Lezione di bellezza

 Lezione  di bellezza  QUO-179
04 agosto 2025

di Salvatore Cernuzio

C’è ancora bellezza nel mondo. C’è ancora speranza di potersi ritrovare, geograficamente e culturalmente distanti, ma l’uno a fianco all’altro «sotto la stessa luce, sotto la Sua croce, cantando ad una voce» e ridere per un gesto semplice come quello di scambiarsi una bandiera con un cappellino, uno zainetto con una t-shirt.

Tor Vergata, la stessa spianata, un mondo capovolto. Venticinque anni fa l’affaccio di un nuovo millennio, con la prepotente speranza che porta con sé ogni novità. Venticinque anni dopo, il mondo ha vissuto e vive guerre, rivoluzioni, attentati terroristici, crisi economiche e sociali. Tutto è cambiato, tutto cambia. Anche i Papi. Rimane Cristo, eterno e immutabile, capace di restituire la gioia, autentica e radicale.

La gioia dell’incontro che fa vivere e vibrare una marea umana composta da adolescenti e ragazzi, di millennials e Gen Z, di Papaboys nostalgici ora catechisti e accompagnatori, di adulti con figli al seguito e pure qualche anziano ancora in forze. Sono tutti qui, un milione secondo le stime, attratti da ogni latitudine e longitudine nel cuore dell’Italia per l’evento culmine di questo Anno Santo iniziato da Francesco e proseguito da Leone XIV. «Tutti tutti tutti», da giorni, in una Roma “invasa” nelle sue strade e piazze che, dopo calure soffocanti e inusuali acquazzoni estivi, sembra voler dare nella sera del 2 agosto, alla grande veglia giubilare, una carezza ai suoi ospiti con un vento lieve e un tramonto che sembra dipinto da Turner o Monet.

«Cristo è qui». Lo recitano striscioni la cui scritta si perde tra i mille colori delle bandiere delle nazioni o dei gruppi di appartenenza, tra cui spicca — una della più alte — quella della Corea, meta della prossima Giornata mondiale della gioventù 2027. «Siamo 1.078, così ci ritroviamo tutti», dicono.

E qui c’è il Papa: un uomo vestito di bianco, con il sorriso accennato e le mani salde sulla croce di legno, che accompagna la folla in questo momento di Chiesa che stupisce e interroga. Come a Lisbona, nel 2023, quando tutti si domandarono com’era stato possibile, in un’epoca di sentimenti virtuali e apatia reale, radunare un milione e mezzo di ragazzi per un evento religioso.

Leone XIV raccoglie il testimone dei suoi predecessori, cammina sul loro solco, rilancia l’invito di Francesco, che avrebbe certamente voluto vivere questo abbraccio corale. Sorride sin dal suo arrivo in elicottero e lungo il percorso in papamobile sul terreno fangoso, durante il quale saluta da una parte e dall’altra, come a voler restituire a ciascuno dei presenti uno sguardo.

A pochi metri dal palco scende dalla vettura, un giovane gli porge la croce. Lui la solleva: è il faro a cui guardare nei momenti bui della storia. Il Pontefice si dirige a piedi, con un lento incedere verso la scala color giallo acceso posta al centro dell’enorme palco, con ai lati la proiezione del logo del Giubileo e al centro un crocifisso.

Parlare di emozione è retorico, di commozione ancora di più. È un momento di vita, vera vita, per tutta questa gente che trova nutrimento per il corpo con i lunch-box distribuiti sotto i tendoni, ma che spesso, in una fase di crescita e maturazione, non sa come appagare la fame dell’anima.

La fede per molti, forse, non è ancora robusta. È un primo approccio — come raccontano —, una scoperta, una novità. È uno sprazzo che ha il suono del Jesus Christ, you are my life partito alle 19.35 e cantato a squarciagola con le braccia alzate, con gli amici sulle spalle, a mo’ di inno. Ha la forma della preghiera che precede le parole del Papa, dopo un tacet, un momento di silenzio, che suggella lo stacco dal «chiasso» — quello che divertì l’anziano Wojtyla e che Bergoglio incoraggiava («Hagan lío!») — al momento della Veglia in cui Leone XIV, indossata la mozzetta rossa, dal palco risponde alle domande di alcuni dei ragazzi in tre lingue.

Di fronte, l’oceano di volti e corpi che sfoderano gli smartphone — perché è impossibile per una generazione nativa del digitale e delle reti sociali tornare a casa senza uno scatto, un reel, un feed — ma che poi, alla prima loro coetanea che prende la parola, mettono ogni strumento in tasca e lasciano semi vuote le colonnine predisposte per la ricarica immediata. Un segno della volontà di ascolto? Probabile.

L’ascolto delle parole di un Papa che raccoglie in sé l’esperienza di una Chiesa vissuta anche tra i terreni polverosi della missione. «È Gesù che sognate quando cercate la felicità», Leone XIV richiama la storica frase di Giovanni Paolo II, che di questi eventi giovanili fu fautore. Parla, con voce sicura e tono fermo, di speranza, radicalità, fedeltà, di dono di sé e per gli altri e di resurrezione.

Tutto intorno tace. È un oceano di cui si ode solo la risacca: il ronzio dei droni, il rumore delle pale degli elicotteri e dei motori dei camion che distribuiscono acqua. Ci sono applausi, sì. Soprattutto quando il Papa ricorda due ragazze, María e Pascale — spagnola la prima, egiziana la seconda — partite da casa per il Giubileo ma decedute lungo il cammino. «Preghiamo per loro e le loro famiglie», chiede il Pontefice, domandando preghiere pure per Ignacio Gonzalvez, un giovane ricoverato al Bambino Gesù. Applausi per loro, poi il canto dell’Alleluja che precede la lettura del Vangelo di Luca (24, 13-35): il passo sui discepoli di Emmaus e il loro incontro con Gesù.

Ancora silenzio, interrotto dall’Anima Christi di monsignor Marco Frisina. Sulle ultime note si abbassano le luci sul palco, inizia l’adorazione eucaristica con lo stesso ostensorio proveniente dalla Cappella dell’Adorazione perpetua della parrocchia sant’Antonio Abate a Torino, dinanzi al quale pregarono il futuro santo Pier Giorgio Frassati e, prima di lui, san Giovanni Bosco.

Insieme alle luci artificiali anche il tramonto lascia il posto al crepuscolo su tutta Tor Vergata. I canti del coro della diocesi di Roma e la solennità del Magnificat si diffondono dagli altoparlanti. Si accendono le torce e si srotolano le maniche di felpe e camicie come pure i sacchi a pelo, pronti per la notte sotto ombrelli e capannelli montati a sembrare piccoli villaggi.

C’è la scenografia, c’è la fotografia, c’è la regia, ma tutto è naturale. È la bellezza che i giovani — migliori di come tante volte vengono raccontati —, dimostrano essere viva e pulsante in questo mondo ferito.