
di Domenico Pompili*
Il Giubileo non è solo una ricorrenza religiosa, ma una vera e propria rivoluzione spirituale e sociale, che può trasformare radicalmente il nostro modo di vivere. La parola viene infatti da jobel, che in ebraico indicava il corno di montone con il quale si suonava l’inizio di un anno speciale che portava straordinarie liberazioni. Durante la celebrazione per il Giubileo dei Giovani a Roma, insieme a Leone XIV, ho riflettuto sul significato profondo di questo “anno speciale” che la tradizione biblica ci consegna.
Cos’è davvero il Giubileo
«Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo», recita il Levitico. Non una semplice festa, ma un momento rivoluzionario: debiti condonati, terre lasciate a riposare, schiavi resi liberi. È un ricominciare da capo, senza accumuli e senza perpetuare le iniquità che feriscono l’umanità e la stanno portando sull’orlo di un abisso pericoloso.
Proviamo a immaginare: che mondo sarebbe se domani, al risveglio, non trovassimo più le stridenti ingiustizie di oggi, se le guerre fossero state assorbite dalla pace, se la violenza si fosse spenta, se alla terra fosse stato restituito il giusto tempo per fiorire e se avessimo cominciato a vivere nella speranza di poter ancora curare le nostre ferite?
La terra non è nostra
Ma perché prescrizioni così radicali? Il cuore del messaggio giubilare sta in una verità scomoda ma liberante: «La terra è mia», dice Dio. La terra che lavoriamo, e che spesso sfruttiamo senza limiti, non ci appartiene. Siamo ospiti, forestieri, inquilini nel mondo. Non padroni.
La saggezza antica riconosceva Dio come padre e la terra come madre. Oggi siamo diventati orfani di entrambi. Il risultato? Il mondo ci appare come “niente” e noi ci sentiamo “nullità” desiderose di diventare grandi, ma cieche e sorde al meraviglioso canto della vita.
Il Giubileo ci restituisce un ordine diverso, quello della grazia, dove l’io vive non per ciò che produce, ma per ciò che riceve come dono.
Distanze tragiche
Oggi anche i legami tra uomini e donne sono feriti. Gli uomini appaiono spesso immaturi, incapaci di assumersi responsabilità autentiche, eterni Peter Pan o Narcisi. Le donne, comprensibilmente disincantate da dinamiche relazionali frustranti, sviluppano forme di chiusura difensiva, a volte anche aggressiva.
Il risultato è una società frammentata, dove ciascuno si isola e si rifugia nel proprio mondo digitale, creando quelle “distanze tragiche” che rendono difficile scommettere su un futuro condiviso. Eppure, è ancora possibile che l’amore faccia la differenza. È il Giubileo a ricordarcelo.
Un messaggio per i giovani
Alle giovani e ai giovani di questo tempo vorrei dire che con il Giubileo, al suono infinito di quel corno antico, la musica cambia. Potete essere o diventare soggetti di un altro modo di stare al mondo. Il mio invito è: alzate lo sguardo e non abbassatelo mai, davanti a nessuno e a nulla.
Come cantano Lucio Corsi e Tommaso Sabatini: «Volevo essere un duro che non gli importa del futuro... Però non sono nessuno... I girasoli con gli occhiali mi hanno detto “Stai attento alla luce”». Queste parole descrivono bene la vostra condizione, ma la verità è che non siete duri né oscuri. Siete luminosi e cercate la luce. In fondo, come nella canzone, l’importante è accettare il proprio limite e ritrovare il proprio nome: «Non sono altro che Lucio». E va bene così. In ogni nome proprio c’è una luce che va riscoperta ogni giorno.
La promessa del Giubileo
Il Giubileo è questo: un’occasione per riscoprire che non siamo soli, che c’è una luce che può rischiarare anche la notte più buia del nostro cuore, e che possiamo tornare a essere dono gli uni per gli altri.
*Vescovo di Verona