Il viaggio in Africa del cardinale Parolin

«Questa terra torni a essere
casa di fraternità»

 Casa  di fraternità  QUO-150
04 luglio 2022

Quando la mattina di un Sabato Santo di tanti anni fa, le suore lo hanno trovato fuori dalla porta di casa, Guy aveva il corpo coperto di mosche e di piaghe. Era stato lasciato per strada dai genitori che lo accusavano di stregoneria dopo la morte di suoi due fratelli nel giro di pochi giorni. Picchiato a sangue, gli era stata versata addosso dell’acqua calda; tramortito, la famiglia lo ha abbandonato su un marciapiede. Le suore del Sacro Cuore di Gesù lo hanno curato in un centro medico. Oggi Guy insegna il francese ai giovani e chiede di pregare per la conversione della sua famiglia. Ieri pomeriggio, domenica 3 luglio, sorrideva sotto le carezze del cardinale Pietro Parolin che lo ha incontrato nella nunziatura apostolica di Kinshasa, insieme ad una rappresentanza delle congregazioni religiose locali e dei loro assistiti.

Dopo la messa mattutina sulla spianata del Palais du Peuple, il segretario di Stato ha voluto dedicare l’ultimo appuntamento della sua tappa nella Repubblica Democratica del Congo all’umanità più ferita. Anziani, bambini, donne sole con i figli, adolescenti, tutti uniti dal comune denominatore della sofferenza. Quella che ha la forma del rifiuto e dello stigma sociale, della malattia e della disabilità intellettiva, dell’abbandono, anche degli stessi familiari. Una sofferenza guarita a volte solo con l’amore e senza nemmeno cure mediche specifiche — mancando tra l’altro delle risorse economiche per sostenerle — da parte di congregazioni religiose e realtà ecclesiali che suppliscono a un grande vuoto istituzionale. Esseri umani che «sono passati dalla morte alla vita, dall’umiliazione alla dignità, dalla tristezza alla gioia», li ha definiti Parolin, che lungo tutto l’appuntamento ha distribuito carezze e benedizioni, ricevendo in cambio canti di ringraziamento e una collana di rose viola, tipico dono indiano messogli al collo dalle Missionarie della carità. Loro e le rappresentanti delle altre congregazioni si sono alternate al microfono per raccontare la propria storia di servizio. Hanno cominciato le Figlie di San Giuseppe di Genoni, congregazione ospedaliera fondata nel 1888 in Sardegna, che hanno riferito l’impegno per i bambini comunemente noti come «bambini di strada» che però loro preferiscono chiamare «figli di Dio». Le suore li vanno a cercare nelle vie polverose di Kinshasa, insieme ai ragazzi abbandonati che dormono sotto gli alberi o sui marciapiedi. Gli stessi su cui vagabondano i sorceleurs, coloro che vengono accusati di essere stregoni e per questo rifiutati dai parenti. Li raccattano le Suore ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, che hanno fondato per loro il Centro Telema, per evitare che finiscano a mangiare l’immondizia o vengano esposti a violenze fisiche e abusi sessuali. Come accaduto a Joséphine, finita dopo un esaurimento a vivere per strada, senza lavarsi per anni, indossando abiti strappati, nutrendosi dai bidoni. Una suora l’ha portata a Telema e un mese dopo «aveva di nuovo il suo sorriso, la sua dignità». Ora gestisce una piccola impresa. Una storia di riscatto e di rinascita, come quelle riportate al cardinale dalle Sorelle dei poveri che hanno ricordato le consorelle morte di Ebola a Kikwit dove si erano recate per servire i malati. In nunziatura hanno accompagnato «un paio di nonni», anziani assistiti nelle loro case di riposo vicino l’aeroporto: «Oggi li mettono tutti da parte. Da noi sono accolti come parenti». Le Missionarie della carità hanno presentato invece al cardinale alcuni ragazzi e ragazze, trovati da adolescenti per strada, coperti di ferite, o da neonati in scatole di cartone. Mentre la Comunità di Sant’Egidio ha illustrato il suo progetto Dream grazie al quale sono in cura gratuitamente oltre 1.700 persone affette da Aids, ma anche da malnutrizione, ipertensione, diabete, malaria, tubercolosi. A tutti loro, il cardinale Parolin, prendendo la parola con visibile emozione, ha assicurato: «Porterò certamente i vostri nomi e i vostri volti a Papa Francesco, chiedendogli di portarvi nelle sue preghiere. La Chiesa universale vi ringrazia e vi incoraggia a perseverare nelle vostre opere, anche a costo di difficoltà e apparenti fallimenti», ha aggiunto il cardinale. «Nella vostra vita quotidiana sperimentate come l’amore, quando viene distribuito, non si divide o si esaurisce, ma si moltiplica e cresce».

L’appuntamento in nunziatura è stato il penultimo del viaggio nella Repubblica Democratica del Congo del segretario di Stato, che oggi si trasferisce a Juba, in Sud Sudan. Nella mattinata di ieri, domenica 3 luglio, il porporato ha invece presieduto la “Celebrazione per la pace e la riconciliazione nella Repubblica Democratica del Congo”, la grande messa che ha visto la presenza di oltre centomila fedeli riuniti sulla esplanade del Parlamento di Kinshasa, sotto un cielo plumbeo dove saliva un odore di incenso così forte da sovrastare quello di cenere che permea tutta la città.

Nello stesso luogo in cui Giovanni Paolo ii celebrò nel 1980 e nel 1985, quasi in contemporanea con la messa a San Pietro del Papa con la comunità congolese di Roma, Parolin è giunto in mezzo ad applausi e zaghroutah, l’urlo tipico delle donne del luogo, mentre un coro di persone in tunica bianca e gialla intonava canti con tamburi, batteria e chitarra elettrica, muovendo fianchi e braccia, e gruppi di bambine della prima comunione danzavano ininterrotte. Un’atmosfera di festa che ha restituito colore ad una città resa grigia da una coltre perenne data da inquinamento, umidità e dal fumo dei banchetti di strada, dove i ragazzi, quando non stanno a zonzo per le strade o appoggiati sui muri scrostati di Food Market e altri locali, arrostiscono salsicce e pannocchie. Una immagine, questa, intravedibile in ogni angolo di questa «grande periferia» che è Kinshasa, dove il traffico, fatto di camionette gialle e motociclette sulle quali si sale anche in quattro in sella, è capace di bloccare le vetture anche per due ore.

Il rumore in lontananza dei clacson ha fatto infatti da sottofondo alla messa del cardinale, quando al momento dell’omelia — tutta in francese, intermezzata da poche frasi in lingua Bantu — il precedente suono rockeggiante dei canti si è trasformato in silenzio. Un ossequioso silenzio dinanzi all’appello del segretario di Stato che, dal palco rosso dove campeggiava una statua della Madonna, ha denunciato ciò che oggi nel Paese ostacola la pace: «L’avidità di materie prime, la sete di denaro e di potere». Sono questi «un attacco al diritto alla vita e alla serenità delle persone... Pace a questa casa! Pace alla terra congolese: torni ad essere casa di fraternità!», ha esclamato il cardinale, guardando i volti di un popolo oppresso da povertà, disoccupazione, interessi predatori e, nelle regioni orientali, dalle feroci violenze di gruppi armati.

A tutti il porporato ha chiesto di non «arrendersi di fronte alla realtà, chiudersi in una rassegnazione fatalistica e forse senza rendersene conto, scappare dalle proprie responsabilità, cadendo in una sorta di vittimizzazione, lasciando ad altri l’onere di rimboccarsi le maniche e la fatica di ricostruire». Al contempo Parolin, volgendo lo sguardo a est, ha invocato «Paix, Pace», chiamando in causa i cristiani, «stragrande maggioranza della popolazione», e tutti i leader a lavorare per la stabilità «in questo grande Paese, benedetto dalla bellezza del creato, ma soprattutto dalla ricchezza delle anime che la popolano».

A nome di Papa Francesco — il cui videomessaggio per le popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan è stato proiettato sui maxischermi prima della celebrazione — il cardinale ha infine lasciato un messaggio di speranza: «Non scoraggiatevi. Siamo figli della risurrezione!». 

E sempre a nome del Papa il cardinale si era presentato ad una rappresentanza di fedeli congolesi, incontrati nelle prime ore di sabato 2 luglio nel cortile della sede della Cenco (la Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo). Accolto da un canto in francese «Unis par la joie de sa présence... Uniti dalla gioia per la sua presenza», il porporato, sotto un cartello di “bienvenue”, ha chiesto di pregare perché, appena le condizioni lo permetteranno, il Papa possa compiere questo viaggio vivamente desiderato. Una promessa che il cardinale ha dato per certezza: «Non vengo in sostituzione del Santo Padre — ha affermato — ma per anticipare il suo arrivo tra voi». (salvatore cernuzio)

dall’inviato
Salvatore Cernuzio


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