A Mokolo, in Camerun, un gruppo di suore e l’Ordre de Malte France
collaborano per eliminare la malnutrizione infantile

Missione crescita superando abbandono e ignoranza

 Missione crescita superando abbandono e ignoranza  QUO-186
12 agosto 2025

di Enrico Casale

Chi vive in Europa fa fatica a capire che cos’è la malnutrizione. Nel nostro continente abbiamo tutto, forse addirittura troppo. In Camerun non è così. Ci sono aree dove mangiare, ma anche andare a scuola e ricevere cure, è difficile, a volte impossibile.

A Mokolo, a pochi chilometri dal confine con la Nigeria e non lontano dalle aree colpite dalle incursioni di Boko Haram, suor Josephine “Bakhita” Djoda guida una missione, cura, nutre, educa. È una religiosa della congregazione di Maria Immacolata (fondata nei primi del Novecento da donne camerunesi) ma lavora all’interno di una struttura gestita e finanziata dal Sovrano Militare Ordine di Malta, istituzione religioso laicale tra le più antiche della civiltà occidentale e cristiana, attraverso Ordre de Malte France, associazione di assistenza umanitaria presente in oltre trenta paesi africani con attività umanitarie e sanitarie (cliniche e ospedali rurali, campagne di vaccinazione e prevenzione sanitaria, distribuzione di cibo, acqua potabile e beni di prima necessità, cure oftalmologiche) e azioni di risposta alle emergenze legate a guerre o a eventi naturali.

La missione è nata anni fa per assistere i malati di lebbra. Ancora oggi una quarantina di lebbrosi sono seguiti con costanza: due volte a settimana ricevono cure per le piaghe, disinfezioni e trattamenti locali. Una volta l’anno vengono accompagnati in centri specializzati per visite oftalmologiche, spesso necessarie per contrastare le complicanze della malattia. Negli anni, l’emergenza lebbra è però gradualmente scemata, grazie all’arrivo di nuove terapie. Così il Centre Rohan Chabot (così si chiama) si è trasformato nel tempo in un punto di riferimento per tutta la comunità.

Una delle emergenze più gravi affrontate da suor Josephine è la malnutrizione infantile. L’area di Mokolo, capoluogo del dipartimento di Mayo-Tsanaga, ha una terra rocciosa e non fertile; in più, è soggetta a siccità, crisi economiche e scarsità alimentare. A ciò si aggiunge una crescita demografica costante e un reddito familiare insufficiente. Spesso, per esempio, in famiglie numerose un solo chilo di riso deve bastare per tutti e gli adulti si servono per primi, lasciando ai bambini quantità minime. «Pensano che tanto i bambini cresceranno lo stesso», spiega suor Josephine, sottolineando come questa convinzione, unita all’ignoranza nutrizionale, sia uno degli ostacoli più difficili da superare.

Per rispondere a tali bisogni, è stato creato un centro di nutrizione, divenuto poi una vera e propria scuola materna. I bambini, spesso lasciati soli durante il giorno mentre i genitori lavorano nei campi, trovano un luogo sicuro dove ricevere almeno un pasto al giorno (a base di farina di soia, arachidi e altri alimenti locali) e un’istruzione di base. L’educazione e la nutrizione camminano insieme: oggi il servizio mensa è obbligatorio ed è considerato parte integrante del programma educativo. Bakita ha voluto fare un passo in più. Accanto alla scuola, ha organizzato sessioni di formazione alimentare per i genitori. «Facciamo dimostrazioni culinarie — spiega — per insegnare alle mamme come cucinare in modo più nutriente con ciò che hanno a disposizione. Cerchiamo anche di coinvolgere i papà, per renderli più partecipi della salute e dell’educazione dei figli». Una vera promozione familiare della salute che ha un impatto profondo, soprattutto nelle aree rurali dove la figura paterna è spesso assente nella gestione quotidiana del benessere domestico.

Il lavoro della missione si svolge in un contesto delicato, dove l’insicurezza è un fattore costante. Mokolo si trova a 40 chilometri dal confine nigeriano. La missione non è mai stata colpita direttamente da attacchi armati ma la minaccia di Boko Haram (milizia affiliata allo “Stato islamico”) è percepita come molto vicina. Le incursioni avvengono spesso lungo il confine e generano tensioni diffuse. A queste si aggiungono i conflitti agrari locali e la crisi che attraversa il Camerun tra regioni anglofone e francofone, che contribuiscono a creare un generale clima di instabilità nell’area e nel paese intero. Nonostante tutto, la missione resiste e continua a lavorare. E lo fa accogliendo chiunque abbia bisogno. La struttura, pur ispirata da valori cattolici, è aperta a tutti: musulmani, cristiani protestanti, famiglie animiste o senza religione. I musulmani sono addirittura più numerosi dei cattolici. «Viviamo in armonia — spiega suor Josephine — qui non ci sono tensioni religiose. Il nostro lavoro è per tutti».