Nell’ovest del Sudan una frana ha distrutto un intero villaggio provocando la morte di mille persone. C’è solo un sopravvissuto. La vicinanza e la preghiera del Papa

Darfur
Tarasin non esiste più

TOPSHOT - This handout image made available by the Sudan Liberation Movement/Army (SLM), on ...
02 settembre 2025

Un villaggio intero cancellato dalla terra, mille vite sepolte sotto la montagna che crolla. Solo un sopravvissuto, un corpo ancora vivo tra le macerie, per testimoniare che quella comunità è esistita per davvero. Oggi Tarasin non esiste più. Il villaggio sudanese, situato tra i Monti Marra del Darfur, è stato spazzato via lo scorso 31 agosto da una frana provocata dalle piogge torrenziali. Nessun grido ha oltrepassato le creste rocciose, nessuna eco ha raggiunto un’umanità distratta da guerre e scenari ritenuti prioritari soltanto in base al modo in cui siamo soliti vedere il mondo.

Vicinanza spirituale «a tutti coloro che sono stati colpiti da questa tragedia» è stata espressa da Papa Leone XIV, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e indirizzato al vescovo di El-Obeid, monsignor Yunan Tombe Trille Kuku Andali. Il Pontefice ha assicurato la sua preghiera «in particolare per l’eterno riposo dei defunti, per coloro che piangono la loro perdita e per il salvataggio delle numerose persone ancora disperse». Il Papa ha offerto «incoraggiamento alle autorità civili e al personale di soccorso impegnati nelle operazioni di assistenza», invocando infine sul Sudan «benedizioni divine di consolazione e di forza».

La notizia della frana che ha colpito Tarasin è stata diffusa dal Movimento di liberazione del Sudan: il gruppo ribelle nato vent’anni fa per difendere le comunità locali dalle milizie Janjaweed e che oggi controlla i Monti Marra, ha lanciato un appello alle Nazioni Unite e alle agenzie umanitarie per recuperare i corpi. Ma se nessun convoglio internazionale ha finora raggiunto la zona è proprio perché quest’area del Sudan è inaccessibile a causa degli scontri tra l’esercito nazionale e i ribelli, in particolare le Forze di supporto rapido (Rsf). Tarasin si trovava tra i Monti Marra, una catena vulcanica che si estende per 160 chilometri, divenuta rifugio naturale per migliaia di sfollati in fuga da El Fasher, la capitale dello Stato del Darfur settentrionale sotto assedio da oltre 500 giorni. Nel villaggio si erano raccolte famiglie scappate da bombardamenti e fame, convinte di aver trovato riparo. Invece, la catastrofe naturale si è abbattuta su di loro, restituendo solo l’immagine di una distesa piatta di fianco e roccia tra i monti, con gruppi di persone che scavano a mani nude in cerca dei corpi, amplificando così la tragedia di un Darfur già martoriato da due anni di conflitto, 40.000 morti e oltre 14 milioni di profughi.

Solo ieri pomeriggio l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) aveva lanciato l’allarme secondo cui oltre mille famiglie sudanesi sono state costrette ad abbandonare le loro case nella città di El Fasher a causa dei ripetuti bombardamenti. Per quasi due settimane la città ha assistito a un’escalation di battaglie terrestri da parte delle Rsf che hanno provocato la morte di centinaia di civili. I segni di una catastrofe imminente sono stati mappati dallo spazio grazie ai satelliti che, da oltre 500 giorni, sorvolano la regione del Darfur occidentale e sono stati raccontati oggi sul quotidiano britannico “Financial Times” da Nathaniel Raymond, direttore dell’Humanitarian Research Lab della Yale University: secondo Raymond, l’ultima speranza per i 260.000 civili rimasti vivi è un checkpoint largo 50 metri ma controllato dalle Rsf, dove chiunque abbia provato a fuggire è stato derubato e ucciso. Perché, nel frattempo, il potere politico e strategico delle Rsf non fa altro che consolidarsi. Lo scorso 30 agosto il portale Sudan Tribune ha riferito che Mohamed Hamdan Dagalo,leader dei ribelli noto come Hemetti, ha giurato come presidente di un nuovo consiglio presidenziale parallelo in opposizione alla giunta militare di Khartoum guidata da Abdel Fattah al-Burhan. Non solo: Hemeti ha presieduto la prima riunione del Consiglio scegliendo come vicepresidente Abdel Aziz al-Hilu, leader dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan-Nord (Spla-N). Quest’alleanza rappresenta un passaggio cruciale: le milizie dello Spla-N hanno un peso determinante sul terreno e il loro sostegno offre alle Rsf una legittimità politica più ampia, rafforzando dunque il progetto di un governo parallelo in grado di contendere all’esercito il futuro del Sudan.

È così che si alimenta la più grave crisi umanitaria al mondo in cui, dall’inizio dell’assedio nell’aprile 2023, oltre mille bambini sudanesi sono stati uccisi o mutilati e oggi più di seimila piccoli soffrono di malnutrizione acuta grave: senza gli alimenti terapeutici bloccati alle frontiere, il rischio di morte cresce ogni giorno. Le cifre riportate dall’Unicef sono impressionanti: solo da gennaio diecimila piccoli sono stati curati per forme gravi, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Come se non bastasse, in Sudan è in corso la peggiore epidemia di colera degli ultimi decenni. Dal luglio 2024 si contano quasi 100.000 casi sospetti e oltre 2.400 decessi. Nel solo Darfur quasi 5.000 persone si sono ammalate e almeno 98 sono morte. Ed è così che il piccolo villaggio di Tarasin diventa simbolo di un Paese che muore due volte: prima nella guerra e nella calamità naturale, poi nell’indifferenza degli uomini (guglielmo gallone)