Superare le logiche commerciali nella lotta alla pandemia

Il vaccino è un bene dell’umanità

 Il vaccino è un bene dell’umanità  QUO-296
30 dicembre 2021

Gli appelli del Papa

Lo scorso 16 ottobre Francesco ha rivolto un videomessaggio ai Movimenti popolari contenente una serie di richieste introdotte dall’espressione: «Voglio chiedere, in nome di Dio...». 

Il Papa, valorizzando le istanze popolari, i corpi intermedi e gli “scartati” dal sistema, si è appellato a politici, industriali, uomini di cultura e in definitiva a tutti noi, proponendo parole profetiche e obiettivi esigenti. I media vaticani, per approfondire le parole del Pontefice e proporre un confronto sui primi possibili passi concreti nella direzione da lui indicata, avviano un dibattito sui contenuti in quel discorso. 

Con l’intervista alla politica africana Samia Yaba Christina Nkrumah, figlia di  Kwame Nkrumah, primo presidente ghanese democraticamente eletto, prosegue la riflessione sulle parole del Papa concentrandosi sull’appello con il quale Francesco chiede ai grandi laboratori di liberalizzare i brevetti. 

 

L’accesso ai vaccini anti-covid è un problema cruciale, soprattutto nel pieno della nuova ondata. La questione si pone in tutta la drammaticità soprattutto per l’Africa, dove i contagi aumentano. La politica ghanese Samia Yaba Christina Nkrumah, figlia di Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana democraticamente eletto e figura di spicco nella storia della decolonizzazione e del panafricanismo, è da tempo impegnata nel garantire a tutti gli africani un’adeguata assistenza medica. A lei, leader del Partito della Convenzione del Popolo, abbiamo chiesto di farci capire come compiere un passo concreto nella direzione indicata nell’appello di Papa Francesco.

Come sta affrontando la pandemia il continente africano? C’è cooperazione tra i diversi Paesi o ognuno segue una direzione diversa? Ci sono aree più svantaggiate?

L’Africa è il continente meno vaccinato. L’accesso ai vaccini è il problema più grande. I Paesi africani si sono impegnati per ottenere i vaccini contro il covid. Ma finora è stato vaccinato solo il 7 % di una popolazione di 1,3 miliardi di persone. I vaccini non arrivano perché Paesi più ricchi ne fanno incetta. Volendo fare un confronto, più del 70 % dei Paesi ad alto reddito hanno già vaccinato oltre il 40 % dei loro cittadini. Per mesi i Paesi africani hanno chiesto che si rinunciasse ai brevetti, ma senza molto successo. Dobbiamo diventare al più presto meno dipendenti dalle nazioni industrializzate. La maggior parte dei vaccini utilizzati nel continente viene importata. Finora in Africa il costo in termini di vite è stato relativamente basso grazie, tra le altre cose, ad azioni importanti da parte dei governi. All’inizio, quando è scoppiata la pandemia, alcuni Paesi hanno imposto rigidi lockdown per cinque settimane. Poi li hanno ridotti a misure meno restrittive a causa delle gravi conseguenze economiche per un largo settore della nostra popolazione che dipende dall’economia informale e da entrate giornaliere. Alcuni Paesi come il Ghana, che è la mia base, hanno introdotto regole severe sui viaggi. Il Ghana ha vietato i voli di ingresso a tutte le persone non vaccinate a partire dal 21 dicembre poiché è previsto un gran numero di arrivi nel periodo delle vacanze. Per far fronte all’emergenza, i Paesi africani hanno anche richiesto i prestiti resi disponibili dal Fondo monetario internazionale. I Paesi, infatti, possono chiedere prestiti in risposta alla crisi pandemica. Va poi aggiunto che lo scetticismo e l’esitazione dinanzi ai vaccini è un problema. L’eredità di pratiche mediche non etiche nel continente, la paura di essere delle cavie o di ricevere medicine di qualità inferiore sono preoccupazioni diffuse. Però quando il vaccino è disponibile si vedono persone in fila per riceverlo. Oltre a minacciare la salute pubblica, il virus sta rappresentando una minaccia anche per l’economia africana. Possiamo dire che l’Africa ha evitato i numeri che abbiamo visto in altre parti del mondo, ma non le conseguenze economiche della pandemia. Abbiamo un maggiore commercio con il resto del mondo perché importiamo molto di ciò che consumiamo quotidianamente.

Il programma Covax garantisce l’accesso ai vaccini ai Paesi più svantaggiati. Ma anche con forniture sufficienti, le difficoltà endemiche dell’Africa non favoriscono una copertura massiccia. E lasciano spazio a nuove varianti. Quali sono le possibili strategie da mettere in atto?

Il presidente del Ghana pochi giorni fa in Lussemburgo ha detto che «nessuno è al sicuro finché non lo saranno tutti». Covax ha aiutato a far giungere alcuni vaccini in Africa, ma ha anche dimostrato che la produzione dei vaccini è concentrata solo in pochi Paesi, ossia gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina e l’India. Ciò ha portato a una palese disuguaglianza vaccinale. Il sistema che governa la produzione di vaccini non è riuscito a trovare un modo efficace per rispondere alla pandemia. Molti hanno affermato che gli effetti della pandemia globale da covid-19 possono essere superati solo attraverso l’immunizzazione su scala mondiale. Sostengono che sono necessarie un’equa produzione e distribuzione globale dei vaccini e che i popoli devono avere accesso ai diversi tipi di vaccino sviluppati finora, nonché a quelli che saranno trovati. Alcuni movimenti globali evocano il vaccino come una risorsa essenziale per la stessa esistenza umana. Il vaccino è collocato nella categoria dei beni comuni sulla base dell’idea che «comune può essere qualsiasi cosa che una comunità riconosce come capace di rispondere a un bisogno veramente fondamentale non soddisfatto dagli scambi di mercato». La pandemia ha inoltre suscitato la preoccupazione di personalità importanti dell’intera comunità scientifica internazionale a causa degli impatti generati dal crollo dei sistemi sanitari nello scenario globale dell’emergenza sanitaria. Incoraggiati da Papa Francesco, insieme al professor Muhammad Yunis, abbiamo promosso il movimento globale Declare Covid-19 Vaccines a Global Common Good, che ha riunito 156 personalità, tra cui 25 premi Nobel, 39 capi di Stato o di governo e 86 esponenti del mondo degli affari, della cultura e dell’arte. I firmatari del movimento sostengono che i vaccini per prevenire e immunizzare contro il covid-19 e le sue varianti dovrebbero essere riconosciuti come bene comune globale, con pari accesso, a prescindere dalle credenze religiose e dallo status socioeconomico. Anche altre iniziative sostengono questa idea. Alcuni esempi sono Covax, nell’ambito dell’Organizzazione mondiale della sanità; la Global Alliance for Vaccines (Gavi) e la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi), in aggiunta al Covid-19 Tools Access Accelerator (Act).

Quali sono le responsabilità dei governi occidentali?

Per quanto riguarda il mondo ricco, potremmo dire che l’atto di solidarietà umana proposto, volto ad assicurare che i medicinali e i vaccini raggiungano l’intera famiglia umana simultaneamente, in realtà è nel loro stesso interesse; non è solo un atto di carità. Di certo nessuno può volere che il virus persista in molte parti del mondo povero, pronto a re-infettare il mondo ricco e a creare nuove insorgenze laddove vige il piacevole pensiero che i ricchi si sono protetti contro la pandemia. Paragonato alle migliaia di miliardi spesi per gli incentivi economici si tratta di un costo ridottissimo. Come sarà il mondo post covid-19? Un mondo ricco protetto, che esclude le vaste e potenzialmente contagiose popolazioni dei Paesi poveri? O sarà un mondo che condivide le terapie e i vaccini con i poveri? La storia ci ha mostrato come sradicare le malattie per il bene comune globale dei nostri Paesi — ma anche di tutti. Quando il dottor Jonas Salk realizzò un vaccino anti-polio approvato per l’uso della popolazione generale, egli rifiutò di brevettarlo. Alla domanda su chi possedesse il brevetto, nel 1955 egli rispose così al giornalista Edward R. Murrow: «Ebbene, la gente, direi. Non esiste brevetto. Si può brevettare il sole?». Il presidente del Ghana ha auspicato anche rapporti commerciali più equi con l’Europa, che consentirebbero ai Paesi africani di costruire economie e andare oltre gli aiuti allo sviluppo. Ciò non vale solo per l’Europa, ma per tutto il mondo industrializzato e più ricco. In tal modo i nostri Paesi saranno in grado di migliorare i propri sistemi sanitari. Il covid-19 è un catalizzatore che spinge noi, in Africa, a diventare autosufficienti in tutti gli aspetti della nostra vita. Abbiamo gli scienziati, alcuni sono in altri Paesi.

Quali sono le responsabilità delle case farmaceutiche? La liberalizzazione dei brevetti può davvero essere il modo giusto per risolvere le disuguaglianze?

Abbiamo bisogno di un nuovo tipo di leadership anche negli affari, una leadership che ci allontani dai profitti incredibili guidandoci verso la sopravvivenza dell’umanità, e che dia enfasi alla produzione libera dei vaccini; occorre eliminare la proprietà commerciale per qualsiasi vaccino contro il covid-19. L’unico modo in cui possiamo prevenire la trasmissione del covid e proteggere l’economia è immunizzare una fetta importante della popolazione. Come già detto, il covid-19 è un catalizzatore. Le industrie farmaceutiche devono distinguere tra profitto e vita. Oggi la situazione è questa: chi non può permettersi di pagare i vaccini, non riesce a ottenerli. A lungo termine è una situazione insostenibile. Nel futuro saranno disponibili maggiori informazioni. La medicina personalizzata sarà più diffusa. I pazienti saranno più preparati. La situazione muterà. La tecnologia e il fatto che sarà accessibile a più persone cambieranno le poste in gioco. In breve, i segnali indicano tutti che la tecnologia imporrà un cambiamento alla situazione attuale e al potere delle aziende farmaceutiche. È quindi nell’interesse dell’industria farmaceutica cambiare con i tempi. Vogliamo vedere un’industria farmaceutica disposta a modificare il suo modello commerciale. Deve prepararsi a negoziare. La crisi della pandemia pone una sfida enorme di comunicazione.

Perché è difficile trovare dati sui vaccini e sui pazienti in Africa? Quali sono i principali problemi?

I ricercatori e i governi africani devono fare tre cose. In primo luogo, gli scienziati africani devono condurre più ricerche a guida africana sull’epidemia da covid-19 in Africa a livello nazionale e continentale. Queste analisi devono includere studi sull’impatto dell’epidemia sulla situazione socio-ecologica dell’Africa e sulla struttura del sistema di assistenza sanitaria, che è basato fortemente sulla comunità. Poi, dobbiamo usare questi risultati per riconoscere i punti di forza e le vulnerabilità unicamente africani dinanzi alle malattie emergenti ed epidemiche, per tenerne conto nei piani di emergenza e assicurare che gli indici di preparazione alle epidemie, come il Global Health Security Index, ne tengano conto. Infine dobbiamo accelerare la condivisione dei dati per garantire il tempestivo accesso agli stessi, affinché siano alla base di innovazioni e interventi indotti dai dati. La notizia positiva è che il Sud Africa ha dichiarato che donerà 2 milioni di vaccini anti covid ad altri Paesi africani. La prima conferenza internazionale sulla salute pubblica in Africa, tenuta recentemente e ospitata dall’Unione africana e dagli Africa Centres for Disease Control and Prevention, ha affrontato le questioni della disuguaglianza vaccinale globale e dei sistemi sanitari deboli. Il New Public Health Order dell’Unione africana esorta alla collaborazione continentale per sostenere la capacità di produzione di vaccini africana e l’assistenza incentrata sulle persone. Tutto ciò fa parte dell’approccio del continente in risposta alle aspirazioni dell’Agenda 2063 The Africa We Want. Un approccio pan-africano alla risoluzione dei problemi è necessario in ogni aspetto della nostra vita in Africa. Ricordo le parole di Kwame Nkrumah, secondo cui un’Africa unita emergerà «non semplicemente come un altro blocco mondiale per ostentare la sua ricchezza e la sua forza, ma come Grande Potenza la cui grandezza è indistruttibile perché non costruita sulla paura, l’invidia e il sospetto, né conquistata a scapito altrui, bensì fondata sulla speranza, la fiducia e l’amicizia, e volta al bene dell’intera umanità».

di Luca M. Possati

 

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