La catechesi
Il Pontefice prosegue le riflessioni giubilari sul tema
«Cristo nostra speranza» soffermandosi ancora sull’ultima cena di Gesù

Il perdono è speranza concreta che precede
il pentimento

 Il perdono è speranza concreta che precede il pentimento   QUO-190
20 agosto 2025

Il Vangelo mostra che c’è sempre un modo per continuare ad amare 
 anche quando tutto sembra irrimediabilmente compromesso 


Il perdono «manifesta il volto concreto della speranza. Non è dimenticanza, non è debolezza. È la capacità di lasciare libero l’altro, pur amandolo fino alla fine». Lo ha detto Leone XIV stamane, mercoledì 20 agosto, all’udienza generale, svoltasi nell’Aula Paolo VI. Proseguendo il ciclo di riflessioni giubilari avviato dal predecessore Francesco sul tema «Cristo Nostra Speranza», Papa Prevost ha commentato l’episodio evangelico riguardante l’ultima cena di Gesù e il suo gesto di offrire un boccone a Giuda, rimarcando che «il vero perdono non aspetta il pentimento, ma si offre per primo, come dono gratuito, ancor prima di essere accolto». Ecco le sue parole.

Cari fratelli e sorelle,

oggi ci soffermiamo su uno dei gesti più sconvolgenti e luminosi del Vangelo: il momento in cui Gesù, durante l’ultima cena, porge il boccone a colui che sta per tradirlo. Non è solo un gesto di condivisione, è molto di più: è l’ultimo tentativo dell’amore di non arrendersi.

San Giovanni, con la sua profonda sensibilità spirituale, ci racconta così quell’istante: «Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo […] Gesù, sapendo che era venuta la sua ora […] li amò fino alla fine» (Gv 13, 1-2). Amare fino alla fine: ecco la chiave per comprendere il cuore di Cristo. Un amore che non si arresta davanti al rifiuto, alla delusione, neppure all’ingratitudine.

Gesù conosce l’ora, ma non la subisce: la sceglie. È Lui che riconosce il momento in cui il suo amore dovrà passare attraverso la ferita più dolorosa, quella del tradimento. E invece di ritrarsi, di accusare, di difendersi… continua ad amare: lava i piedi, intinge il pane e lo porge.

«È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò» (Gv 13, 26). Con questo gesto semplice e umile, Gesù porta avanti e a fondo il suo amore. Non perché ignori ciò che accade, ma proprio perché vede con chiarezza. Ha compreso che la libertà dell’altro, anche quando si smarrisce nel male, può ancora essere raggiunta dalla luce di un gesto mite. Perché sa che il vero perdono non aspetta il pentimento, ma si offre per primo, come dono gratuito, ancor prima di essere accolto.

Giuda, purtroppo, non comprende. Dopo il boccone — dice il Vangelo — «Satana entrò in lui» (v. 27). Questo passaggio ci colpisce: come se il male, fino a quel momento nascosto, si manifestasse dopo che l’amore ha mostrato il suo volto più disarmato. E proprio per questo, fratelli e sorelle, quel boccone è la nostra salvezza: perché ci dice che Dio fa di tutto — proprio tutto — per raggiungerci, anche nell’ora in cui noi lo respingiamo.

È qui che il perdono si rivela in tutta la sua potenza e manifesta il volto concreto della speranza. Non è dimenticanza, non è debolezza. È la capacità di lasciare libero l’altro, pur amandolo fino alla fine. L’amore di Gesù non nega la verità del dolore, ma non permette che il male sia l’ultima parola. Questo è il mistero che Gesù compie per noi, al quale anche noi, a volte, siamo chiamati a partecipare.

Quante relazioni si spezzano, quante storie si complicano, quante parole non dette restano sospese. Eppure, il Vangelo ci mostra che c’è sempre un modo per continuare ad amare, anche quando tutto sembra irrimediabilmente compromesso. Perdonare non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro.

Quando Giuda esce dalla stanza, «era notte» (v. 30). Ma subito dopo Gesù dice: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato» (v. 31). La notte è ancora lì, ma una luce ha già cominciato a brillare. E brilla perché Cristo rimane fedele fino alla fine, e così il suo amore è più forte dell’odio.

Cari fratelli e sorelle, anche noi viviamo notti dolorose e faticose. Notti dell’anima, notti della delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito. In quei momenti, la tentazione è chiuderci, proteggerci, restituire il colpo. Ma il Signore ci mostra la speranza che esiste, esiste sempre un’altra via. Ci insegna che si può offrire un boccone anche a chi ci volta le spalle. Che si può rispondere con il silenzio della fiducia. E che si può andare avanti con dignità, senza rinunciare all’amore.

Chiediamo oggi la grazia di saper perdonare, anche quando non ci sentiamo compresi, anche quando ci sentiamo abbandonati. Perché è proprio in quelle ore che l’amore può giungere al suo vertice. Come ci insegna Gesù, amare significa lasciare l’altro libero — anche di tradire — senza mai smettere di credere che persino quella libertà, ferita e smarrita, possa essere strappata all’inganno delle tenebre e riconsegnata alla luce del bene.

Quando la luce del perdono riesce a filtrare tra le crepe più profonde del cuore, capiamo che non è mai inutile. Anche se l’altro non lo accoglie, anche se sembra vano, il perdono libera chi lo dona: scioglie il risentimento, restituisce pace, ci riconsegna a noi stessi.

Gesù, con il gesto semplice del pane offerto, mostra che ogni tradimento può diventare occasione di salvezza, se scelto come spazio per un amore più grande. Non cede al male, ma lo vince con il bene, impedendogli di spegnere ciò che in noi è più vero: la capacità di amare.