magdala, confondendola prima con una prostituta — da qui tutte le rappresentazioni “carnali” della santa nella storia dell’arte — e poi con la più pura Maria di Betania. Frattanto, però, Maria Maddalena è effettivamente giunta coi discepoli a Gerusalemme alla sequela di Gesù per vivere con lui le sue ultime ore tragiche. Tutti gli evangelisti sono, infatti, concordi nel segnalare la sua presenza al momento della crocifissione e della sepoltura di Cristo (ad esempio, Matteo 27,56 e 61). Ed è proprio accanto a quella tomba nella luce ancora pallida dell’alba di Pasqua che il Vangelo di Giovanni (20,11-18) ambienta il celebre incontro tra Cristo e Maria di Magdala.

Come è noto, Maria scambia il Cristo col custode dell’area cemeteriale. Ora, questo tipo di “cecità” è tipico di alcune apparizioni del Risorto: si pensi solo ai discepoli di Emmaus che gli camminano insieme per ore senza riconoscerlo (Luca 24, 13-35). Il significato è naturalmente teologico: pur essendo ancora lo stesso Gesù di Nazaret, il Cristo glorioso travalica le coordinate umane, storiche e fisiche. Per poterlo “riconoscere” è necessario mettersi su un canale di conoscenza trascendente, quello della fede. È per questo che, solo quando si sente chiamata per nome in un dialogo personale, Maria lo “riconosce” chiamandolo in aramaico Rabbuní, «mio maestro».

Nella sua celebre Vita di Gesù (1863) lo storico francese Ernest Renan razionalisticamente spiegherà tutta la scena come l’allucinazione di un’innamorata: «L’amore di una donna compì il miracolo: Gesù risorse per lei!». Si aggiungeva, così, un ulteriore tassello malizioso al ritratto di Maria, facendola passare — senza il minimo fondamento testuale — come amante segreta di Gesù. Anzi, non è mancato chi ha cercato di assegnargliela in moglie, come un americano, William E. Phipps in un libro, piuttosto “creativo”, dal titolo esplicito Was Jesus married? (1970).

Ma questa deformazione del volto della Maddalena aveva radici più antiche a cui forse potrebbero rimandare i moderni “detrattori” della santa. Dobbiamo, allora, uscire dai Vangeli canonici ed entrare nel mondo, magmatico e insicuro, degli apocrifi gnostici, sorti nella cristianità d’Egitto attorno al iii secolo. Prima di tutto dobbiamo dire che in alcuni di questi scritti Maria di Magdala viene persino confusa con Maria, la madre di Gesù! Identificazione, certo, nobilissima ma che ancora una volta impediva a questa donna di conservare la sua identità personale. Anzi, la trasfigurazione raggiungerà in quegli scritti una tale altezza da sciogliere la figura di Maria Maddalena fino a renderla quasi un’idea, un simbolo, la Sapienza per eccellenza.

Questo risultato viene paradossalmente ottenuto attraverso immagini sulle quali la lettura interpretativa posteriore con malizia tenterà di ricamare allusioni voluttuose ed erotiche. Si leggeva, infatti, nel Vangelo di Filippo, un apocrifo scoperto nel 1945 a Nag Hammadi in Egitto: «Il Signore amava Maria Maddalena più di tutti i discepoli e spesso la baciava sulla bocca. Gli altri discepoli, vedendolo con Maria, gli domandarono: Perché l’ami più di tutti noi?». Ce n’era abbastanza per chi, ignaro della simbologia biblica («la Sapienza esce dalla bocca dell’Altissimo» secondo l’Antico Testamento, come si legge nel libro del Siracide 24,3), ha voluto seminare sospetto su Maria e su Gesù, fantasticando una relazione sessuale tra i due, come sopra abbiamo segnalato. In realtà, secondo quanto osservava lo studioso Luigi Moraldi (1915-2001) nella sua edizione di quell’apocrifo, «in tutti gli scritti gnostici cristiani la Maddalena è solo l’esempio del perfetto gnostico e la maestra della dottrina gnostica», cioè della conoscenza piena dei misteri divini.

In un altro testo gnostico, il trattato Pistis Sophia, ove appare per ben 77 volte, la Maddalena diventa l’emblema dell’umanità redenta di tipo androgino (un’altra deformazione di Maria!) perché, secondo una lettura letteralista di un passo dell’apostolo Paolo, «non ci sarà più né uomo né donna ma tutti saranno uno in Cristo Gesù» (Galati 3, 28). La funzione di segno della Sapienza divina sarà esplicita in questa beatitudine rivolta alla Maddalena e messa in bocca a Gesù dall’autore gnostico: «Te beata, Maria, ti renderò perfetta in tutti i misteri dell’alto. Parla apertamente tu, il cui cuore è rivolto al Regno dei cieli più di tutti i tuoi fratelli!» (17, 2).

Una santa in cerca d’identità, quindi, sospesa tra due estremi: carnalmente abbassata a prostituta o ad amante, spiritualmente elevata a Sapienza trasfigurata. Per fortuna l’unico che in quell’alba pasquale la chiamò per nome, Maria, e la riconobbe confermandola come sua discepola fu proprio Gesù di Nazaret, il suo Maestro, il Rabbuní. Ed è proprio sulla base di quell’incontro pasquale che la sua presenza si riaffaccia ogni anno nella liturgia cattolica di Pasqua con la stupenda melodia gregoriana del Victimae paschali e con quel dialogo latino che ci esimiamo dal tradurre: — Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?— Surrexit Christus spes mea!

di Gianfranco Ravasi


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