Ampia adesione delle Chiese locali alla Giornata di preghiera indetta da Papa Leone XIV

L’urgenza della pace
in un mondo ferito

TOPSHOT - Palestinians flee with their belongings the Abu Iskandar neighbourhood of northern Gaza ...
22 agosto 2025

di Valerio Palombaro

Il mondo è «ferito da continue guerre». Almeno 56, secondo il portale indipendente Acled (Armed Conflict Location and Event Data Project). Dai conflitti più accesi, come Gaza, Ucraina e Sudan, a quelli meno noti che spesso vedono coinvolti anche attori non statali, fino alle guerre “congelate” che giacciono irrisolte ma rischiano sempre di riaccendersi come recentemente avvenuto per la disputa di confine tra Thailandia e Cambogia o per quella tra Pakistan e India nel Kashmir.

Papa Leone XIV, nell’indire per oggi una Giornata di digiuno e preghiera, ha richiamato all’urgenza della pace e del perdono per «asciugare le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti in corso». Praticamente tutte le Conferenze episcopali e le singole diocesi hanno aderito. A partire dalla Conferenza episcopale italiana, con il cardinale Matteo Zuppi che subito ha invitato a «intensificare la preghiera per una pace disarmata e disarmante», in Italia si sono mobilitate numerose diocesi e movimenti religiosi. La diocesi di Roma, tramite una lettera del cardinale vicario Baldo Reina, che oggi pomeriggio presiederà una messa alla Basilica Lateranense, ha esortato «ogni comunità, parrocchia, famiglia e singolo fedele» al digiuno come «segno della nostra comunione e un’offerta di pace».

Anche la Conferenza episcopale spagnola ha fatto sapere in una nota di aver aderito all’invito del pontefice, ricordando la lettera indirizzata ai vescovi lo scorso 8 agosto dal presidente, arcivescovo Luis Argüello, con la quale è stato chiesto di «intensificare la preghiera e le attitudini a favore della pace». «Chiediamo che questo invito sia ampiamente condiviso tra le nostre comunità parrocchiali, le congregazioni religiose, i movimenti ecclesiali e i gruppi pastorali, affinché il grido di pace possa levarsi unito nel cuore della Chiesa in tutto il mondo», ha dichiarato il cardinale Jaime Spengler, presidente del Consiglio episcopale latinoamericano e caraibico.

Tra le segnalazioni particolari, l’adesione all’appello del Vicariato apostolico dell’Arabia meridionale, che nel territorio di sua competenza include lo Yemen martoriato da oltre 10 anni di una guerra civile “dimenticata”. «Attraverso il digiuno e la preghiera, chiediamo alla Vergine Maria, Regina della Pace, di intercedere presso suo Figlio per la pace, specialmente nella vicina Terra Santa, e per la consolazione di tutti coloro che sono afflitti da questo e da ogni conflitto», ha dichiarato il vicario apostolico, Paolo Martinelli. Il custode di Terra Santa, padre Francesco Ielpo, in una lettera indirizzata ai frati francescani, ha sottolineato come «la pace sia un dono atteso e profondamente desiderato, soprattutto in Terra Santa segnata da conflitti e speranze». «Preghiamo perché la comunità internazionale non si limiti a guardare ma intervenga per favorire la pace, il rispetto del diritto internazionale, l’incolumità dei civili, degli operatori umanitari e dei giornalisti», ha aggiunto. In Asia, padre Qaisar Feroz, frate cappuccino e parroco della parrocchia Nostra Signora Regina degli Angeli a Bhai Pheru, alla periferia di Lahore, nel Punjab pakistano, ha organizzato un incontro di preghiera con suore, adulti e bambini e digiuno per la pace. A Phnom-Penh, in Cambogia, nella chiesa di Nostra Signora Regina della pace, si sono svolte preghiere alla presenza del vicario apostolico, il vescovoOlivier Schmitthaeusler. Nel Myanmar devastato dalla guerra civile preghiere per la pace molto sentite sono avvenute tra le famiglie e tra piccoli gruppi di fedeli sfollati. E per tutto il giorno alcuni fedeli si sono recati a piccoli gruppi nella cattedrale di Santa Maria a Yangon.

Se l’invito di Papa Leone XIV è stato ampiamente accolto dalle Chiese, rimane sempre pressante l’esigenza di un “cambio di passo” a livello politico e diplomatico. Il mondo è lacerato da una “terza guerra mondiale a pezzi” che ha già portato lo scorso anno la spesa per gli armamenti al livello record di 2.718 miliardi di dollari. L’Europa, da tre anni e mezzo, con l’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022, è ripiombata nell’incubo di una sanguinosa guerra che nel cuore del continente mancava dai tempi dei conflitti nei Balcani. Più ai margini del continente europeo, d’altra parte, si possono segnalare i passi avanti per uno storico accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian che potrebbe mettere fine a oltre 30 anni di sangue e incomprensioni. A Gaza, dopo il brutale attacco di Hamas il 7 ottobre 2023, è sotto gli occhi di tutti una tragedia umanitaria senza precedenti nel nostro secolo. Mentre anche in Cisgiordania gli ultimi piani del governo israeliano ci ricordano la pericolosità delle questioni per troppi anni irrisolte. Come pure il Libano, dove dopo la guerra dell’autunno dello scorso anno sembrano però scongiurati scenari più cupi; mentre la vicina Siria vive un momento importante e delicato, attraversata da cambiamenti epocali dopo la caduta di Bashar Al Assad.

L’Africa rimane uno dei continenti con il più elevato numero di conflitti. A partire dal Sudan, dove dall’aprile 2023 lo scontro di potere tra esercito e Forze di supporto rapido (Rsf), ha prodotto quella che l’Onu ha definito la più grave crisi degli sfollati al mondo con 14 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case. Ma tanti altri sono i focolai di guerra nel continente: dall’est della Repubblica Democratica del Congo, dove centinaia di gruppi armati da anni depredano le risorse del Paese seminando sangue e instabilità, al nord del Mozambico e ai tanti Paesi del Sahel dove imperversa la violenza jihadista, fino all’Etiopia, alla Somalia per arrivare alla Libia divisa da un’altra guerra “dimenticata”.

Anche nel continente asiatico non mancano i conflitti. In Myanmar, da oltre quattro anni, un brutale conflitto vede contrapposti la giunta militare al potere e gruppi ribelli che ormai controllano ampie parti del Paese. La penisola coreana rimane divisa e attraversata da venti di guerra ancorati alla logica della deterrenza nucleare; mentre anche il confine tra Pakistan e Afghanistan è da tempo teatro di un conflitto che si trascina lontano dai riflettori. Non fa eccezione nemmeno l’Oceania, dove in Papua Nuova Guinea di tanto in tanto si riaccendono violenze tribali mai sopite. L’America Latina, forse meno segnata da guerre aperte, vede tuttavia tanti Paesi in cui ancora regnano criminalità e violenze. A cominciare da Haiti, lo Stato più povero delle Americhe, dove quasi l’80 per cento del territorio è sotto il controllo delle gang criminali tra l’impotenza del governo e della comunità internazionale.

Tanti conflitti, tante questioni irrisolte, tutte accomunate dalla sofferenza generata nella popolazione civile, in particolare tra i più vulnerabili. Il mondo, come indicato da Papa Leone XIV, ha urgente bisogno di un cambio di prospettiva perché «senza il perdono non ci sarà mai la pace».