Il patriarca Bartolomeo a «Religions for Peace»

Un mondo materiale
che ha perso
la visione sacra dell’uomo

 Un mondo materiale che ha perso la visione sacra dell’uomo  QUO-175
30 luglio 2025

di Giovanni Zavatta

Esiste una visione del mondo dominante, «solitamente inconfessata», fatta di «un materialismo prevalente», di «un modo di vedere il reale che riduce la prosperità umana alla sua dimensione materiale, escludendo sistematicamente qualsiasi riferimento al sacro». Ed è questo uno dei problemi fondamentali, una delle principali sfide che le religioni sono chiamate ad affrontare oggi. Aprendo ieri, 29 luglio, a Istanbul la riunione del Consiglio mondiale di Religions for Peace (a cui partecipano una sessantina di rappresentanti provenienti da tutto il mondo tra i quali il cardinale Charles Maung Bo), il patriarca ecumenico Bartolomeo ha fatto riferimento al valore e all’importanza del dialogo interreligioso in un’epoca dominata dall’economia e dalla tecnologia: «L’incontro di diverse tradizioni religiose, ciascuna delle quali porta con sé un’esperienza unica del sacro, diventa la condizione necessaria per affrontare una mancanza di senso globalizzata, per riformulare un discorso che osi parlare di amore, compassione, misericordia, perdono e sacrificio di sé, non come valori morali astratti ma come elementi attivi di una realtà più piena».

La testimonianza cristiana offre a questo dialogo «una prospettiva che non cerca di dominare ma di servire: l’immagine di Dio come comunione di persone, come relazione eterna di amore». La pace — ha sottolineato il primate ortodosso — non è qualcosa in equilibrio statico ma una realtà dinamica ed escatologica, «l’attesa di una riconciliazione finale di tutte le cose in Cristo». L’azione delle religioni trae il suo significato più profondo proprio dalla speranza comune per un mondo futuro di giustizia e amore: «Non siamo chiamati a comporre una nuova religione mondiale basata sul consenso ma, ciascuno dalla prospettiva della propria fede, a formare un’alleanza globale di coscienza, una testimonianza profetica che manterrà aperto l’orizzonte della trascendenza in un mondo minacciato di soffocamento entro i limiti della materialità. L’unità non si basa su ciò che crediamo in comune ma sul nostro comune amore per l’umanità e sul nostro comune riferimento al mistero dell’unico Dio. Questa è l’unica pace sostenibile», ha osservato Bartolomeo, lanciando la proposta di una “Visione sacra comune del mondo”, un campo largo di consenso, un fronte congiunto contro il dominio del riduzionismo materialistico.

Del resto, ha continuato il patriarca, la perdita del rapporto con il sacro ha conseguenze esistenziali e sociali. La distorsione del concetto di completezza umana «promuove l’isolamento, lo sfruttamento, la distruzione ambientale». L’uomo cessa di essere concepito come un essere relazionale e si converte «in un’unità autonoma che rivendica il proprio benessere a spese degli altri e del mondo naturale». Una desolazione spirituale dove vaga «una somma di individui in competizione».

Bartolomeo scende nel concreto: «La crisi globale del debito, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito, costituisce l’espressione più manifesta di un’economia che ha perso ogni fondamento morale. Dietro i numeri impersonali e i complessi prodotti finanziari, si nasconde una realtà arcaica di schiavitù. Interi popoli vengono resi servi di un meccanismo astratto che, basato su ingiustizie strutturali e sistemi di prestito sfruttatori, prosciuga la loro ricchezza, soffoca il loro sviluppo, ipoteca il loro futuro. Qui — ribadisce — la visione materialistica riduzionista del mondo trova la sua applicazione più perfetta: l’uomo cessa di essere considerato come persona, come immagine di Dio, e si trasforma in un’unità di produzione e consumo, in un numero nel bilancio di un creditore invisibile».

Di pari passo l’intelligenza artificiale emerge come «il fantasma digitale» di tale visione. Per il patriarca ecumenico essa è «la creazione di una parvenza di ragione umana, di un’intelligenza scollegata dalla coscienza, dal corpo e dallo spirito», e solleva «urgenti questioni etiche». Debito globale e intelligenza artificiale «nascono dalla stessa radice filosofica: l’apoteosi dell’astrazione e dell’utilità». Nel caso del debito «l’astrazione è il denaro, separato dall’economia reale che ignora la persona del debitore»; nel caso dell’intelligenza artificiale «l’astrazione è il dato che ignora l’unicità del soggetto». In entrambi i casi «la logica dell’utilità, la ricerca della massima prestazione, economica o computazionale, prevale su ogni altro valore».