La vita di suor Luisa dell’Orto, uccisa sabato a Port-au-Prince, nel segno della dedizione ai bambini di strada

Non si può tacere
l’amore di Dio

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27 giugno 2022

Una testimonianza di fede sulle orme di Charles de Foucauld


«Suor Luisa tu qui nel quartiere puoi dormire a terra, in mezzo alla strada, tranquillamente, nessuno ti farà niente perché tutti sanno che fai qualcosa per loro e che tutti possono contare su di te». È amaro leggere oggi queste parole che la Piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld scriveva a un gruppo missionario sostenitore della sua opera ad Haiti. Le aveva riportate in una lettera inviata per rassicurare sulla situazione del Paese caraibico ma anche perché si era commossa. Erano parole inaspettate, dette da un semplice addetto alla lettura del contatore elettrico. Amare, perché la vita terrena di suor Luisa si è conclusa sabato per le strade di Port-au-Prince dopo l’aggressione di alcuni malviventi e una corsa inutile in ospedale.

Queste parole ci dicono anche altro: che il bene si vede, e che «L’amore di Dio — scriveva lei stessa — è il più grande dono che possiamo offrire». È nei bambini che lei trovava il volto di Gesù, quelli che aveva raccolto per strada dopo il devastante terremoto del 2010, quelli rimasti orfani a causa della violenza, quelli che — diceva — vanno sostenuti anche «nel modo in cui tengono il quaderno, la cartella e nel modo di pulire il cortile della scuola». Piccole cose per aiutarli a ritrovare normalità dopo il sisma, il colera, i cicloni, per «ritrovare i valori», «far capire che non si è maledetti nonostante le avversità vissute e che Dio ama il popolo haitiano».

Suor Luisa, di Lomagna, nella Brianza lecchese, era arrivata ad Haiti nel 2002 dopo l’esperienza in Camerun, nel 1987, tra i pigmei Baka. Tre anni in cui per tre volte si era presa la malaria. Poi il Madagascar dove si era occupata dei postulanti, forte della sua laurea in teologia, la seconda dopo quella in Storia e Filosofia. Infine l’approdo a Port-au-Prince dove aveva aperto una scuola elementare ma aveva avviato anche alcune attività per le donne.

Nel 2010 dopo il sisma e grazie alla raccolta fondi di Caritas Italiana aveva aperto “Kay Chal”, Casa Carlo, che accoglie oggi fino a 400 bambini in un sobborgo poverissimo. Un’oasi per tornare a vivere in un Paese dilaniato dall’insicurezza, dalla violenza, dove dominano le bande criminali che per entrare in città chiedono tangenti, dove è più facile trovare un’arma che il cibo, dove fiorisce il mercato nero e la benzina è arrivata a costare 5 volte di più e dove il prezzo del riso è triplicato.

«Oggi sarebbe stato il suo compleanno, è anche il giorno della festa della patrona di Haiti, Nostra Signora del perpetuo soccorso. Uno straordinario disegno di Dio per suor Luisa perché il Signore l’ha chiamata e le ha chiesto di vivere, non solo di morire, ma di vivere per i suoi poveri»: così racconta una delle sue più care amiche Maddalena Boschetti, missionaria laica “fidei donum” della diocesi di Genova. Una sorella haitiana per suor Luisa, anche lei impegnata con i bambini, quelli disabili ospitati nella missione di Mare-Rouge, nel nord-ovest di Haiti, davanti Guantanamo.

«L’ho conosciuta — ci dice — 20 anni fa, è stata una delle persone più care che ho avuto nella mia vita, mi ha seguito e sostenuto in questi anni, mi ha aiutata a vivere nel servizio, nel silenzio, nel nascondimento». Maddalena ricorda gli anni di docenza di suor Luisa nel seminario “Notre Dame” dell’arcidiocesi di Haiti e al Cesades, il Centro salesiano d’insegnamento superiore, «ha formato generazioni di sacerdoti haitiani» ma soprattutto «ha sempre vissuto a servizio degli ultimi». «Correva via dal seminario arrivava a casa e tutti le suonavano alla porta. Mi ricordo questo continuo bussare e lei che andava sempre ad aprire impegnandosi nel servizio proprio come l’aveva vissuto Charles de Foucauld». Una disponibilità assoluta, tanti impegni ma mai una distrazione. «Mi ha insegnato a vivere nella semplicità, ogni giorno mi ricordava che Santo era, che festa potevamo celebrare insieme e ogni giorno mi insegnava a ritornare sulla Parola, sul Vangelo per sentire cosa mi diceva il Signore proprio in quel giorno lì».

Charles de Foucauld è una delle chiavi di volta della vita di Luisa, dopo averlo incontrato, nel 1984 entra nella Congregazione delle Piccole sorelle del Vangelo di Lione. Luisa muore dopo più di un mese dalla sua canonizzazione. Una morte violenta come quella del mistico francese. «Martirio» è la parola che Papa Francesco pronuncia all’Angelus per ricordare la vita donata per gli altri della missionaria. Anche Maria Adele, una delle sue sorelle, mette in luce questa connessione parlando di una «conclusione della vita così simile». Una testimonianza di fede e di bene, definisce così l’esistenza di Luisa. Ci tiene a dire che era «cosciente che qualcosa sarebbe potuto capitare perché, anche nell’ultima lettera lo diceva che la situazione era molto difficile. Però lei ci teneva a restare». Nessun dubbio. Mai.

Lo aveva ripetuto anche dopo il terremoto di Haiti. «L’idea di partire non c’è mai stata, piuttosto è stata forte l’idea di continuare a vivere con la gente: se qualcuno della tua famiglia è malato, non lo lasci solo. Questo popolo è diventato la nostra grande famiglia, la famiglia dei figli di Dio ed in questa famiglia si condividono gioie e sofferenze». Maria Adele si commuove spesso e ripete insieme ai fratelli, Carmen e Giuseppe, padre barnabita nella chiesa di San Luca a Cremona, le parole che suor Luisa le aveva scritto per il Sabato Santo, il giorno in cui «si resta in silenzio perché è davvero difficile trovare una spiegazione alla crudeltà, alla violenza che l’uomo può infliggere al proprio fratello». Un silenzio consolatore.

Alle 21 di oggi, l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, presiederà la recita del Rosario in suffragio della religiosa nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Lomagna. Nel suo messaggio di cordoglio, Luisa diventa il simbolo delle donne che vanno in missione e che «non vanno a cercare i pericoli, ma i segni del Regno di Dio che viene, in mezzo ai poveri, tra coloro che sono importanti solo per Dio e ignorati da tutti». «Chiamate dal gemito meno ascoltato, vanno dove sono mandate per diventare preghiera, offerta, amiche, seme che muore per portare frutto». «La morte di suor Luisa diventa — scrive monsignor Delpini — seme di vita nuova per la terra di Haiti».

Si sofferma su questo anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana. «Il sacrificio» di suor Luisa — è il suo auspicio — «possa contribuire ad un futuro di giustizia e di pace per Haiti e per il mondo intero, ferito da lacerazioni e divisioni».

«Mi direte che sono un po’ folle — scriveva suor Luisa — Perché restare qui? Perché esporsi al “rischio”?» Perché, rispondeva, non si può tacere «quello che abbiamo visto e ascoltato», non si può tacere l’amore di Dio.

di Benedetta Capelli


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