Testimonianze / 2
Michiko Kono aveva solo 4 mesi quando, 80 anni fa, la bomba atomica cadde su Hiroshima

Un’infanzia vissuta
tra le ceneri dell’umanità

A man looks at the preserved Atomic Bomb Dome from an observation point near the Hiroshima Peace ...
20 agosto 2025

Nell’edizione di ieri abbiamo pubblicato la prima parte della testimonianza portata al Tonalestate International Summer University 2025 da Michiko Kono, una sopravvissuta allo scoppio della bomba atomica ad Hiroshima. In una nostra traduzione dall’inglese pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte dell’intervento della signora Kono.

Il mattino seguente lo scoppio della bomba atomica su Hiroshima, il 7 agosto 1945, mio padre si recò da solo nella nostra casa e vi trovò il corpo di mio nonno, ormai ridotto a uno scheletro, tra le macerie ancora fumanti, ma di mia nonna non c’era traccia. Nel primo pomeriggio lasciammo tutti insieme il campo di addestramento militare e ci dirigemmo verso le macerie della nostra casa. Il centro era completamente devastato.

Alla ricerca disperata del passato


Sebbene mia mamma non mi abbia mai raccontato le scene tragiche che vide lungo il cammino, le ha descritte nella sua testimonianza. Scrisse: «Abbiamo visto un tram bruciato e uscito dai binari e molti cadaveri sul ciglio della strada, per cui a volte avevamo difficoltà anche solo ad andare avanti. Sul ponte vedemmo un cavallo morto, tutto gonfio, con le zampe che puntavano verso l’alto. Nei piccoli serbatoi antincendio presenti in ogni gruppo di case c’erano molti corpi nudi e anneriti che sembravano studenti morti in piedi, e poi, nel fiume, c’erano così tanti cadaveri che galleggiavano nell’acqua». A volte diceva di non aver mai visto tanti corpi morti in vita sua.

Tra le macerie della nostra casa mia madre vide il corpo bruciato del padre, ma non riuscì a piangere per quanto era diverso. Ricordò che il giorno prima le aveva detto «abbi cura di te!». Mio padre raccolse le ossa del nonno in una padella trovata nella zona delle macerie dove prima era la cucina. Poi attraversammo a piedi il centro e raggiungemmo la casa di un’altra zia, distante 12 chilometri, dove rimanemmo.

Mia nonna era ancora dispersa, quindi mio padre tornava in centro quasi tutti i giorni per cercarla. Dopo qualche giorno, un amico di famiglia la riconobbe su un’isola chiamata Ninoshima e venne a casa di mia zia per dirci di averla vista. Ne venimmo a conoscenza grazie a questo contatto. Quando arrivammo sull’isola era però già stata portata in una città vicina per curare alcune ferite minori. Il 14 agosto, un giorno prima della resa del Giappone, i cinque membri della nostra famiglia erano di nuovo insieme, meno mio nonno. Secondo quanto raccontato da mia nonna, il 6 agosto era venuto alla stazione di Hiroshima per salutarci, ma era tornato a casa presto a causa del ritardo dei treni. Aveva sudato molto, quindi era andata direttamente in bagno e si era tolto il kimono. Aveva iniziato a lavare la cintura di stoffa in posizione accovacciata. In quel momento, era esplosa la bomba atomica. La casa era crollata subito per la violenta esplosione. Si pensa che mio nonno sia stato ucciso in soggiorno, mentre mia nonna, pur colpita in viso e nella parte alta del corpo dai vetri rotti delle finestre, era sopravvissuta ed era riuscita a fuggire dalla casa crollata. Penso che sia sopravvissuta perché la vasca da bagno giapponese, piuttosto profonda, aveva impedito che il bagno venisse completamente raso al suolo. Una volta di nuovo insieme, venimmo a sapere che c’era un camion diretto verso il paese natale di mio padre, così ci facemmo dare un passaggio fino alla casa di mio zio, che distava 50 chilometri e restammo lì.

Ombre incise nella pelle del tempo


Dopo poco tempo, mia nonna, mia mamma e io iniziammo a sentirci male e fummo ricoverate in un ospedale locale. Dopo che il cuoio capelluto si era ricoperto di bolle persi tutti i capelli. Sebbene i raggi di calore fossero stati bloccati, ero comunque stata colpita dalle radiazioni invisibili. Rimanemmo in ospedale per due mesi prima di tornare a Hiroshima. Per un anno restammo nella casa del mio zio materno, tre chilometri a est dell’ipocentro. A giugno mi ammalai di nuovo. La febbre alta e la dissenteria continuavano e il medico diceva che sarei morta. Però sono sopravvissuta.

Infine, nell’autunno del 1946 ci stabilimmo in una cittadina vicina a Hiroshima, a 12 chilometri di distanza dall’ipocentro. È lì che sono cresciuta. Mentre mia madre e mia nonna parlavano delle loro esperienze della bomba atomica, mio padre, che aveva attraversato il centro e aveva visto l’orrore in prima persona, non ne parlò per lunghissimo tempo. Ogni volta che gli facevo domande si rifiutava bruscamente di rispondere e diceva: «Non voglio ricordare». Ricordo che durante l’infanzia a volte di notte sentivo i suoi lamenti o i suoi incubi. Si decise a parlare della sua esperienza solo dopo che gli fu diagnosticato un tumore all’intestino, un anno prima della sua morte.

In foto potete vedere la collinetta memoriale della bomba atomica nel parco memoriale della Pace di Hiroshima. Sotto questa collinetta c’è una cripta contenente più di 70.000 ceneri non identificate. Tra queste ci sono anche 812 vittime i cui nomi sono stati identificati, ma che nessuno ha richiesto. Penso che allora tante famiglie siano scomparse e che tante abbiano atteso il ritorno dei loro cari e poi siano morte nella disperazione. Non dobbiamo permettere che una cosa del genere accada di nuovo.

Mai più la bomba atomica


Fortunatamente sono sopravvissuta all’esplosione e ora ho 80 anni. Quando ero piccola, mia mamma mi raccontava spesso la triste storia dei nostri parenti lontani. Un’intera famiglia di quattro persone era stata uccisa, tranne una bambina sopravvissuta perché era stata evacuata in montagna, lontano dalla famiglia. In un’altra famiglia di quattro persone erano morti i genitori e sopravvissuti solo i figli. Mia mamma mi raccontava tante storie simili, del genere «la sorella di Tizio è morta per la bomba atomica» o «anche il fratello di Caio è morto».

Per quanto riguarda gli effetti delle radiazioni, all’epoca non ne sapevamo nulla, ma ricordo che a mia madre è stata diagnosticata la febbre tifoidea ed è rimasta in quarantena in un ospedale per l’isolamento. Ci è rimasta per un po’, poi è tornata a casa perché il medico ha detto che non era febbre tifoidea. Qualche anno fa ho letto in un articolo di giornale che all’epoca era stata erroneamente diagnosticata la febbre tifoidea a molti sopravvissuti alla bomba atomica. Mia madre soffriva anche di una persistente febbre bassa, che però le è stata curata con l’agopuntura. Mio padre in seguito mi disse che dopo la guerra aveva sofferto di sanguinamento delle gengive.

A sei anni io ho contratto la tubercolosi e sono mancata da scuola per un anno. Non è una malattia collegata alla bomba atomica, ma probabilmente all’epoca il mio sistema immunitario era debole. A nove anni, nella parte bassa del mio corpo sono comparse tantissime bolle. Il dolore mi faceva soffrire, ma pensavo che non ci fosse niente da fare. Ritengo tuttavia che potesse essere l’effetto delle radiazioni perché gli altri sopravvissuti volontari che ho incontrato in questo museo hanno avuto gli stessi sintomi durante l’infanzia. In qualche momento dell’adolescenza, durante l’estate, mi sono sentita esausta e non ho fatto altro che poltrire, ma pensavo che fosse pigrizia. Tra i sintomi dei sopravvissuti alla bomba atomica c’era anche la stanchezza, come appresi più tardi. Ho sangue nelle urine da quando avevo trent'anni, una funzionalità renale ridotta e ora sono diabetica. I ricercatori affermano che più piccoli si era al momento dell'esposizione alle radiazioni, più grande è stato il danno subito.

Ho incontrato due persone di altre prefetture che mi hanno raccontato che i loro parenti che all’epoca vivevano a Hiroshima sono tuttora dispersi. Ho incontrato un’anziana signora nella zona, distante 25 minuti a piedi, che ha detto: «È la prima volta che vengo in questo museo dopo la guerra. Non volevo ricordare gli odori di quei giorni». Ma alla fine è venuta perché ritiene che i suoi nipoti debbano sapere.

Avevo un amico volontario che era un orfano della bomba atomica. All’epoca, i bambini delle scuole elementari dal terzo al sesto anno erano stati evacuati nelle campagne e molti di loro avevano perso la famiglia ed erano diventati orfani della bomba atomica. Mi ha raccontato che questi bambini vivevano tra le macerie della città e circa un migliaio di loro è morto durante il primo inverno.

Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. A novembre dello scorso anno, la Confederazione Giapponese delle Organizzazioni delle Vittime della Bomba Atomica e delle Bombe a Idrogeno (Nihon Hidankyo) è stata insignita del Premio Nobel in riconoscimento del suo impegno decennale.

Nel mondo si stanno verificando eventi terrificanti. Guerre e conflitti stanno causando innumerevoli vittime, anche bambini. Spezza il cuore. Oggi nel mondo ci sono 12.000 testate nucleari. Se non verranno abolite, non ci sarà pace nel nostro pianeta. Dobbiamo dire tutti insieme: «No alle guerre di ogni genere e alle armi nucleari!».