Il viaggio del cardinale Parolin nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan

Tra gli sfollati di Bentiu
per portare l’affetto
e la vicinanza del Papa

 Tra gli sfollati di Bentiu  per portare l’affetto e la vicinanza del Papa  QUO-152
06 luglio 2022

Scalzi o nudi nel fiume, con abiti rosa di tulle o le magliette dell’Inter e del Milan di due taglie più grandi. Sopra i cumuli di terra a pascolare mucche e capre oppure ammassati con altri dieci coetanei nei portabagagli scoperti delle jeep. Sono i bambini, di tutte le età e le altezze, i protagonisti della tappa del cardinale Pietro Parolin a Bentiu, area al nord del Sud Sudan, dove sorge l’omonimo campo sfollati tristemente noto alle cronache per le scarse condizioni idriche e igieniche e per dei casi, lo scorso anno, di epatite e colera. In questa distesa di tende bianche con il logo dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, il segretario di Stato celebra oggi la messa.

Partito questa mattina quasi all’alba con un aereo dell’Onu con quindici posti, dopo due ore di volo sorvolando il Nilo, Parolin è arrivato in questa distesa di terra rossa che l’unico filo di vento che dà ristoro dalla calura di quasi 40 gradi solleva facendola appiccicare su abiti e smartphone. Omaggiato con una tunica bianca, mentre alcune donne gli allacciavano in vita una cintura gialla e ponevano al collo corone di fiori, il cardinale si è trasferito subito in jeep bianca nel centro di Bentiu, dove ha incontrato i membri del locale governatorato. Un incontro informale per scambiarsi i saluti e ringraziare per l’accoglienza, ma soprattutto per ribadire il desiderio di pace e sviluppo.

Lungo la strada, in uno slalom continuo tra le enormi pozzanghere provocate dalle inondazioni, asini distesi per terra e carri di militari, ci sono ancora loro: i bambini. In tre cavalcano una bombola trainata da un toro. Un gruppo di ragazzine vestite a festa con grandi cappelli e grandi gonne ha seguito il porporato per tutto il tragitto. Erano state loro ad accoglierlo sotto la scalinata dell’aereo. «Welcome my Emincence», ha detto la più grande, per poi iniziare a muovere spalle e bacino in una tipica danza, seguita dalle altre compagne. Il gruppo di ballerine, e con loro una vettura carica di donne che urlavano in segno di festa, si è unito presto agli altri abitanti di Bentiu usciti dai tukul, tipiche abitazioni di paglia e legno intrecciato, ricoperte di fango essiccato. A molti forse non è stato neppure spiegato il senso dell’evento che si è svolto questa mattina tra le loro capanne, ma si sono uniti ugualmente alla festa, e agli applausi. In due file a creare un corridoio di mani e braccia protese, si sono disposti in ginocchio, ad occhi chiusi per proteggersi dal sole battente, e cantavano a squarciagola Alleluja all’ingresso di Parolin alle porte del villaggio. Uomini col kalashnikov, «l’arma più comune da queste parti», mantenevano l’ordine.

Il cardinale ha provato a dare la mano a quelli nelle prime file ma era impossibile salutare tutti. Almeno un centinaio dispiegati per strada, a spintonarsi per entrare nel quadrante di fotocamere e cellulari. Gli uomini suonavano intanto tamburi ngomi e le donne stendevano coperte a terra sopra la fanghiglia in segno di onore. Loro per prime si sono subito accodate al cordone dietro al segretario di Stato, sorridendo con i sorrisi sghembi e i volti segnati da piccole cicatrici, auto-procurate da bambine per creare file di puntini. «È un segno di bellezza, per gli uomini di forza», ci spiegano.

Parolin si è recato poi nella parrocchia di St. Martine de Porres. Non una chiesa ma una enorme capanna semibuia, illuminata da due file ancora di bambini vestiti da ministranti con in mano una candela verde. Hanno cantato per il cardinale dove intanto si erano precipitate tre donne, nonostante gli ordini contrari della sicurezza, che gli hanno portato delle ciabatte bianche. È il simbolo della massima ospitalità nelle proprie case.

Con voce commossa il segretario di Stato ha preso la parola, tradotto nella locale lingua nuer da un sacerdote: «Non sono venuto per conto mio ma per portarvi l’affetto di Papa Francesco. Vengo a preparare il suo arrivo come Giovanni Battista. Il Papa vuole venire in Sud Sudan, lui sta progettando un viaggio a Juba ma la visita è intesa in tutto il Paese, per incontrare tutto il popolo». Il cardinale ha chiesto quindi di pregare per il Papa «perché possa riprendersi presto e venire qui da voi». Da qui parole di gratitudine sincera, davanti ad una accoglienza che è frustrante non saper trovare le parole giuste per descriverla: «Sono contento di essere qui, di condividere la vostra fede, la vostra gioia. Siete davvero dei bravi cristiani, dei bravi cattolici».

Il cardinale ha fatto poi tappa nei container del quartier generale dell’Unhcr, salutando il responsabile della missione Paul Ebweko, al quale ha assicurato che «la Santa Sede apprezza quello che viene fatto per la popolazione del campo». Da qui, Parolin si è trasferito nel campo di Bentiu, più al nord, per la grande messa all’aperto con gli sfollati.

dall’inviato
Salvatore Cernuzio


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