Notte e Nebbia

 Notte e Nebbia  QUO-126
03 giugno 2022

Nel Terzo Reich dell’utopia omicida nazista, la parola “memoria” ne richiedeva due per significare il suo contrario. Notte e nebbia, Nacht und Nebel. Nella lingua del Terzo Reich (Lingua Tertii Imperii, la chiamava nei suoi taccuini clandestini il filologo ebreo Victor Klemperer) il contrario di far memoria era il vuoto di un grande buio, avvolto nella nebbia.

Nei decreti di arresto della Gestapo, e comunque dell’apparato spionistico totalitario del partito, la definizione “notte e nebbia” indicava infatti la cancellazione, letterale, di un essere umano dalla comunità senza preavviso né spiegazione. Si scompariva di notte — ebrei, preti, asociali, comunisti, — e tutti sapevano che la vita di ognuno sarebbe continuata solo a patto di considerare non—esistente quel vicino che mancava all’appello la mattina dopo. Non chiedere, non pensare, non ricordare. Il “trattamento” notte e nebbia sarebbe stata una raffinata invenzione di Reinhard Heydrich, capo dei servizi di spionaggio e dell’apparato di controllo dei nemici del Reich. L’obiettivo, dichiarato, di tale “trattamento” era coltivare l’indifferenza collettiva verso la sorte altrui, di quei prigionieri che finivano marchiati da una doppia N sulla casacca, invisibili condannati a morte e all’oblio.

Una tendenza ben radicata nell’uomo, l’indifferenza: se ne valutava appieno l’importanza in un regime che necessitava del controllo totale delle coscienze, dalle quali cancellare ogni senso di colpa e responsabilità. Fu l’indifferenza, elevata a strumento di costruzione sociale, a consentire ogni sorta di abominio contro persone che avevano il solo torto di essere venute al mondo. Ed è la parola “indifferenza” quella che il memoriale della Shoah di Milano lancia in volto a chi visita il binario da dove partivano, per lo sterminio, i nostri vicini di casa, i nostri compagni di scuola, i maestri, gli amici d’infanzia o i semplici conoscenti, declassati con il nostro consenso a non—persone non—esistenti. Chi si ricorderà di loro, aveva detto Hitler? Li dimenticheranno, come gli Armeni, aveva profetizzato.

La profezia non si è avverata. Ma la congiura dell’indifferenza, per cancellare la memoria, non è una storia del passato. Negazionismo, odio razziale, il ritorno di slogan ed espressioni della lingua del Terzo Reich avvertono che non siamo davanti al folclore di nostalgici ignoranti, come la sirena dell’indifferenza suggerisce e predica.

I testimoni sopravvissuti temono, ed a ragione, che con la loro voce si spenga anche la memoria. Una nuova forma di indifferenza sta trionfando. Più che per la paura passa per la solitudine. L’hanno chiamata “solitudine digitale”, quella dei ragazzi sempre connessi e sempre più lontani, convinti di controllare un ambiente ogni giorno più nuovo e complesso e che è in grado di influenzare le coscienze, facendole rotolare tutte insieme con l’inerzia collettiva di un masso in discesa. La senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, ha l’urgenza di fermare quel masso, quell’inerzia, coltivando la memoria che consente ad ogni coscienza di dare la sua risposta individuale e responsabile. Questo oltre i confini naturali della vita di chi ha visto e sa. I “nuovi dei” che potrebbero dire la loro, ha detto, ci sono e si chiamano influencer. Si chiamano così perché le loro scelte vengono considerate un riferimento e fanno costume, mentalità. E sono i “nuovi dei” per la loro possibilità di agevolare la pietrificazione delle coscienze nel masso del consenso cieco o indicare il modello della scelta individuale che non dimentica il già vissuto e ne fa tesoro. Liliana Segre ha invitato al memoriale la più influente delle influencer, quella Chiara Ferragni che fa tendenza di massa fra i giovani sia che visiti gli Uffizi o che firmi uova di Pasqua. Con il suo amore, la sua tenerezza per i giovani Liliana Segre le ha chiesto di farsi vedere a quel binario 21 dove gli uomini e le donne cessavano di esistere. La memoria ha bisogno di essere affidata, oltre i confini della vita dei testimoni. La speranza è che gli influencer di oggi siano migliori di quelli di ieri. E che facciano la scelta, non facile, della memoria. Che rende liberi.

di Chiara Graziani


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