
di Isabella Piro
«È stata una grande consolazione»: ai media vaticani, fra Marcello Longhi, presidente dell’Opera San Francesco per i poveri, descrive con emozione l’udienza con Leone XIV di lunedì scorso, 1° settembre. Per la realtà caritativa ambrosiana, ispirata dagli insegnamenti di san Francesco d’Assisi e nata nel 1959 su iniziativa dei Frati minori cappuccini di Milano, l’incontro con il Pontefice è stato infatti occasione di riflessione e di slancio sia per la missione portata avanti in questi 66 anni, sia per i progetti futuri da sviluppare.
Nel suo discorso, il vescovo di Roma ha ricordato all’Opera San Francesco tre dimensioni «complementari e fondamentali della carità»: assistere, accogliere e promuovere. «Sono parole che mi hanno colpito molto — dice fra Marcello — perché assistere e promuovere sono radicate nell’accoglienza. Accogliere l’altro vuol dire guardarlo negli occhi, riconoscerne il cuore, i desideri, i sentimenti. E questa è esattamente la nostra missione: farci carico, certamente, dei bisogni del prossimo, ma non solo». Assistere chi è in difficoltà, prosegue il presidente, non significa fare qualcosa di pratico soltanto per «mettersi in pace con la coscienza. In questo ambito, non contano i numeri, non conta la burocrazia: ciò che vale sono le relazioni che si riescono ad avviare, ad aprire».
Fra Marcello si sofferma, poi, su un punto particolare del discorso di Leone XIV, ovvero quello in cui il Papa ha sottolineato che «ci si prende cura di chi si incontra semplicemente per il suo bene, perché possa crescere in tutte le sue potenzialità e procedere per la sua strada, senza aspettarsi contropartite e senza imporre condizioni». «Questo passaggio è stata una consolazione — spiega — e una risposta per tutti coloro che, spesse volte, ci dicono: “Ma chi ve lo fa fare?”». Il promuovere a cui ha fatto riferimento il Pontefice, invece, è proprio questo: essere in grado di vedere nell’altro «un cuore che chiede di essere riconosciuto come persona», aggiunge il presidente.
Non a caso, lo stesso vescovo di Roma ha indicato nel bene integrale della persona il principio fondante della carità: «La promozione dell’altro deve essere globale — rimarca ancora fra Marcello —. Essa implica il farsi vicino, il condividere con il povero le fatiche, le sofferenze, le sconfitte, i fallimenti, il lasciarsi andare... In pratica, condividere il cuore». Di qui la sottolineatura del fatto che l’assistenza pratica si può e si deve fare, «ma ne deve essere chiaro il motivo di fondo», affinché non si tratti di mero assistenzialismo o di una fredda pratica burocratica da espletare.
L’Opera San Francesco per i poveri è incardinata principalmente a Milano: è qui, infatti, che dal 1878 i Frati minori cappuccini hanno il loro convento in viale Piave 2, dove è sorta prima la mensa della struttura. Ed è proprio da qui che ha avuto inizio il cammino dell’Opera stessa: secondo la tradizione, il portinaio del convento cappuccino, fra Cecilio Cortinovis (1885-1984), specie in periodo di guerra, bussava a ogni porta del circondario domandando pane per i poveri e donando in cambio la sua preghiera. Per anni, dalla porta del convento distribuì cibo a chi non aveva nulla, costituendo per la povera gente un conforto e un aiuto sicuro in anni difficili.
Dalla fine del 1800 ad oggi, Milano ha cambiato volto, divenendo il simbolo della produttività e dell’efficienza. Ma le sacche di povertà esistono e resistono ancora. «La nostra mensa — spiega il presidente — si trova a pochi metri di distanza da un hotel a cinque stelle. Eppure, non c’è conflittualità, anzi: quando ci vedono, le persone più abbienti prima si stupiscono, poi riflettono. Questo vuol dire che la “Milano del profitto” non distoglie lo sguardo da chi non ce la fa, bensì mantiene alta l’attenzione sulla condizione umana in difficoltà». D’altronde, prosegue fra Marcello, «il successo delle imprese non si può fondare sulla guerra contro i poveri, sulla loro esclusione sociale. Stare accanto agli indigenti vuol dire imparare a ragionare in modo umano, a non costruire sistemi basati sul sangue, perché quello non è più progresso».
Ai vertici dell’Opera da sette anni, il presidente nota che, nel corso del tempo, «la povertà estrema ha rallentato la sua crescita. Ciò che aumenta oggi, invece, è la povertà silente, quella di persone che, fino a due o tre anni fa, ce la facevano a vivere normalmente, mentre ora non ci riescono più». E se in passato gli italiani erano il quinto gruppo più numeroso tra gli ospiti della mensa — preceduti da peruviani, egiziani, marocchini e persone dell’est Europa —, oggi sono il secondo gruppo più numeroso, segno di un’indigenza che si allarga silenziosamente tra le maglie della città lombarda.
Oltre alla mensa, l’Opera San Francesco offre numerosi altri servizi, tra cui la possibilità di farsi una doccia calda e di ricevere un kit di biancheria pulita, nonché abiti, scarpe, lenzuola e sacchi a pelo per chi trascorre la notte in strada. Non mancano i servizi medici: il poliambulatorio garantisce a tutti il diritto di essere curati, grazie alla professionalità di duecento medici volontari che ogni giorno, in media, visitano cento pazienti. Molti tra loro sono migranti in transito, perché «Milano ti accoglie non per restare, ma per ripartire — spiega fra Marcello —. La maggior parte proviene dalla rotta balcanica, ma tanti arrivano anche da Lampedusa. E i nostri medici hanno curato molte schiene piagate e ferite di migranti arrivati dalla Libia, dopo aver patito grandi sofferenze».
Tra i progetti futuri dell’Opera c’è la creazione di un Centro diurno: «Vogliamo aprire sempre più spazi relazionali — sottolinea ancora il presidente — per accogliere l’altro con il cuore. Perché dobbiamo imparare a dire a noi stessi che non possiamo essere veramente felici finché c’è qualcuno che non lo è». In fondo, conclude, «questo è l’insegnamento di San Francesco: andare incontro al prossimo e farlo sentire amato».