Il saluto iniziale di Papa Francesco

L’amore non produce scarti

 L’amore non produce scarti   QUO-041
18 febbraio 2023

Pubblichiamo il testo del saluto inviato da Papa Francesco ai partecipanti alla giornata di studi “Siblings: sorelle e fratelli nella disabilità e nella malattia mentale”.

È con grande piacere che saluto questa bella iniziativa: una giornata di studi dedicata al tema dei “siblings”; confesso che non conoscevo questa parola, ma ho ben presente il fenomeno che essa intende. Una realtà che ci ricorda che, nel bene e nel male, nessun uomo è solo, ma vive sempre all’interno di una rete di relazioni. Nel bene, giovando della vicinanza, aiuto e conforto da parte degli altri; nel male perché il problema di uno si riverbera sugli altri diventando causa di preoccupazione e afflizione. La disabilità sviluppa i suoi effetti innanzitutto nell’ambito domestico, in famiglia. Il fratello o sorella sano di un fratello o sorella disabile si trova ad essere come quel Simone che veniva da Cirene e fu costretto dalle guardie a portare la croce di Gesù per un lungo tratto della via dolorosa. Il sibling è una persona che la vita ha costretto a essere Cireneo. Può essere più o meno lungo il tratto di strada compiuto da questo “fratello Cireneo” ma in partenza lo schema è già predisposto: egli dovrà condividere e portare la croce dell’altro, del proprio fratello/sorella in cui è nascosto Gesù.

Ho visto dal programma che ci sarà una relazione che, sin dal titolo, cita il brano della Lettera agli Ebrei (2, 11) riferito proprio a Gesù che «Non si vergogna di chiamarci fratelli»; sono contento di questo riferimento perché è proprio così: Gesù non si vergogna, non si fa problemi, i nostri problemi diventano i suoi; Gesù ci ama così come siamo, con i nostri talenti e con le nostre fragilità e disabilità. Gesù è felice perché noi siamo, non perché siamo in un modo anziché un altro, in piena o pessima forma. Anche noi, quando amiamo non lo facciamo per quello che l’altro ha o sa o sa fare, ma per quello che l’altro è. L’amore è questo: volere che l’altro sia; sia come egli è, non come pensiamo che debba essere, secondo fin troppo precisati standard. L’amore non produce scarti.

È una situazione diffusa e dura, drammatica, quella che vive sotto questa parola, siblings, la disabilità domestica, familiare, ed è giusto e urgente che venga messa al centro dell’attenzione di giornate di studi come questa di oggi, che vede diverse persone con differenti culture e approcci che si confronteranno, oltre alla partecipazione attiva di alcuni siblings che porteranno la loro esperienza diretta, concreta, sotto forma di testimonianza.

Complimentandomi quindi con gli ideatori e gli organizzatori, rivolgo il mio augurio di un buono e fecondo lavoro, sperando che questo evento di oggi sia un seme capace di produrre molto frutto.

 

Il senso di una condizione perturbante

«Sono forse io il custode di mio fratello» (Gen. 4,9). Sta tutto qui, nelle parole di Caino, il grido di dolore di un sibling. Un grido che non può essere compreso se non viene messo in contatto con la domanda iniziale posta da Dio: «Dov’è tuo fratello?». Una domanda concreta e che chiede un impegno concreto.

Il sibling è qualcuno che la vita ha messo in una situazione tale da dover aiutare il prossimo, o meglio il suo prossimo “per eccellenza”, cioè il fratello o la sorella. Nel mondo della disabilità intellettiva il termine sibling connota le sorelle o i fratelli di persone con disturbi del neurosviluppo. Queste persone vivono, non di rado, parabole biografiche molto complesse, dolorose e poco riconosciute; non solo vengono loro sottratte le cure e le attenzioni dei genitori, ma, dopo la morte di questi ultimi, debbono anche sostituirli.

Al tema dei siblings è stata dedicata una giornata di studio oggi, 18 febbraio, a Roma, nella sala Troisi a Trastevere. Un incontro organizzato dall’Associazione Arca Comunità “Il Chicco” che si occupa di persone con disturbi del neurosviluppo. L’obiettivo è stato quello di esplorare i tanti problemi legati a questa condizione a partire dalle testimonianze dei siblings presenti. Sono intervenuti all’evento monsignor Giovanni Cesare Pagazzi, segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione; Stefano Oliva, professore di filosofia presso l’Università degli studi “Niccolò Cusano”; Federico Russo, psichiatra membro del Laboratorio italiano psicoanalisi multifamiliare.

Come scrive Papa Francesco nel messaggio di saluto inviato ai partecipanti alla giornata di studi, «la disabilità sviluppa i suoi effetti innanzitutto nell’ambito domestico, in famiglia. Il fratello o sorella sano di un fratello o sorella disabile si trova ad essere come quel Simone che veniva da Cirene e fu costretto dalle guardie a portare la croce di Gesù per un lungo tratto della via dolorosa. Il sibiling è una persona che la vita ha costretto a essere Cireneo».

Dalle relazioni svolte durante il convegno è emerso che il nucleo della condizione di sibling è l’essere accomunati da «una medesima cura ricevuta che assegna ai fratelli un compito: mio fratello è colui nei confronti del quale potrei dover prestare cura».  Il sibling quindi rappresenta la non reciprocità di una relazione reciproca per definizione. È una condizione complessa e che chiede compassione: il fratello, prossimo e insieme minaccioso, si mostra “inquietante” — “perturbante” direbbe Freud — non malgrado ma proprio perché familiare.

 

La forza dell’alleanza fraterna

«Mio fratello è handicappato. Però è bello». Flavia Ferroni oggi ha 48 anni e tre figli. Quelle righe, politicamente scorrette ma piene del desiderio di ricordare al mondo l’esistenza di un fratellino che vedeva evitato come  la sua disabilità fosse contagiosa, le scrisse che aveva otto anni. Le prime che le uscirono dalla penna quando lei, di cinque anni minore di Marco, decise che doveva scrivere ogni giorno la sua storia di sorellina “forte” .  «Avevo un magma dentro, mi sentivo inadeguata». Alla fine le sue confidenza hanno riempito uno scatolone di quaderni ed agende.  Una delle quali, a ricordo del dolore, è stata trafitta a pugnalate con la punta di una biro. La vita si riaprì, il magma si sciolse, quando Flavia venne in contatto con l’associazione Arca, comunità il Chicco. Una struttura, tra l’altro convenzionata, dove ad essere presi in cura non erano solo i fragili, ma anche i loro fratelli “forti”, quelli che la vita aveva lasciato al loro fianco dopo la perdita dei genitori. La giornata di studi al cinema Trosi, oggi a Roma, organizzata dallo psichiatra Walter Procaccio,  è rivolta a tutti i siblings , ed ai fratelli che danno e ricevono da loro. La parola chiave, qui,  è “relazione”. I siblings  ce la fanno insieme. Lo scambio di esperienze, il riconoscersi uno nelle fatiche dell’altro e ricavarne speranza, è la cifra della giornata.

 Di se stessa Flavia dice : «Ho cinque anni meno di Marco e sono nata con una missione. Aiutare lui».  Carlo Perrone, che la segue nell’offrire la sua testimonianza ai presenti, l’ha vissuta in un altro modo. «Mario — racconta —non mi è mai parso diverso. Era così, ed era un modo di essere». Molti, infatti, fra i siblings, raccontano che il vero punto doloroso è l’impatto con il mondo esterno alla famiglia. Se mediato dolcemente, aiutato dalle circostanze, può non essere traumatico. Fondamentalmente i bambini non hanno il concetto di diversità di una persona e di un fratello. È il mondo che si incarica di farglielo mettere a fuoco, discriminando i fragili e le loro famiglie. E l’esperienza della famiglia Perrone ebbe anche l’aiuto straordinario, racconta Carlo, di una di quelle, fondamentali,  figure d’altri tempi che sono dette “tata”.

Tata Genesia (Genesia Giorgi) entrò in casa come angelo di supporto quando Mario, d’improvviso, passò la soglia  in un autismo profondo. Era il ‘61. Aveva cinque anni. Diventò fragile come porcellana. Silenzio profondo, poi rabbie acute, suppellettili rovesciate e di nuovo silenzio: quello che suo fratello chiama oggi “il mistero della mente”. Allo stesso tempo una fame di relazioni, di mani strette, di voci e di presenze che, per lui, contavano più dei luoghi.   A differenza di altri bambini autistici, Mario più che alla stanza, agli oggetti, alla loro disposizione,  teneva alle presenze.  Sembrava considerava “stanza” e “casa” la voce di tata Genesia, la presenza di Carlo, la mano della mamma o di papà. Non restava che ascoltare “il mistero della mente”, chiuso nella sua testolina lontana. L’amore per l’acqua, da toccare, da ascoltare scorrere, per immergersi o semplicemente bagnarsi. Mario riuscì a passare da Roma alla campagna francese, con la scorta delle sue presenze affettuose.

Un giorno i due fratelli sono rimasti soli. E Mario, riportato in Italia, ha trovato casa nella struttura di Ciampino, il Chicco. Non lo sa, o forse sì, ma il fratello Carlo, con la moglie Polissena, ha intitolato a suo nome una fondazione, la “Mario Perrone” per la ricerca sui disturbi come il suo. Fino a non molto tempo fa, sembrerà incredibile, ha ancora potuto sentire la voce e la presenza di tata Ginesia che lo ha lasciato a cento anni.  Gli operatori della struttura, che si trova a Ciampino, dicono che al Chicco si vive in un altro modo, con regole e paradigmi diversi. Il respondabile Giancarlo Cursi, ha invitato i presenti a visitarla per sincerarsene. «Qui l’obiettivo è oltre l’autosufficienza. Il traguardo è la costruzione dell’interdipendenza. La relazione— spiega —è la base di tutto. Insomma, al Chicco un altro mondo è possibile. Quello dove si scopre che solo la fraternità può integrare libertà ed uguaglianza. Ed adempiere il sogno di liberazione di ogni uomo. (chiara graziani)

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