A colloquio con il giurista Giuseppe Nesi sulla revoca dei visti alle autorità palestinesi

Una nuova ferita
L’Onu torni terra franca

 Una nuova ferita L’Onu torni terra franca  QUO-201
02 settembre 2025

di Stefano Leszczynski

A poche settimane dall’ottantesimo anniversario della sua fondazione, l’Organizzazione delle Nazioni Unite è nuovamente chiamata a pagare il conto delle controversie tra gli Stati. Indebolita nel suo funzionamento per i mancati pagamenti delle quote degli Stati membri, sminuita nella sua autorevolezza da politiche sovraniste, oggi l’organizzazione internazionale per eccellenza si trova ad essere mortificata in quella che è la sua principale missione: essere luogo di incontro e di dialogo per tutti gli Stati del mondo.

La nuova ferita per il sistema onusiano deriva dalla decisione di Washington di revocare i visti d’ingresso negli Usa a tutti i palestinesi, compresi i delegati che dovrebbero prendere parte alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, oltre che al presidente della Palestina, Mahmud Abbas (Abu Mazen). Una misura che, se confermata, rappresenterebbe un precedente capace di mettere a rischio il funzionamento di tutte le agenzie e rappresentanze dell’Onu nel mondo.

«Gli Stati Uniti, come tutti i Paesi che ospitano sedi delle Nazioni unite, hanno degli accordi che impongono l’obbligo di adoperare tutti i possibili strumenti per favorire l’accesso delle delegazioni straniere agli stabili dell’Organizzazione». A parlare con i media vaticani è il professore Giuseppe Nesi, ordinario di diritto internazionale all’Università di Trento e membro della Commissione di diritto internazionale dell’Onu.

Quello cui si sta assistendo in questi giorni non è inedito nella storia dell’Onu. Ci sono state anche in passato circostanze in cui gli Stati Uniti hanno imposto delle limitazioni nell’accesso alle sedi Onu, la più famosa delle quali risale al 1988 nei confronti dell’allora presidente dell’Olp, Yasser Arafat. «All’epoca, l’Assemblea generale decise che la riunione dei capi di Stato e di Governo, che ogni anno si tiene abitualmente a New York nella terza settimana di settembre, si sarebbe tenuta a Ginevra. E così è stato», spiega Nesi, che sottolinea, però, come i costi di un’operazione del genere oggi sarebbero difficilmente sostenibili, senza contare i tempi troppo stretti per una soluzione del genere.

«Tuttavia — aggiunge il giurista internazionale — è bene ricordare che l’Accordo di sede del 1947 tra Usa e Onu prevede che nel caso in cui ci siano delle controversie sulla interpretazione e l’applicazione dell’accordo stesso si potrebbe chiedere un arbitrato internazionale, ma anche questa sarebbe comunque una procedura con tempi molto lunghi. Infine, un’ulteriore alternativa sarebbe quella di una richiesta da parte del Segretario generale delle Nazioni Unite di un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia che è il principale organo giurisdizionale dell’Onu».

Difficile immaginare soluzioni nel breve periodo, anche perché tutto questo risente dell’incandescente clima politico internazionale e a poco sembra possa servire il fatto che diversi stati hanno dichiarato di fronte a quello che sta avvenendo in Medio Oriente di essere pronti a riconoscere la Palestina come Stato.

«Sono eventi che dimostrano l’esistenza di tensioni politiche internazionali delle quali però mi permetto di dire le Nazioni Unite non sono responsabili — chiosa Giuseppe Nesi —. Io credo che la responsabilità in queste circostanze sia tutta in capo agli Stati. Dovrebbero essere proprio loro ad agevolare l’operato dell’Onu e l’incontro di alto livello che, come tradizione da 80 anni a questa parte, si svolge a New York nella terza settimana di settembre». L’auspicio del professore Nesi è dunque che tutti i membri della comunità internazionale, almeno per l’ottantesimo della fondazione delle Nazioni unite, il prossimo 24 ottobre, comprendano l’importanza politica di questo anniversario, soprattutto nell’attuale contesto storico, e promuovano la più ampia partecipazione possibile alla celebrazione.