L’impegno di Caritas Cambogia per gli sfollati a causa del conflitto con la Thailandia

Uno slancio di solidarietà grazie alla cooperazione interreligiosa

 Uno slancio di solidarietà grazie alla cooperazione interreligiosa  QUO-201
02 settembre 2025

di Paolo Affatato

Nel disagio c’è chi non ha perso il sorriso. Nella sofferenza c’è chi non ha perso la speranza. È quanto accade nei campi profughi che, nelle province di confine, accolgono gli sfollati interni cambogiani, vittime della guerra che, dal luglio scorso, ha diviso Thailandia e Cambogia, interrotta grazie alla tregua firmata il 7 agosto, ma in attesa di un accordo definitivo.

«I profughi sono tristi, non hanno di che vivere. Sono senza casa, sono preoccupati per il loro raccolto che potrebbe andare perduto. Stazionano ora in campi sovraffollati, ma non hanno perso il sorriso e la speranza, grazia a tanti che si prendono cura di loro, anche grazie ai volontari cattolici» racconta a «L’Osservatore Romano» Rattana Kim, 47 anni, da venti impegnato nella Caritas Cambogia, l’organizzazione che, ricorda, «ha la missione di testimoniare l’amore di Dio ai poveri, ai più vulnerabili, a chi si trova in stato di bisogno».

Kim è reduce da una speciale missione che, in accordo con le autorità locali, lo ha portato con un team di volontari cattolici e con il prefetto apostolico di Battambang, il gesuita Enrique Figaredo Alvargonzales, a visitare 12 campi profughi nelle tre province di Preah Vihear, Siem Reap e Oddor Meanchey, tutte al confine con la Thailandia. Sono territori dove si trovano i circa 30mila sfollati che, a causa del conflitto, hanno dovuto abbandonare case, villaggi e campi e che si prevede resteranno esuli per almeno altri tre mesi, se non di più. Infatti, finchè le condizioni di sicurezza non lo permetteranno — data la presenza di numerose bombe inesplose sul territorio, che sarà da bonificare — la loro sorte è quella di attendere nei campi, dove però, nota il direttore esecutivo della Caritas, «stanno sperimentando lo slancio di solidarietà di molti».

C’è da pensare prima di tutto al contesto: i profughi non sono affatto scaraventati in lande desolate o inospitali, ma sono sistemati all’interno dei rigogliosi giardini delle pagode e dei templi buddisti disseminati nel territorio. Quei luoghi silenziosi, usualmente oasi di meditazione e di contatto con la natura e con la propria interiorità, ora sono la loro casa, grazie alla calorosa accoglienza dei monaci buddisti. In Cambogia, paese caratterizzato dalla cultura e dalla spiritualità del buddismo theravada, templi e pagode sono un riferimento ineludibile per la popolazione e i monaci sono guide spirituali che hanno offerto un segno tangibile di solidarietà: «Hanno aperto le loro strutture e accolto circa 30mila sfollati», racconta Kim. «Hanno permesso alle autorità locali di organizzare l’assistenza e ai team cattolici di prendersi cura di oltre ottomila famiglie», prosegue. Si tratta di un fecondo esempio di collaborazione interreligiosa e istituzionale, per il bene della gente: «Con la Caritas ci stiamo occupando di distribuire tende, acqua potabile e kit igienico-sanitari», riferisce, spiegando il programma complessivo di assistenza ai profughi chiamato “Pronto soccorso al confine tra Thailandia e Cambogia”. Una seconda area di intervento è quella relativa alla “protezione”, che include, da un lato, la sensibilizzazione sull’assistenza sanitaria di base, per evitare che tra gli sfollati si diffidano malattie o scoppino epidemie; dall’altro l’opera dell'istruzione organizzata per i diversi gradi: «Abbiamo predisposto tende e spazi per bambini piccoli, dove possono disegnare, giocare apprendere, secondo le forme didattiche adatte alla loro età», dice. «E poi, grazie a insegnanti che prestano la loro opera volontariamente e che sono anch'essi tra gli sfollati, abbiamo creato aule temporanee e piccole biblioteche per garantire l’istruzione primaria», necessaria perché non si sa tra quanti mesi gli sfollati potranno rientrare nei loro villaggi. In questo sforzo, «è stata preziosa la collaborazione dell’Unicef che ha fornito libri e quaderni», specifica Kim, consentendo così alla Caritas di organizzare lezioni di scuola per bambini e ragazzi. Infine, aggiunge il direttore, «c’è il supporto psico-sociale, grazie ai volontari che ogni giorno si recano nei campi per ascoltare le persone e svolgere un’opera di consulenza psicologica: la gente è traumatizzata dalla guerra e dalla violenza che ha fatto irruzione all’improvviso nella sua vita», rileva.

Kim continua a visitare settimanalmente le province di confine per «monitorare quelle situazioni di disagio» che, afferma, «speriamo di poter limitare, fino ad accompagnare i profughi al ritorno nei loro villaggi, per riprendere una vita normale». E nota: «Qui comunque, nonostante la sofferenza, lo slancio di solidarietà, di accoglienza, di consolazione che è in atto ogni giorno, grazie alla cooperazione interreligiosa, sta realmente generando un processo di guarigione interiore dalle ferite psicologiche che segnano la vita degli sfollati». Pensa soprattutto ai bambini che «hanno già perso molto, ma non devono perdere il loro futuro», dice Kim, motivando l’impegno della Caritas che dà ai più piccoli l’opportunità di continuare l’attività scolastica.

Rattan Kim riferisce anche di un altro fenomeno collaterale, frutto del conflitto: «Sono stati rimpatriati dalla Thailandia circa 900mila migranti cambogiani che lavoravano oltre confine. Circa 700mila ora sono disoccupati, con un impatto notevole sull’economia locale», nota, ricordando che i migranti, con le loro rimesse, aiutavano le famiglie rimaste in Cambogia. Anche su questo versante, ha riferito l’agenzia Fides, la comunità cattolica si è rimboccata le maniche, cercando vie per reintegrarli nella società. La Caritas, inoltre, si sta occupando dei carcerati trasferiti da un istituto penale al confine in una struttura nell’interno, «che ora vivono in condizioni disagevoli e ben poco dignitose», aggiunge.

Tutto questo impegno, conclude Kim, «significa comunicare l’amore di Dio a tutti, soprattutto ai più indifesi e bisognosi». E rappresenta «un opera per costruire la pace, per disarmare i cuori e spegnere l’odio che oggi vediamo tra popoli vicini». In tal modo, con il balsamo della carità, conclude Kim «diamo il nostro contributo per portare il Vangelo in questa terra ferita».