Zambia, da bambini di strada a formatori di vita

 Zambia, da bambini di strada a formatori di vita  QUO-187
13 agosto 2025

di Guglielmo Gallone

«Mi chiamo Kenny Likezo e sono nato il 7 luglio 2003 in un piccolo centro rurale dello Zambia. Sono cresciuto in una famiglia di sei persone e, quando frequentavo la quinta classe alla scuola primaria di Chanyanya, mio padre si rifiutò di pagarmi la scuola e di comprarmi il materiale scolastico perché non aveva soldi: voleva che andassi a lavorare come pastore di capre per un uomo ricco. Mia madre voleva che studiassi. Perciò mi diede i soldi per andare a vivere a Lusaka, dove avrei potuto vivere con mia nonna. Dopo alcuni mesi a Lusaka, trovai lavoro come domestico, ma in seguito fui licenziato e cominciai a trascorrere le giornate per strada, nel centro della città, con altri ragazzi. Ne vidi molti finire nei guai e venire portati in custodia dalla polizia. Un giorno, in un momento di grande disperazione, un uomo gentile mi vide e mi chiese quale fosse il mio problema. Ero spaventato, temendo potesse accadere qualcosa di brutto, ma poi mi domandò della mia vita e se volessi visitare un posto chiamato Mthunzi. Accettai, anche se con paura. Arrivato a Mthunzi, capii di aver trovato qualcosa che non avevo mai sperimentato prima, qualcosa che mi attraeva. Trovai persone che si prendevano cura l’una dell’altra, scoprii quello che più tardi avrei riconosciuto come uno spirito di famiglia. Si presero cura di me non solo nella formazione scolastica, ma anche come giovane vulnerabile in cerca di amore, di sostegno. Da lì iniziò la mia nuova vita: superai gli esami di settima, nona e dodicesima classe, e imparai molto — dalla convivenza con gli altri a competenze come cultura e acrobatica. Oggi frequento un ottimo college e studio marketing».

Mthunzi in lingua chewa significa «ombra», «riparo all’ombra», come quella di un grande albero che offre protezione dal sole. È un’immagine semplice, ma capace di racchiudere tutta l’essenza del Mthunzi Centre: un luogo di rifugio e ristoro per chi vive esposto e vulnerabile nelle strade di Lusaka. Fondato nel 2000 dalla comunità di laici cristiani Koinonia e in particolare dal padre comboniano Renato Kizito Sesana, oggi Mthunzi è uno dei principali centri di accoglienza e reinserimento sociale per bambini di strada in Zambia. In 25 anni ha accolto centinaia di ragazzi, offrendo loro istruzione, formazione professionale, sostegno psicologico e soprattutto una comunità stabile. A rendere unico questo centro è il fatto che sia gestito oggi interamente da coloro che, 25 anni fa, erano bambini di strada. La storia di Kenny, arrivato al centro da adolescente e oggi studente di marketing, è solo una delle tante che qui hanno trovato non solo un tetto e un banco di scuola, bensì la possibilità di ricostruirsi su basi nuove, fatte di dignità, responsabilità e appartenenza.

Le loro testimonianze sono state raccolte dai media vaticani grazie a padre Kizito. C’è ad esempio la storia di Rickon Mwiinga, la cui vita «grazie al Centro è una testimonianza del mio impegno per la fede, la famiglia e il servizio». Oppure, c’è quella di Jones Longolongo, entrato a Mthunzi perché «mio fratello maggiore era già lì. Ero stato separato da lui quando avevo 10 anni, quando i miei genitori, poco premurosi, mi mandarono da uno zio ancora meno premuroso, in un piccolo villaggio nella boscaglia dello Zambia, dove per sette anni badavo a un gregge di capre senza ricevere alcuna istruzione. Poi mio fratello maggiore venne a trovarmi e mi disse: “Vieni con me a Koinonia, lì ho trovato la mia nuova famiglia, una tribù di cristiani legati dall’amore fraterno e che praticano amore verso tutti”. È così che sono arrivato a Koinonia, dove ho imparato ad essere disciplinato e determinato di fronte alle difficoltà. Ho raggiunto traguardi che un tempo credevo impossibili».

Non è un caso che il cielo sempre limpido e i tramonti rosso amarena siano la cornice quotidiana di questo progetto socio-educativo e del centro di accoglienza residenziale gestito da Koinonia. Qui, oltre ai 60 minori ospitati dal centro, per i bambini e i ragazzi che vivono nelle zone rurali circostanti è attivo un programma che garantisce la retta scolastica, l’assistenza sanitaria, il sostegno individuale e alle famiglie di origine. Le bambine e le adolescenti fanno riferimento al piccolo centro di Londjezani che le accompagna con un percorso specifico pensato per le loro esigenze. «Il nostro obiettivo è sempre stato quello del Vangelo — racconta ai media vaticani padre Kizito — mettere i bambini al centro. Non è stato facile. Una piccola comunità nacque in Zambia ben prima del 2000, nel 1985. Tuttavia, negli anni Novanta il Paese ha vissuto una gravissima crisi: collasso economico, disastro sociale, diffusione devastante dell’Aids. Molti giovani sono morti, c’è stata un’interruzione della crescita demografica e la comunità ha perso membri. La grande tradizione delle famiglie allargate, che permettevano l’accoglienza dei bambini rimasti soli, s’interrompe proprio in quegli anni. Allora nasce il fenomeno dei bambini di strada ma, di tutta risposta, nasciamo anche noi».

Padre Kizito ci racconta di «aver iniziato nel 1999 solo con 12 bambini. Oggi uno di loro è diventato direttore del centro. Certo, siamo lontani dai circuiti internazionali e le difficoltà logistiche rendono tutto più complesso, ma dal 2010 riusciamo a sopravvivere in totale autonomia grazie alla dedizione dei beneficiari e al nostro lavoro». Anche perché, prosegue Kizito, «dobbiamo sopperire ai gravi problemi pubblici: il sistema educativo pubblico nello Zambia è carente. Le classi sono sovraffollate, spesso contengono fino a cento alunni, e il livello di apprendimento è basso. Noi abbiamo dunque iniziato a formare insegnanti di sostegno e, nel 2003, abbiamo donato una piccola parte dei nostri cento acri di terreno a una congregazione di suore che ha costruito una scuola superiore di alta qualità». Una missione ancor più complessa in un Paese come lo Zambia che, ribadisce Kizito, «non è al centro di grandi affari geopolitici. Qui non c’è alcuno sbocco sul mare e l’unico interesse sono le materie prime, ma le miniere sono già state prese d’assalto dalle grandi potenze, in particolare dalla Cina o dagli Stati Uniti, con il corridoio di Lobito. Un problema non da poco è però legato al fatto che confiniamo con le grandi crisi d’Africa, in primis Repubblica Democratica del Congo e Mozambico».

Ecco il contesto nel quale crescono i ragazzi ospitati dal Mthunzi Centre. Che, come se non bastasse, hanno vissuto un’infanzia complessa, in condizioni terribili, che nessun bambino o bambina dovrebbe vivere. Essere soli a cinque o sei anni nelle strade di una metropoli come Lusaka è più che difficile: specie di notte, quando si è circondati da prostituzione e traffici illegali, è come vivere in un incubo. Questi ragazzi non hanno potuto vivere l’età più bella, quella in cui ognuno getta le fondamenta del proprio carattere e della propria visione del mondo, quella in cui impara a sognare. Sono cresciuti sapendo che non si può piangere, che è vietato ogni segno di debolezza, perciò sembrano tutti più piccoli di quello che sono. Ma la loro presenza a Mthunzi e la messa celebrata domenica, per i 25 anni del centro, dimostra che c’è una cosa che nulla è riuscito a scalfire: la voglia di vivere, di gioire, di ridere, di essere bambini, di continuare a credere che esista l’amore (guglielmo gallone)